mondo granata

Angeli nel fango

Redazione Toro News
di Mauro Saglietti

E'capitato tutto pochi giorni fa, per caso. Stavo facendo ricerche sul web alla perenne ricerca di informazioni sulla storia granata.Mi imbatto nel tabellino di una partita… Un vecchio Roma-Torino. Leggo poche righe… c’è qualcosa di strano, una sensazione confusa… non mi sento a mio agio, come se ci fosse qualcosa sotto quei numeri, qualcosa che non riesco a vedere…Non faccio in tempo a riflettere.Improvvisamente intravedo un bagliore ai miei piedi.Stropiccio gli occhi, forse è lo stare troppo di fronte al video che…Sembra un tunnel luminoso fatto di nuvole, che va giù e si perde chissà dove…Mi chino lì accanto e guardo in profondità.Laggiù, in lontananza, un punto distante, perso nel tempo.

 

In fondo a quel cunicolo etereo intravedo una scena del mio passato. Confusamente mi torna alla mente quel momento.Io e mio padre per le strade di Spotorno. Non è ancora estate, ma la serata è molto calda. Siamo davanti a una gelateria. All’interno un televisore in bianco e nero sta trasmettendo le immagini di una partita.- Quanto sono? – chiede mio padre- 1-1- risponde il gelataio - Ha appena pareggiato Pulici.Sarà il risultato finale, 1-1, finale di andata della Coppa Italia 1981.Certo che mi ricordo quel momento.Ma soltanto adesso mi torna in mente la cosa strana capitata poco dopo.Sono ancora davanti al gelataio, che ha appena comunicato il risultato.Mi fermo. Un bagliore, un tunnel che sale verso l’alto.Mio padre mi chiede – Che hai? Non sei contento che ha segnato Pulici?Ma io sto guardando su attraverso quel tubo di nuvole. E lontano… lontano lassù in alto vedo un volto familiare che mi sta guardando.Nel presente stacco gli occhi spaventato e mi rialzo, sempre col tunnel ai miei piedi, fissando me stesso tanti anni fa.Sono stravolto. Quel tunnel partito nel passato si è finalmente ricongiunto con un altro capo, sbucando nel presente proprio ora… proprio adesso? Perché?C’è qualcosa che non va, qualcosa non torna.Di solito lego ricordi precisi alle partite del Toro.Dov’ero, cosa facevo, la musica, le canzoni, gli amori quando c’erano.Invece attorno alla memoria di quella partita ho confusione, le sensazioni sono strane… sinistre…Un non so che di fiato corto, di parole sussurrate, di atmosfera ovattata e silenziosa, rotta solo dalle onde del mare in lontananza.Dunque, sono al mare con mio padre… deve essere… doveva essere giugno... cosa dice qui…?13 giugno 1981.Cosa stavo leggendo un attimo fa? …le formazioni delle squadre… niente… vediamo le note di… no, neanche questo… ecco ero qui, a questo punto… - Prima della partita dalla Curva Sud… è partito spontaneo il coro… è partito spontaneo… - Mi fermo e deglutisco – …è partito spontaneo il coro... “Alfredo-Alfredo”…Non leggo oltre, un brivido che è una scarica elettrica mi scaraventa di nuovo sulla sedia.Ora il tunnel in basso è più luminoso che mai.Mi riaffaccio. Vedo me stesso tredicenne che guarda su, con un gelato e uno sguardo amaro.- Dio mio, no… – la mia voce è solo un sussurro. Scavando nei miei ricordi, ho scoperto quello che avevo nascosto.- Alfredino… no…Solo allora mi rendo conto che quello che si è aperto non è un tunnel.Ma un pozzo.E, tremando, trovo la forza di guardare sul fondo.

 

Ricordo in un attimo la storia di Alfredino Rampi.La rivivo attraverso i pensieri di quel tredicenne col gelato che c’è laggiù, che li ha conservati per me.Una storia che in molti non conoscono.Chi invece l’ha vissuta ha cercato di dimenticare.

 

E’ l’11 giugno del 1981.E’ l’Italia dell’altro ieri. Così vicina, ma tanto, troppo distante.Il governo Forlani travolto dalla pubblicazione delle liste P2.Non si parla d’altro in quei giorni. Il Paese vacilla, sembra di essere sull’orlo di qualcosa di estremamente drammatico.Ma io ho tredici anni compiuti da poco, quell’11 giugno 1981, faccio la seconda media e ho in mente solo la partita a pallone del pomeriggio e la finale di andata di Coppa Italia il sabato.Esco di scuola alle 12.45, quando arrivo a casa c’è già il TG2 in onda. Squilla il telefono. Mia madre dal lavoro. Ha sentito dire che un bambino è caduto in un pozzo… vicino a Roma… stanno tentando di tirarlo fuori.E’ la prima volta in vita mia che sento parlare di Alfredino. Neanche immagino che la mia vita e quella di milioni di persone stia per essere sconvolta.Sposto l’attenzione sul video. Non potrò mai dimenticare quello che sto per sentire. Mai.C’è un servizio da Vermicino, il luogo dove il bambino è caduto. Si intravedono delle persone in un prato, curve sull’imboccatura di una cavità scavata nella terra, a ridosso di un terrapieno. Sono le immagini della notte prima.  La mamma parla col figlio gridando dentro l’imboccatura di un pozzo artesiano. Qualcuno ha calato un microfono fino al bambino.Dio mio, le urla di Alfredino, che piange e chiama la mamma ansimando, sono tra le cose più terribili e strazianti che io abbia mai sentito in tutta la mia vita.L’Italia intera è pugnalata, stravolta fino al pianto, sconvolta nelle ossa da quelle grida, che non a caso la Rai non manderà più in onda.

 

Alfredino ha sei anni, un carattere sveglio, dicono, una grave cardiopatia per la quale è già stato portato a New York.Nessuno saprà mai come sia caduto in quel pozzo, la sera prima, mercoledì 10, attorno alle 19.E’ in compagnia del padre, nei pressi di un cantiere dove si sta costruendo una villetta. Ci sono operai, ci sono molte persone. Il bimbo comunica al papà l’intenzione di ritornare a casa da solo, lì accanto.Non ci arriverà mai.Qualcuno lo vede aggirarsi nei pressi del cantiere, probabilmente gioca.Poi più nulla.C’è un pozzo artesiano alla base del terrapieno della villetta.E’ un buco nel terreno profondo 80 metri, con un apertura di circa 80 centimetri, ma la sua larghezza è soltanto di 30, che diminuisce ulteriormente con la profondità.Alfredino è finito lì dentro.Lo trovano alle 11 della sera stessa, richiamati da flebili urla. L’apertura, infatti, è stata coperta dal proprietario del terreno, che non sapeva che un bambino fosse caduto laggiù, quando ha lasciato il cantiere.Il dramma esplode.

 

Trovare questo luogo non è stato facile.Ho lasciato la macchina lungo la strada principale qui vicino.Percorrerò a piedi la strada che mi porterà lì di fronte.Cerco anche di fare in modo che i miei passi affondino il più possibile nel silenzio.Faccio pochi metri. Dovrebbe essere… dovrebbe essere…- Che, cerca qualcosa?Mi ero immaginato che la mia visita non sarebbe passata inosservata. La voce che mi ferma è energica ed ha una forte inflessione romanesca.Mi sarei aspettato un burbero omaccione in canottiera e invece mi ritrovo di fronte un uomo con una t-shirt.Deve avere da poco passato la trentina, è abbastanza alto e ha uno sguardo solare e strafottente.E io che gli dico? Non posso mica dirgli che sono qui per quella storia?Questo non è un museo. E’ proprietà privata e forse da queste parti non passa più nessuno da tanto tempo.Gli dico la verità.- No… - cerco di sfuggire al suo sguardo un po’ furbetto, un po’ divertito – sono venuto qua per… sono venuto qua per… per un amico.Solo sulla mia ultima parola riafferro il suo sguardo.Spero che capisca.Abbozza un sorriso, sembra quasi che mi stia prendendo in giro.Con le mani affondate nelle tasche dei jeans, sposta un sassolino col piede e lo vedo fare più volte segno di sì con la testa, senza parlare.

 

Mi conduce nel luogo, poco distante, senza farmi domande.Camminiamo lentamente lasciando soltanto il rumore dei nostri passi a fare da colonna sonora al mio imbarazzo.Mi indica il luogo con la mano.Improvvisamente mi accorgo che è notte. Non so come, devo avere perso la cognizione del tempo. C’è la luce delle fotoelettriche, c’è tanta gente. Ci sono i pompieri chinati attorno al pozzo, stanno armeggiando con qualcosa.- Vedi quei ragazzi laggiù? – dice a sorpresa il mio interlocutore, indicando un gruppo di ragazzi capelloni in disparte - Sono speleologi, non farti ingannare dal loro aspetto. In particolare quei due… Tra un po’ si caleranno nel pozzo… Quel signore pelato invece è il capo dei Vigili del fuoco. Si chiama Elveno Pastorelli, ha un curriculum impressionante. E lui che dirige le operazioni di soccorso. Sono confuso. Non riesco a capire. Rimaniamo a guardare la scena. I pompieri armeggiano con qualcosa, ma c’è confusione, come se qualcosa dovesse essere andato storto.

 

Nelle prime ore seguenti la caduta di Alfredino, nella notte tra il 10 e l’11 le operazioni di soccorso vedono impegnati Carabinieri e Vigili del Fuoco. La situazione appare subito drammatica. Il bambino si trova a 36 metri di profondità e tirarlo fuori di lì non sembra per niente facile.I pompieri calano una tavoletta, legata alle due estremità perché Alfredino possa aggrapparsi ed essere trascinato in superficie.Ma si rivelerà un errore fatale. Il pozzo si restringe, la tavoletta si incastra prima di arrivare al bambino. Non va più né su né giù, la corda si spezza.Sarà un ostacolo terribile.Tullio Bernabei e un amico, due giovani speleologi romani, si calano nel pozzo. Arrivano a due metri dalla tavoletta ma non riescono a scendere oltre, c’è un tubo di soccorso che intralcia. Parlano col bambino che piange, gli dicono di stare tranquillo. Verranno presto a toglierlo da lì,Siamo in piena notte, vorrebbero riprovare rimuovendo quel tubo, ma a quel punto Pastorelli prende una decisione discussa che si rivelerà importante. Basta con gli speleologi. L’unico modo per arrivare al bambino è scavare un pozzo parallelo che scenda 36 metri sottoterra, quindi uno di collegamento per raggiungere il piccolo.Si comincia a cercare una trivella, che comincerà a lavorare solo in mattinata.

 

Alle 13 di quel giovedì dunque, le immagini del TG2 portano nelle case un’emozione stravolgente e comune, mai provata in termini simili. Da lì in avanti sarà una escalation, il fiato sospeso, il senso di impotenza, la rabbia, la speranza, le lacrime. Eppure la salvezza di Alfredino sembra essere imminente.Quasi me ne dimentico, preso dalla partita di pallone, quel pomeriggio.Ma il Tg della sera parla di nuovo del bambino attorno al pozzo.Non lo hanno ancora salvato.Comincio a realizzare, pur nella giovane età.Un bambino incastrato in un cunicolo di 30 centimetri, da 24 ore. Come è possibile che non vadano a salvarlo?Penso alle mie paure più inconfessabili, a quella del buio. Non voglio pensarci. E’ una cosa terribile.

 

La storia dei tentativi di salvataggio di Alfredino è una storia italiana, che ti fa venire voglia di urlare tutta la tua rabbia al cielo. Una storia emblematica di tutti i pregi e i difetti di questo paese.La prima trivella non è abbastanza potente, ne viene fatta arrivare una seconda. Impiega ore ad arrivare. Vengono abbattuti steccati, rimosse auto, giungere in quel luogo non è facile. Occorrono altre ore per montarla. La trivella scende veloce, ma fa un frastuono incredibile che scuote il terreno.Il bimbo piange, spaventato terrorizzato dal rumore e dalle vibrazioni.Poi però l’attrezzo meccanico si ferma. C’è uno spesso strato di roccia da perforare. Le ore del giovedì passano veloci, troppo veloci.Ci si rende conto di quanto tutto si stia rivelando una trappola enorme, gigante. Le decisioni sono affrettate. Si corre contro il tempo.Forza Alfredino, resisti.

 

Il Gr del venerdì mattina apre subito con le notizie da Vermicino. Si è scavato tutta la notte, la roccia però resiste. Il pozzo parallelo è arrivato a 25 metri, il bambino è sempre a 36. Gli si dà da bere con una flebo, si monitora col microfono il suo respiro, si comunica con lui. Ma le ore per Alfredino là sotto sono già 36.Mi sono svegliato preda del torcicollo, grazie forse alla sudata del giorno prima. Un peccato perché in serata partirò per il mare. A scuola non si parla d’altro che di quel pozzo, le facce sono strane, anche tra di noi che pure siamo molto giovani e avvertiamo con stranezza quello che sta capitando.Alle 13 il TG dice che sì, il bimbo è ancora lì sotto, ma la salvezza questa volta sembra veramente questione di minuti.Non posso muovermi, sono tutto storto, ma resto incollato al video.Il Tg parla pochissimo delle altre notizie, addirittura sfora i palinsesti. Comincia la diretta più lunga della storia televisiva italiana.

 

La situazione in realtà è drammatica. Lo strato di peperino, il tufo della zona è stato perforato in mattinata e la trivella è scesa veloce, ma dopo due ore ha incontrato un nuovo strato di roccia. Il pozzo parallelo è arrivato a 34 metri, ancora troppo alto.Per scavare questo pozzo è stato perso tanto, troppo tempo. Pastorelli prende una decisione drastica. Stop agli scavi, anche se non si è ancora a 36 metri. Si scaverà il tunnel parallelo da quella quota, per sbucare sopra il bambino.

 

E’ di nuovo giorno quasi non mi accorgo di questa alternanza fulminea tra la luce e il buio.- Quello che vedi lì chinato, col microfono si chiama Nando Broglio – dice il mio interlocutore ridacchiando curiosamente - Ahò è un tipo in gamba, quello!Lo riconosco. I suoi capelli radi, il viso buono. L’unica persona che riuscì a instaurare un rapporto di amicizia con Alfredino, che si sentiva rassicurato da quel pompiere.Mi avvicino, cerco di ascoltare… afferro il suo discorso…- C’è Mazinga che scava qui con noi… quando ti tiriamo fuori ti porto a fare un giro sul camion dei pompieri…Chiudo gli occhi, mi si stringe il cuore a sentire quelle parole.Cerco di farmi largo tra la folla che preme lì attorno. Devo dire delle cose. Devo dire che stanno sbagliando… devo dirgli che il bambino…L’uomo che è con me mi trattiene per un braccio. E’ calmo e ha uno sguardo saggio. Perché non vuole che io dica nulla?

 

Ho la schiena quasi immobilizzata, dovrei studiare, ma non stacco gli occhi dal video. La prima e la seconda rete della RAI stanno trasmettendo quella diretta a reti unificate. Anche la terza rete si unirà a breve. Si dice che i pompieri stiano scavando anche con le mani il tunnel parallelo, per non far piombare terra nel pozzo, addosso al bambino. Alfredino comunica con Nando il pompiere, dice di volere “uno yogurt con un cucchiaino di ferro”. Ma è molto provato. Si trova in quel posto gelido e fangoso, rischiarato soltanto da una piccola luce calata dall’alto, da 44 ore.Il suo respiro è affannoso. Alterna i momenti in cui comunica a lunghi momenti di silenzio, che fanno temere il peggio.Ancora una volta si continua a ripetere che è questione di attimi. Si fa già il nome del pompiere che si affaccerà dal pozzo parallelo e trarrà in salvo il bimbo. Ma bisogna fare piano, centimetro per centimetro…Mia madre telefona in continuazione dal lavoro – Ancora niente? Ci siamo? Qui siamo tutti in ansia…

 

- Hai visto chi arriva?- mi dice l’uomo come se già lo sapesse.Guardo curioso, cerco di scrutare tra la folla. Eppure dovrei ricordarmene.Poi lo intravedo.Vorrei andare lì e abbracciarlo, ringraziarlo di persona.Ma so che uno come lui non vorrebbe, mi respingerebbe burbero.Si china verso il pozzo, indossa le cuffie, vuole sentire la voce del bimbo. Vuole farsi spiegare di persona come stanno andando le cose.- Quello è un grande uomo … - dice il giovane accanto a me. E’ la prima volta che sento un’ombra di commozione nella sua voce.

 

Il Presidente Pertini a sorpresa arriva a Vermicino nel pomeriggio. La diretta a reti unificate richiama sul posto una quantità crescente di curiosi. Le strade, che dovrebbero restare sgombre per consentire all’ambulanza, che staziona ormai da tempo accanto al pozzo, di defluire, si riempiono di macchine. I porchettari fanno affari d’oro. Da casa ognuno ha la soluzione per tirare fuori il bambino, i centralini di Polizia, Carabinieri e Vigili del Fuoco sono tempestati di telefonate. La gente preme senza che nessuna transenna le separi dal luogo dei soccorsi. E’ il caos più totale, si stimeranno oltre 20000 persone in quei momenti.Il tempo di sentire che sì, stavolta è quella buona, che il campanello suona. Non vorrei staccarmi proprio adesso da quelle immagini, ma devo farlo.Mio padre mi aspetta sotto casa.

 

In macchina non si parla d’altro, mentre cerco di assumere una posizione che non mi faccia vedere le stelle. I nostri discorsi si confondono con i pensieri.Sarà questione di momenti, vedrai… Forza, piccolo amico…L’ultimo Gr che riusciamo a sentire in autostrada dice che è stato finalmente raggiunto il pozzo e si sta allargando il buco di accesso…Siamo nel 1981, il segnale radio sull’Appennino si perde. Non c’è l’RDS, non troviamo più la frequenza. A Savona la lunghezza delle ciminiere ci fanno riflettere su quanto siano terribili 36 metri sotto terra.Mi addormento brevemente.Quando mi risveglio siamo già a Spotorno.Mio padre è fuori dalla macchina, sta parlando con un conoscente che ci aspettava.  Vedo una smorfia che si dipinge sul suo volto e riesco a sentire una esclamazione tra lo sconforto e la rabbia.E’ una frase carpita dal piemontese, lingua che alle volte rende le cose nella loro crudezza.E’ un colpo terribile, un’altra pugnalata.I pompieri si sono affacciati sul pozzo, attraverso il tunnel di collegamento.Ma il bambino non è più dove dovrebbe essere.E’ scivolato altri trenta metri più in basso.

 

La serata è terribile.Nessuno parla, in pochi hanno voglia di mangiare un boccone.E’ solo la televisione, con l’immagine fissa a lasciare trapelare la disperazione che è sopraggiunta.A lungo si discuterà su cosa sia successo.Probabilmente le vibrazioni prodotte dalla trivella hanno fatto scivolare il bambino fino alla impronunciabile profondità di 63 metri.Sembra un incubo ma non lo è. Il bambino è lì da oltre 50 ore.Da un po’ non comunica più, si lamenta soltanto in modo sempre più flebile.I soccorsi si affidano a tentativi disperati.Vengono richiamati gli speleologi, gli stessi che erano stati accantonati dopo le prime ore.Si cercano volontari. Si cerca qualcuno che riesca ad infilarsi in un buco scuro di 25 centimetri di diametro e che scenda giù fino a meno 63.Per le strade non c’è nessuno. L’Italia sta trattenendo il fiato e ha paura di quello che sarà il respiro seguente.Da qualche parte, vicino a Roma, un piccolo uomo sta guardando la stessa scena.Dice alla moglie che va a prendere le sigarette, poi esce di casa.

 

Il giovane indica un uomo al quale gli speleologi stanno applicando un’imbragatura.Lo sento di nuovo emozionarsi. Immagino i suoi occhi lucidi dietro le mie spalle.- Quello è… quello è Angelo. Lui è… Lui è…Non c'è bisogno che me lo dica, lo riconosco, me lo ricordo. E’ Angelo Licheri. Il fattorino sardo che partì di casa di nascosto per raggiungere Vermicino. L’angelo che si gettò nel fango per salvare Alfredino.

 

Non riesco a trovare una posizione, steso sul divano e neanche lo vorrei. Non voglio dormire.Nessuno parla nella stanza.In basso nel monitor scorre inesorabile, crudele e spietato il passare del tempo.E’ mezzanotte quando comincia il disperato tentativo di Angelo Licheri.E’ un uomo magro, minuto, potrebbe passare nello stretto budello.Scende nel tunnel parallelo e, in spazi ristrettissimi riesce ad infilarsi nel pozzo.Dalla televisione arrivano le comunicazioni alle volte affannose, talvolta confuse degli speleologi che, dal pozzo di collegamento comunicano con lui.- Piano… mollate piano… la bianca… la fune bianca…- Lo vedi il bambino?- Più giù… piano! Poco…E così giù nell’oscurità, con una lampadina in testa che rischiara le pareti del pozzo.La roccia lo ferisce, gli porta via la carne, trenta, poi venticinque centimetri di diametro, il pozzo tutto attorno a te, ma ogni metro è essere più vicini a lui.Aspettami, Alfredino, sto arrivando.Aspettami che ti porto in vacanza in Sardegna con me.

 

Angelo lo raggiunge, ma il bimbo è una maschera di fango. Sta rantolando, è una questione di minuti.Le pareti del pozzo sono scivolose, Alfredino è incastrato in una posizione drammatica, con le gambe al petto.Ci sono venticinque centimetri da immaginare, a testa in giù, i respiri affannosi, la testa che si può appena orientare, la lampadina legata al capo che traballa, le braccia tese perché non le puoi piegare, il gelido fango tutto intorno.Angelo cerca di legargli l’imbragatura addosso, ma non c’è spazio per passare oltre con le mani, il bimbo è incastrato.Le corde, tutte attorno… tirate piano… piano!!!L’imbragatura scivola via. Di nuovo, da capo. Dai Alfredino che ti porto al mare con me… Di nuovo le corde sporche di fango, attorno al braccio, i polsi… niente scivolano via…giù... Ancora, ti tengo per il braccio… Ma il piccolo polsino si spezza… il dolore e la disperazione… Dio… ma perché…? Perché vuoi questo?Il tempo corre… sono già 40 minuti a testa in giù, il limite massimo è 20 per un uomo. Ma Angelo non lo vuole lasciare nel fango. La maglietta, la maglietta, la maglietta… con la forza della disperazione… tirate! Ma anche la maglietta si straccia. Ciao Alfredino… ti mando un bacio con la mano. Sono l’Angelo che è sceso nel fango per cercare di salvare un altro Angelo. Ciao Alfredino… dice Angelo mentre torna su.

 

Angelo Licheri abbandona alle 0.50. Quando torna in superficie è semi svenuto, il corpo dilaniato dalle ferite che si è prodotto contro le pareti di roccia cercando di salvare quel bambino. Verrà ricoverato in ospedale a Frascati e porterà addosso per tutta la vita i segni, non solo fisici di quella notte.Rifiuterà medaglie, denaro e onori.Considero Angelo Licheri uno degli eroi più grandi di questo Paese.Ora si dice che viva, dimenticato, con la pensione di 600 euro.Uno Stato che si dimentica di un uomo simile non può avere la dignità di definirsi tale.Spesso però questo è il destino delle brave persone in questa Nazione.

 

La situazione è ormai disperata, sfugge a un controllo che non c’è mai stato.Pertini osserva in piedi impietrito, rincuora la madre di Alfredino come può.In molti lo vedranno piangere in silenzio, da solo, nella macchina presidenziale, quando le cose saranno finite, la mattina dopo.Vermicino è piena di volontari, si scatena la fiera dell’improvvisazione, nani, contorsionisti… viene imbragato persino un ragazzo di sedici anni, prima che un magistrato blocchi tutto.Sono ore che in casa nessuno parla. Qualcuno chiede se sono stanco.Chi può farcela a dormire in una notte come quella?Le case sono piene di luci azzurre diffuse dalle tv, l’audio arriva anche da fuori, seppur soffuso.E’ quasi mattina quando si presenta un altro volontario.E’ un giovane e minuto speleologo abruzzese, si chiama Donato Caruso.E’ esperto, deciso, determinato.Scende nel pozzo per due volte.Arriva entrambe le volte al bimbo, fa addirittura fatica a riconoscerlo, tanto è sommerso dal fango.Cerca di bloccare il polso del bambino con un paio di manette.Ma l’inferno del fango ancora una volta ha la meglio.Quando il coraggioso giovane torna in superficie, è ormai l’alba di sabato 13 giugno. Le sue parole decretano la parola fine e liberano uno sgomento e un pianto incredulo che non ha ancora trovato pace.Alfredino non respira più.

 

Albeggia.Ero venuto fin qui per dirti che c’è ancora chi ti ricorda, che non ti abbiamo dimenticato.Mi sarei aspettato che qui ci fosse qualcosa che parlasse di te, invece nulla… Potrai mai perdonarci? Potremo mai essere perdonati per averti lasciato morire in quella notte lontana e ancora avere paura di raccontare la tua storia?Non so perché, ma ho la sensazione che l’uomo dietro di me in qualche momento stia ascoltando i miei pensieri e stia sorridendo di un sorriso amaro...Mi volto per averne conferma.Non c’è nessuno.Non c’è nessuno nel raggio di cento metri.Non c’è più nessuno neanche di fronte al posto dove un tempo c’era il pozzo.Nessuno.Un attimo prima c’era e mi sorrideva.Quasi fosse un sorriso lontano, visto solo in una fotografia in bianco e nero.Ero venuto fin qui per dirti che c’è ancora chi ti ricorda, che non ti abbiamo dimenticato.Ma forse mi rendo conto solo ora che l’unica cosa che vorrei davvero dirti è chiederti perdono.Mi chino e lascio che un po’ di questa terra mi scivoli tra le mani.Poi mi avvio verso la macchina.

 

Sciascia disse che si riusciva ad andare sulla luna, ma non a salvare un bambino finito in un pozzo.Non c’è dolore collettivo più straziante e inconsolabile che io ricordi, come quello provato per quel bambino che non siamo riusciti a salvare tanti anni fa.E dire che a queste cose avremmo dovuto fare il callo.Forse perché ciò che ci spacciano come dolore oggi è falso, spettacolarizzato, ricattatorio.A Vermicino invece non c’era nulla di morboso, abbiamo pianto tutti di un dolore vero, sincero, ingenuo, umile, straziante.Era l’innocenza di una nazione che veniva sepolta e moriva con lui.Forse quella notte, come hanno scritto in tanti, siamo precipitati tutti con Alfredino in fondo a quel pozzo.

 

So che vi state chiedendo che cosa possa c’entrare tutto questo con un sito del Toro.Ma sono convinto che, se siete arrivati fino a questo punto, è una cosa che sapete già.Alle volte è la potenza dei nostri ricordi granata che si è legata in modo così indissolubile ai fatti della nostra vita.O forse ci sono storie che non hanno per forza bisogno di una palla che rotola in fondo al sacco per collimare col nostro spirito.Questa è una storia che parla sentimenti veri e di eroi, di brava gente.Forse parla più di Toro questa storia che tante altre, anche se non ci sono maglie granata sullo sfondo o come soggetto. Anche se purtroppo non c’è nessuno che realizzi il gol finale.

 

- Sei contento? Ha segnato Pulici!Sono di nuovo ragazzino al mare, di fronte alla gelateria. E’ sabato sera.La luce in alto di poco fa è svanita, non me ne ricordo quasi più. E’ stato un attimo.- Certo che sono contento… - ma sono distratto. Posso quasi annusare lo sgomento nell’aria, mentre i rumori si diffondono soffusi.Come puoi venire a patti con un dolore tanto grande se non rimuovendolo?Mentre mangio quel gelato, nel tepore triste della sera, mi chiedo se ce la farò mai a dimenticare questa cosa strana e amara che aleggia tra di noi senza parlare. Se avrà mai un senso.O se un giorno ritroverò questo dolore lì dove l’ho sepolto. Sul fondo di un pozzo profondo quanto una vita.

 

Il corpo di Alfredino Rampi venne recuperato l’11 luglio 1981, un mese più tardi, dopo lunghi lavori. Ai funerali partecipò una folla immensa. Si aprirono polemiche a non finire, sui soccorsi e sul ruolo avuto dai media nella vicenda. Sul corpo del bambino venne ritrovata una imbragatura e si ipotizzò addirittura che qualcuno lo avesse calato volontariamente nel pozzo, si parlò addirittura della P2, intenzionata a sviare l’attenzione del paese in quei giorni drammatici, ma nulla venne mai scoperto o provato. La tragedia di Alfredino Rampi, l’improvvisazione e i numerosi errori commessi nella fase dei soccorsi, segnarono una svolta nel campo della Protezione Civile in Italia.Il Centro Alfredo Rampi, fondato dalla mamma di Alfredino si occupa ormai da molti anni di sicurezza e di prevenzione. Se volete, il sito è In rete si trova poco materiale su questa tragedia dimenticata. Esiste però un toccante video montato sulla canzone dei Baustelle “Alfredo”, che vi invito a guardare:Per chi fosse interessato ad approfondire questa triste e toccante vicenda, consiglio il bel libro di Massimo Gamba, “Vermicino, l’Italia nel pozzo”, edito da Sperling & Kupfer nel 2007, dal quale è tratta la foto dell’articolo. Mauro Saglietti