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mondo granata
Cari amici,
prosegue anche oggi la rassegna di "Istantanee estate", racconti o riflessioni scritte da voi tifosi.
Oggi è il turno di Francesco Cuzzi, con dei pensieri di speranza, raccolti nel lontano 1973, quando lo scudetto non era ancora tornato dopo Superga. Credo che Francesco (nella foto alla Pellerina sempre nel 1973) sarebbe diventato un punto di riferimento nel panorama della letteratura granata. Un male incurabile però, se lo è portato via nel 1987. Oggi, forse più di allora, vale la pena di rileggere i suoi scritti per comprenderne il valore e le potenzialità.
Ciao! Mauro.
BATTE SEMPRE IL MIO VECCHIO CUORE GRANATA5.5.73
Di Francesco Cuzzi
Un cortile fatto a sassi nel vecchio borgo S.Salvario, a due passi da Porta Nuova, una specie di pallone riempito di stracci, quando un bambino di famiglia operaia non poteva permettersi di più. Non era ancora il 1950 e lì nasceva la mia passione granata. Non ricordo ancora bene il perché, forse perché allora era la squadra più forte, forse perché portava il nome della mia città, forse perché il colore della maglia era quello che più si adattava alle idee politiche della mia famiglia, uscita da poco dal travaglio della Resistenza.Nella mia famiglia il calcio non destava alcun interesse e fu per questo che solo a undici anni misi per la prima volta piede nel vecchio stadio di Via Filadelfia. Ma già molto prima era vivo in me l’amore per il Torino: mio padre passavano le domeniche in casa e io a dare quattro calci nel solito cortile con l’unico amico che avevo.Nel tardo pomeriggio, quando i miei sonnecchiavano ancora, mi recavo di corsa (e a loro insaputa) al più vicino bar per leggere sulla tabella del Totocalcio il risultato del Torino. C’era in me tanta ansia già allora mentre correvo sul marciapiede di Via Nizza.E al ritorno gioia o delusione, forse più spesso delusione dopo quella fatale sera che segnò la fine del Grande Torino. La ricordo ancora nitidamente. Cenavamo in una grigia serata di maggio, quando fu una vicina di casa a bussarci alla porta per venirci a dire cosa era successo. Anche se a meno di sette anni il senso del dolore è limitato a breve, ricordo chiaramente che rimasi molto male e soffrii non poco; intanto la radio ne dava conferma con gli agghiaccianti particolari.Poi andammo tutti in strada: c’era una penosa animazione, gente che piangeva, anche vecchiette che non avevano mai visto un dribbling di Valentino Mazzola.Quel tragico episodio servì per stringermi con più legame ancora alla bandiera granata, una bandiera che a maggior ragione, quasi per vendetta al tragico destino, non avrei mai dovuto abbandonare.Passò qualche anno e finalmente riuscii a frequentare lo stadio, racimolando in qualche modo le 200-300 lire del prezzo di un ridotto. Presto non avrei perso più una partita.Il mio entusiasmo non era però compensato dal rendimento della squadra. Sì, diverse vittorie, talvolta con buon punteggio e talvolta con la già allora odiata juventus, consolavano di tanto in tanto le mie domeniche; ma la classifica non ci vedeva mai nella prima metà e spesso si lottava per non retrocedere.Nel frattempo la mia famiglia si era trasferita in Via Tonale, io facevo le medie inferiori, e avevo, a casa e a scuola, tanti amici del Toro. Alla domenica si andava tutti assieme al vecchio Filadelfia e non solo alla domenica, anche in parecchi giorni feriali a vedere gli allenamenti: erano i tempi di Bacci e Bertoloni, di Antoniotti e di Arce, di Jeppson e di Tacchi. Il Milan dominava e anche l’Inter e la Juventus erano più forti del Torino, ma la città , ancora quasi intatta dall’immigrazione. Era granata all’ 80%.Passò qualche altro anno, la mia famiglia si era trasferita in Via Canelli e io studiavo all’Avogadro. Erano anni tristi, non avevo la ragazza del cuore e tutto il mio interesse era rivolto al Torino. Mi ero perfino comprato la bandiera, non senza sacrifici, ma anche in quegli anni le soddisfazioni non arrivavano, finchè, nell’infelice primavera del 1959, la squadra ed io subimmo l’amarezza della retrocessione.Fino all’ultimo momento incitammo i Bearzot e i Bonifici, i Mazzero e i Crippa, anche quando la speranza era ridotta ad un lumicino, ma fu inutile.L’anno dopo ci fu il pronto ritorno in serie A, fu una grande gioia, ma non poté certo essere una soddisfazione paragonabile ad uno scudetto vinto.Oggi, 24 anni dopo il tragico rogo di quella nefasta sera di maggio, lo scudetto non è ancora tornato. Non c’è stata più la retrocessione, ci sono stati un terzo e un secondo posto, due Coppe Italia, molti derby vinti, ma lo scudetto non è ancora tornato a puntellare le undici maglie granata: l’anno scorso ci è mancato un soffio ed è sfuggito via in maniera discutibile proprio quando sembrava fosse la volta buona.Dopo quel falso allarme, quasi presagio per un imminente colpo sicuro, il mio vecchio cuore granata lo desidera ancora più intensamente.E con lui anche gli altri migliaia e migliaia che dal 1949 sognano la rivincita al crudele destino.Non possiamo più aspettare; anche le vie di Torino, quella tradizionale e genuina, desiderano riempirsi di frotte di tifosi che corrono in via Roma a festeggiare la vittoria più sofferta e più attesa.Quel giorno non può essere lontano: la squadra attuale è la più forte dopo Superga, in essa c’è un vento nuovo, una forza nuova, c’è qualcosa che lascia sperare che la nostra lunga attesa stia per finire, il grande giorno stia per giungere.Quel giorno succederanno cose entusiasmanti: lo stadio sarà un’enorme macchia granata, dai tram e dalle case penderanno migliaia di vessilli granata col settimo scudetto, la fotografia di Paolo Pulici comparirà ovunque, migliaia di ragazzi correranno vestiti del colore trionfatore, gli juventini saranno finalmente zittiti e surclassati, sul monumento di piazza S.Carlo ci sarà un enorme ritratto di Claudio Sala con lo stemma tricolore.Quel giorno dai tradizionali quartieri di Torino ai paesini del vecchio Canadese, dal campo di via Filadelfia a corso Vittorio, da Superga alla Curva Maratona, batterà come oggi, come ieri, come sempre il vecchio cuore granata.
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