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Bella Sarai

Bella Sarai - immagine 1
di Mauro Saglietti
Redazione Toro News

L'AMARO CASO. Ci eravamo lasciati due settimane fa, analizzando la classifica dei 10 dischi più venduti nella hit parade di Lelio Luttazzi in data 04-09-1975, in coincidenza con l’inizio del campionato che avrebbe portato il Toro a trionfare.Una classifica che vedeva primeggiare, ormai da qualche tempo, Sabato pomeriggio di Claudio Baglioni.

Come detto, gli sceneggiati la facevano da padrone, con punte di quasi 25 milioni di spettatori, cosa che neanche una finale di Champions riesce a raggiungere.Ritratto di donna velata e l’enigmatico Gamma avevano riscosso un successo che spesso si ripercuoteva sulle sigle, che diventavano improvvisamente popolari, tanto da entrare in classifica.Era successo col tema di Ritratto di donna Velata di Riz Ortolani e la triste ed intrigante Gamma di Enrico Simonetti. Subito dopo questi due sceneggiati, però, la Rai aveva virato improvvisamente, durante il mese di dicembre, con uno sceneggiato in costume, ambientato nella Sicilia del 1800. Uno sceneggiato che si riferiva alla storia della Baronessa di Carini, uccisa dal padre secoli prima, per motivi chi dice passionali, chi economici.Lo sceneggiato vedeva un arrembante ed incosciente Ugo Pagliai, nei panni del discendente di quello che era stato l’amante della Baronessa secoli prima, invaghirsi della stessa discendente della Baronessa, una bellissima Janet Agren, che sarà stata anche monespressiva, ma era bella sul serio.Questo detto con la valutazione degli anni a venire, all’epoca mi sballottavo ancora tra i sette e gli otto anni di vita.Comunque il Pagliai e la Agren la facevano in barba al marito di lei, un assai poco rassicurante Adolfo Celi, a cui la parte del cattivo veniva proprio bene, incuranti dei corsi e ricorsi storici, che pronosticavano per loro la stessa fine tragica dei loro antenati.Ricordo questo sceneggiato di Daniele D’Anza come una vera angoscia, a cominciare dalla ballata di Otello Profazio, che apriva ogni puntata. Mistero se a cantarla fosse Gigi proietti o meno.Impossibile dimenticare quelle note pesanti e angosciose, credo che a un po’ tutti sia rimasta in testa la canzone, che si snodava sulle immagini al rallentatore della Baronessa pugnalata dal padre, Baronessa che lasciava l’impronta della mano insanguinata su di una parete del castello di Carini.Per farla breve, l’immagine di una violenza anche un po’ morbosa, richiamata anche da altri flashback nel corso della narrazione, non lasciava presagire nulla di buono per il finale.Ne parlavano un po’ tutti, persino mio padre, sempre restio a farsi coinvolgere da vicende televisive.- Mi sa che quei due fanno una brutta fine – mi disse il giorno prima dell’ultima puntata.- Ed io, che non ho mai sopportato i finali amari, se non alleviati da un qualche escamotage che li rendesse dolciastri, decisi di non guardare l’ultima puntata, per timore che i due amanti se la vedessero brutta. Cosa che avvenne puntualmente, con i due sventurati pugnalati a morte da uno sgherro di Adolfo Celi.In una recente riedizione (il viziaccio di rifare le cose dell’epoca è duro a morire – solo lo scudetto del Toro non è stato riproposto), i due amanti (lei è Vittoria Puccini) si salvano, in barba a quanto si credesse ormai ovvio.Una delle poche cose cambiate in meglio da allora.

La moda degli sceneggiati televisivi risale agli anni Sessanta con la Cittadella di Alberto Lupo e prosegue con Belfagor, ma è soltanto negli anni Settanta che raccoglie e fa suo, l’interesse per il mistero e il paranormale.E’ il decennio della parapsicologia, di Uri Geller, degli UFO avvistati anche per le scale, di un mistero non più solo giallo, ma che ingloba elementi di inquietudine talvolta violenta, sempre peraltro con una spiegazione. Sono gli anni della fantasia visionaria, ma anche della voglia di razionalizzazione, sebbene semplicistica, ma proprio per questo credibile.E’ Il Segno del comando, sempre del regista Daniele D’Anza a centrare il bersaglio, con una storia che appare ancora attualissima ai giorni nostri, che vede protagonisti nel 1971 Ugo Pagliai e Carla Gravina, attorniati da attori di valore, in una Roma Notturna e misteriosa, spesso onirica e talvoltasgombra dai suoi abitanti.La vicenda prende spunto dalla visita in Italia di un professore inglese, Edward Foster , studioso di Lord Byron, che si imbatte in una storia continuamente a cavallo tra il passato ed il presente. Storia che sembra convergere sulla reincarnazione, sulla storia d’amore tra un pittore e la sua modella.Non rivelo nulla sulla trama di quello che fu uno dei capisaldi del genere, anche perché lo sceneggiato è tutt’ora godibile in dvd. Il finale, pienamente soddisfacente, cavalca l’onirico e chiude una vicenda tutt’ora affascinante.

Sulla scia del Segno del comando, si erano susseguiti diversi lavori, alcuni basati sul fantastico (A come Andromeda), altri sul giallo-poliziesco (Giocando a golf una mattina, Lungo il fiume e sull’acqua), ma era solo stato con Ho incontrato un’ombra, nel 1974, che giallo e sovrannaturale (sebbene poi si rivelasse finzione) si incontravano nuovamente. La vicenda narrava la vicenda di uno stilista d’interni svizzero, nella cui casa (di una modernità anni ’60, quindi ancora moderna ai nostri occhi) qualcuno si introduce di soppiatto, durante la sua assenza.Oggetti spostati, un disco misterioso mal riposto e una donna che entra ed esce dalla villa, un’ombra appunto. Accanto a Sergio Zanetti, apprezzato autore di teatro, recitano la jugoslava Beba Loncar (di cui si persero le tracce artistiche) e l’affascinante Laura Belli, colonna portante di molti sceneggiati.), fino all’epilogo girato in chiaroscuro, dove le ombre sembrano avere la meglio sui protagonisti.

La tecnica televisiva di questi sceneggiati è ancora limitata dai mezzi tecnologici dell’epoca. Si differenzia ancora moltissimo tra interni ed esterni e le differenze di ripresa sono notevoli, con l’immagine esterna più sgranata, e quella interna girata in teatri di posa (gli esterni di Ho incontrato un’ombra furono girati in Svizzera, gli interni nella sede Rai di Napoli).La trama può essere forse ingenua, ma all’epoca la sceneggiatura sembrava di ferro e gli attori di titanio.Chi calca le scene della televisione italiana in quegli anni, non è il primo scalzacane, o la prima facilottona capitata nel letto del politico di turno.In quegli anni si parla di attori di teatro dalla dizione perfetta, da Ugo Pagliai ad Aperto Lupo, passando per Nino Castelnuovo.Molti di questi sceneggiati sono recentemente tornati disponibili in una collana su “giallo e mistero” uscita recentemente in edicola.

Sigla della Baronessa di carini

Breve sigla di Ho incontrato un’ombra

Sigla intera di Ho incontrato un’ombraSigla de Il segno del comando

Sigla di Gamma

 

FRESCURADicevamo, la nostra Hit Parade che fa da trait d’union alla marcia del Toro.Nella classifica dell’11/10/1975, poco prima di Toro-Perugia, non ci sono grandi cambiamenti. L’estate è passata, ma Sabato Pomeriggio è sempre ben saldo al numero 1 e questo la dice lunga sulla quantità di dischi venduti in quegli anni. Si accusava il consumismo dell’epoca, che “bruciava” le canzoni in poco tempo.Alla faccia del poco tempo!Comparato con l’assottigliarsi della qualità di quello che rimane delle rare canzoni di oggi, ci sarebbe da ridere.Volente o nolente credo che la consistenza del periodo in esame possa essere valutata attraverso le arti che lo componevano.Il paragone risulta impietoso, ma questo non vuole essere il solito pezzo nostalgico sull’epoca aurea e bucolica, ma una constatazione dell’implosione attuale, che ha avuto inizio sul finire degli anni ’80.Dietro a Claudio Baglioni però le cose cambiano.Crolla Claudia Mori, escono Homo Sapiens e Santo California, Mina sale al secondo posto e salgono Drupi (personaggio legato fortemente a quegli anni) e Riccardo Cocciante, non ancora notredameggiante, con due pezzi di cui si sono un po’ perse le tracce: Due e L’alba.Fanno il loro ingresso in campo alcuni capisaldi della musica leggera, come Reach out I’ll be there di Gloria Gaynor e Sei Bellissima di Loredana Berté, che peraltro farà una fugace apparizione.Al numero sette invece si affaccia prepotente il disco delicato e in linea con un ingenuo romanticismo, dello sconosciuto Paolo Frescura, Bella dentro.

Amore che mi stringi forte con le mani,Ad occhi chiusi dolcemente ti abbandoni..E capisco, che sei bella dentro tu,In fondo all’anima, segreti non hai più.E nei colori ancora incerti del tramonto,Tra le mie braccia, dolcemente stai piangendo…

Anche il 18/10, giornata precedente Ascoli-Torino, niente e nessuno sembrano poter smuovere Claudio Baglioni dal suo primato, mentre Bella Dentro sale fino al quarto posto e fa il suo ingresso anche Incontro di una Patty Pravo non ancora mummificata. La settimana seguente, col campionato fermo, tutto sembra stabile.Tranne la posizione numero otto, dove compaiono i Goblin, capitanati da Claudio Simonetti, figlio di Enrico, con Profondo Rosso.

Ecco il link a Bella dentro di Paolo Frescura

 

UNA NENIA INFANTILEAlzi la mano chi, in piazza CLN, non ha mai alzato gli occhi alla finestra nella quale la sensitiva in Profondo Rosso, viene presa a mannaiate?Bugiardo chi ha alzato la mano.Conosco sfilze di persone che hanno varcato quel passaggio, cercando di sbirciare se si intravedesse ancora qualcosa dell’assassino, se il corridoio che si sviluppa lungo il passaggio pedonale fosse davvero quello addobbato con quadri e specchi) degni di uno psicopatico.Sono gli anni del mistero, naturalmente, ma anche di una certa percezione violenta, colorata e visionaria del male. Il giallo supera se stesso ed entra in una dimensione morbosa e violenta, eppure geniale, prima di accartocciarsi in una sorta di mestiere parodico, nel corso degli anni.Dici Profondo Rosso e pensi subito a squartamenti. In realtà le scene di violenza (rispetto alla macelleria del regista romano negli anni a venire) non sono poi molte. Ma sono di una violenza tale da lasciare attoniti.E questi lampi di lucida e perversa follia creativa non hanno ancora soverchiato la trama, che diventerà sovrastruttura spesso ingombrante ed instabile nelle sue opere.Profondo rosso viene girato in gran parte a Torino nel 1974, tutti ne conosciamo più o meno le location.Da Piazza CLN, ripulita in notturna dalle macchine, alla collina, dove le ville passano in rassegna. Si dice che una scena (forse quella con i due protagonisti in 500) sia stata girata nell’industrialissimo Corso Umbria dell’epoca.Cimiteri, scuole. Corso Giovanni Lanza preso contromano, il teatro Carignano, l’Hotel Nazionale, Ricordi, il negozio, dal quale David Hemmings, il protagonista, esce con sottobraccio un disco con alcune nenie infantili.E poi naturalmente Villa Scott, in collina, il fulcro del mistero.Convento di suore all’epoca, spedite a Rimini a spese dell’autore per avere campo libero nell’invecchiamento della magione liberty.Pochi film come questo sono legati a una Torino estrema, incombente, nella quale Argento riesce a cogliere il lato oscuro delle cose rassicuranti e abituali.La gente fa la fila al cinema Vittoria, nel 1975, con le mani sulle orecchie, perché spesso dalla fila che esce si urla il nome dell’assassino.Il ché equivale ad andare a vedere il Toro già sapendo che perderà.Sono gli anni del mistero visuale, delle coltellate che squarciano il video, prima che i corpi dei malcapitati. Sono anni creativi e rassicuranti, ma spesso la creatività va ad esplorare zone mai cercate, la violenza visiva, il catastrofismo, la scena finale che fa finire male il film.

L'anno seguente in Italia esce un film completamente diverso, ma forse ancora più angosciante, La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati.E’ uno dei film più spaventosi che io ricordi e difficilmente si presta ad una seconda visione, se non dopo un intervallo di tempo ben determinato.A differenza della violenza incombente e oppressiva degli spazi chiusi di Profondo Rosso, fatta di tonalità scarlatte o intense, l’angoscia de La casa dalle finestre che ridono, nasce dal fatto che l’orrore è ambientato dove meno te lo aspetteresti al mondo, nella Bassa Padana, fatta di tonalità pastello e ampie e sfuggenti vedute.La vicenda narra di un restauratore (Lino Capolicchio), che si imbatte in un affresco raffigurante un martirio, troppo reale per essere una finzione. Storia ambigua, fatta di placidi sentimenti per la bella Francesca Marciano (poi massacrata a coltellate in maniera orribile), con l’immancabile casa isolata nella quale i protagonisti vanno a rifugiarsi, trovandovi in un caso la morte, nell’altro la probabile fine.E’ un film in cui lo scambio dei ruoli, quando non quello dei sessi, è dominante, senza voler troppo svelare. Tema che ritroveremo nella produzione di Pupi Avati, ad esempio nell’Arcano incantatore.Il film si chiude con il protagonista, quasi ferito a morte, preda delle risate delle persone responsabili del terribile e morboso gioco di morte.Sarebbe un finale terribile, ma ecco che sullo sfondo si odono le sirene delle macchine della polizia.Finale imposto dalla produzione. Per Pupi Avati non c’era alcun lieto fine, neppure ambiguo.E' la laconicità di un mondo che avrebbe voluto essere, ma è comunque stato tanto.Dalla metà degli anni Settanta in avanti c’è come un sospiro prolungato, come se il mondo tenesse il fiato.Come dire “Siamo arrivati fino qui, ma non ce la facciamo ad andare oltre”.I film hanno spesso una colonna sonora minima o assente, spesso si ripiega sul cattivo finale come se fosse inevitabile e non ci fosse la forza, neppure disillusa, di andare oltre.La massima evoluzione del pensiero è stata raggiunta, forse.Non a caso ritengo che lo scudetto del Toro sia stata la punta estrema dello sviluppo in quegli anni.E non scherzo.Poi, è tutto un tornare indietro, o un accomodarsi in un orizzonte più mite, in cui non c’è più spazio per la lotta, neanche quella dei sensi.

 

SALE E SCENDE LA MAREAE Sandokan ha… - credo che la mia generazione e forse anche qualcun altro abbia risposto in coro.La Rai, all’inizio del 1976 cala l’asso di cuori, che completa il tris e manda gli spettatori al poker.L’idea è quella di un ennesimo sceneggiato, ma non più basato sul mistero o sulla parapsicologia.Uno sceneggiato tratto dal Sandokan di Salgari.Il successo è strepitoso ed immediato. Lo sconosciuto attore indiano Kabir Bedi diventa una star a tutti gli effetti, diventando il beniamino dei bambini, ma anche delle mamme, a causa del suo fisico scolpito. I papà, optano invece per la Perla di Labuan, Marianna (Carole André, molto carina, mica mettevano un cesso semovente a fare queste parti). In men che non si dica, da ogni parte si parla di Sandokan e la canzone degli Oliver Onions (Guido e Maurizio de Angelis) diventa un cult.

Scorre il sangue nelle vene,Grande vento,Nella notte calma si alzerà…Sandokan, Sandokan, giallo il sole la forza mi dà…

A carnevale i bambini abbandonano in massa gli abiti da Arlecchino e Zorro e si vestono in massa da Sandokan, le bimbe diventano tutte perle di Labuan.

Proprio la perla di Labuan! La sua morte inaspettata, alla fine dell’ultima puntata, strazia il cuore a milioni di italiani, pronti però ad unirsi al loro beniamino, nelle ultimissime scene.- La tigre è ancora viva! - esclama Kabir Bedi prima che le note della sigla recitino la parola fine su questo evento.

Colonna sonora di Profondo Rosso

Scene rilassanti del medesimo film:

Scena de La casa dalle finestre che ridono:

 

IL SORPASSOAlla ripresa del campionato il Toro stende l’inter in casa per 2-1.Così come Paolo Frescura stende tutti e sale fino al numero due della Hit Parade. Salgono anche i Goblin, mentre sale dalla posizione dieci alla otto, un brano melodico che avrà molto successo, la copertina di un rossastro sgranato, le atmosfere languide ma non troppo della canzone d’autore.Sto parlando di Feelings, di Morris Albert.

Il Toro continua la sua corsa e, dopo il pareggio di Marassi, arriva la vittoria casalinga contro il Napoli di Savoldi, propriziata da un golletto furbetto di Pulici, segnato con la mano.La classifica dice che Morris Albert è salito in fretta al numero 5, i Goblin sono quarti, Mina è sempre terza con L’importante è finire, Paolo Frescura mantiene la piazza d’onore e, manco a dirlo, al primo posto continua imperterrito a regnare Baglioni.Ma stiamo parlando di una storia che avrà in un sorpasso il suo momento forte.Uno più piccolo, modesto ma importante, avviene al 29 di novembre, quando la classifica dice che Feelings, dopo essere scesa, è tornata sesta, Mina è quinta, The Hustle di Van McCoy è quarta, Paolo Frescura è sceso al terzo posto e…Incredibile.Baglioni perde la prima posizione, a vantaggio proprio dei Goblin.Il terrore per una volta ha la meglio sull’amore, ma l’annata è ancora lunga e affanni d’amore e spaventi avranno ancora molto da dire.

Feelings di Morris Albert:

 

IL GIOCO DEL PIRATASi gioca tanto negli anni Settanta.La fantasia è al potere e non è certo un problema immaginare uno stadio attorno a una pallina di carta tenuta insieme con il nastro adesivo, per far passare le ore pomeridiane.Il Toro vince quasi sempre, ma la scarsa parzialità non è un problema nei nostri  incontri immaginari.Avremo tempo per abituarci al contrario.Più spesso si gioca in cortile, o in strada, inseguendo un pallone che sbatte contro le portiere delle macchine.I proprietari, furibondi, ci scacciano, ma noi torniamo.Oggi sarebbe improponibile, ma all’epoca giocare era un diritto e gli adulti potevano mettersi in coda.C’è incoscienza nei nostri giochi per strada. La palla che sbuca sulla strada è un potenziale pericolo, ma noi neanche ce ne accorgiamo. Sappiamo bene quando allontanarci, le bande imperversano, ma noi riusciamo, nei limiti, a tenerle alla larga. Ogni quartiere ha una sorta di zona protetta, che può essere un marciapiede, o un intero isolato.Quando piove, poi, ci si sposta in casa, dome mille e uno giochi attendono pazienti.C’è il Cinevisor della Mupi, un piccolo proiettore in super 8, i soldatini della Atlantic, terribilmente piccoli ma efficaci, le palline click-clack, che causano lividi e dolori alle nocche se non usate correttamente, il Giocagoal, o il Subbuteo per i più fortunati.Oppure ancora Il Gioco delle scudetto, meraviglioso gioco in scatola, che simula un intero campionato e le sue giornate.Spesso ci si diverte con poco. Il Gioco del Pirata è destinato a durare negli anni, forse proprio per la sua semplicità. Si tratta di un pupazzo che viene inserito in una botte piena di fessure. In queste fessure vengono infilati dei pugnali di plastica. Vince chi riesce a far saltare fuori il pirata con la pugnalata giusta, ogni volta random.Sembra una scemenza, ma ricordo interi pomeriggi trascorsi a far passare il tempo in questo modo.Quando poi non si ha voglia di giocare, si possono vivere gli anni migliori di Topolino, in letture che durano un intero pomeriggio, o altresì si può immaginare di avere un rifugio segreto e protetto come quello di Paperinik.

Quando poi il giorno sfuma verso la sera, allora ecco aprirsi il mondo della televisione, fatto non soltanto di sceneggiati e di varietà.Ma di questo, come di pubblicità, avvenimenti, e della nostra classifica che, con i suoi successi, ci  porta lontano, parleremo tra una o due settimane, nella nuova puntata di Bella Sarai - viaggio negli anni Settanta. Mauro Saglietti

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