mondo granata

Bella Sarai

Redazione Toro News
Partiamo dal 1975, come spunto, ma in realtà parliamo degli anni ’70 e di quello che capitava attorno al Comunale, mentre Pulici infilzava senza pietà le difese avversarie.E non solo Pulici.Ma ripercorrere ancora una volta quel...

Partiamo dal 1975, come spunto, ma in realtà parliamo degli anni ’70 e di quello che capitava attorno al Comunale, mentre Pulici infilzava senza pietà le difese avversarie.E non solo Pulici.Ma ripercorrere ancora una volta quel campionato, alla lunga può diventare retorica, avendo come unico termine di paragone la pochezza del presente.Facciamo allora un viaggio, tutti insieme, prendendo spunto da tutto il resto.Tutto quello che non era Toro, ma lo era comunque.Perché quegli anni erano il Toro.C’è un pezzo di noi in tutto quello che ci circondava e vale la pena di ricordarlo.Con tutte le cose dimenticate, che capitavano in quel periodo, a ben vedere, è stato ovvio che siano nati dei miti.Questi sono ricordi, altro che retorica, e se il presente non ci offre quasi nulla, allora tanto meglio.Vorrà dire che almeno abbiamo vissuto e messo da parte benzina per questi tempi.In carrozza, signori. Si parte

 

Lo scheletro nell’armadioIl campionato ha inizio con Claudio Baglioni in testa alla classifica, con Sabato Pomeriggio.E capirai, non è una novità per quei tempi.C’era una vena particolare in quegli anni, strani e frammisti di mille spettacolari venature cromatiche chiamate sensazioni.C’era la voglia, che aveva avuto inizio anni prima, di rivendicare nel sociale la propria consapevolezza, e soprattutto il movimento femminile aveva assunto una consapevolezza che in molti, passati i primi momenti di sarcasmo, cominciavano a vedere con timore.Cosa che, paragonata alle puttanerie conclamate di oggi e alla mercificazione spudorata e per giunta rivendicata con superbia, del corpo femminile come mezzo per ottenere, mi fa venire da ridere.Per carità, direte voi, fesso chi dà qualcosa, in cambio di questo.Ma questo è un altro discorso, reso più umiliante dal fatto che spesso le madri di oggi, che spingono le loro bambole siliconate nel letto del potente di turno, sono le stesse persone che trent’anni fa gridavano “Io sono mia”, nei cortei.Sono cambiati gli anni, siamo cambiati noi.Non credo che l’evoluzione tecnologica ci abbia portato sulla via del miglioramento intellettivo e culturale.Ma anche questa è un’altra storia.Dicevo, c’è ancora tanta voglia di innamorarsi e di lasciare andare il proprio cuore, al di là delle opportunità più o meno facili di quegli anni.E così Baglioni può imperversare per mesi con il suo Passerotto non andare via, che, se dopo qualche anno è sembrato ridicolo, all’epoca dell’uscita del singolo, non lo fu per nulla.In una tale offerta di emozioni, canzoni e sentimenti talvolta contorti, il sole del sabato pomeriggio alle volte poteva davvero sembrare rosso e placido come quello della copertina del disco.Certo, Baglioni tirò avanti per la sua strada e si arrivò all’inevitabile Baglioni, ci hai rotto i coglioni, del concerto tenuto nel 1989 a Torino con Youssou Ndour, Peter Gabriel, Sting e Springsteen, ma alzi la mano chi non ha scheletri nell’armadio.Giochiamo tutti a fare i duri, a recitare la nostra parte di machi ridicoli e prevedibili, quando la trasgressione sarebbe forse  essere noi stessi, ma chi non ha uno scheletro nell’armadio chiamato Baglioni?Sia un 45 giri, un concerto, oppure una canzone che piaceva ad una donna lontana?Eccovi il link, per chi si sente di fare un balzo indietro, per qualche inguaribile romantico, o anche solo per chi ha voglia di cliccarlo di nascosto.

 

Di nuovo tante scuseIl Toro perde a Bologna ad inizio ottobre del 1975.Per quel periodo la classifica dei 45 giri è un ribollire di canzoni soft-melodiche che si ricordano ancora adesso, passate attraverso le varie fasi della nostra vita, dalla candeggina del voler dimenticare, attraverso la soda caustica del sarcasmo, atterrate infine nell’aeroporto del ricordo e del rimpianto, quando ci siamo resi conto che l’aereo che doveva portarci in capo al mondo, in realtà ci aveva fatto fare soltanto il giro dell’isolato.Al secondo posto c’è il brano a tre dimensioni Buonasera Dottore, cantato da Claudia Mori, le cui parole sono state scritte, pensate un po’, da Paolo Limiti.Dico “a tre dimensioni”, perché ancora non mi è chiaro se questo pezzo sia solo stato radiofonico, o avrebbe potuto essere rappresentato da uno splendido videoclip, o da un passaggio teatrale.Conoscete tutti la storia. Ma quello che la rende a tratti stupefacente è la libertà con cui si parla di adulterio, in quel periodo.E non lo si fa in maniera un po’ politically correct, come nel Tanta voglia di lei di Poohlandia.No, qui lui, il marito, alla fine va dall’amante. Oggi molti si scandalizzerebbero, al 90% in maniera ipocrita.All’epoca nessuno levò gli scudi per questo. Ciò stride ancora maggiormente considerando il fatto che spesso la Mori e il marito si sonno appoggiati a canzoncine moraliste (Chi non lavora non fa l’amore – il ché in periodo di crisi e disoccupazione suona come una gran cazzata) e Celentano stesso aveva preso, dopo qualche anno, una posizione antiabortista nella canzone Deus.Mi piace ricordare, più che la canzone della Mori, questo gustosissimo sketch, ancora oggi irresistibile, tratto da Di nuovo tante scuse, lo spettacolo di varietà di Sandra Mondaini e Raimondo Vianello, che andava in onda in quel periodo.

Gustatevelo fino in fondo. E’ ancora un gioiellino.

E se vi è piaciuto, gustatevi ancora questa chicca.La coppia che interpreta uno sketch su E io tra di voi di Charles Aznavour

Appunto, Sandra e Raimondo.Loro spaccano il video con una carezza. Strappano il sorriso a generazioni intere, con ironia e sarcasmo (Oddioooo? Che cosa sonooooo?) senza mai una volgarità, ribaltando il luogo comune della famiglia felice, rinforzandolo addirittura con il loro diniego.Il sabato sera va in onda Di nuovo tante scuse, che segue Tante scuse, andato in onda l’anno precedente.I bambini in particolare attendono la fine del programma, per gustarsi l’imprevedibile sigla finale.Ci sarebbe da scrivere un’istantanea soltanto sui finali dei loro varietà, il cui epilogo cambia di puntata in puntata.

Se il tedoforo Vianello (sulla canzone Ma che amore di Iva Zanicchi – sigla finale di Sai che ti dico?, 1972), aveva dimostrato qualche problema a portare la fiaccola olimpica, nel 1974 Sandra e Raimondo si erano divertiti ad eliminare i Ricchi e Poveri, ospiti fissi di Tante scuse.Nel 1975, con Di nuovo tante scuse, si ha la più famosa delle loro rappresentazioni nelle sigle.Vale a dire il corrersi incontro come due innamorati con sguardo sognante. La scena finale cambia ogni volta, con Vianello che fa precipitare Sandra in una buca, la fa finire contro un albero, la evita per poter giocare a pallone.Eccovi dunque qualche altra “chicca”.

(Ma che amore – Iva Zanicchi – Sai che ti dico? – 1972)

(Non pensarci più – Ricchi e Poveri -1974 – Video utile per rivedere la Marina Occhiena dell’epoca)

(Coriandoli su di noi – Ricchi e Poveri – 1975)

 

Il prato della ferroviaTorniamo alla nostra classifica di ottobre.Al terzo posto un brano che sicuramente è l’apice del pomicionismo di quegli anni.Mi chiedo infatti quanti amori siano nati (e non solo amori), sulle note di Amore grande, amore libero, del Guardiano del Faro.Riflettete, amici. Se siete nati nella parte centrale del 1976, provate un po’ a chiedere a i vostri genitori, se per caso avevano il 45 giri del Guardiano del faro. E se arrossiscono… bè, avete ricostruito parte della vostra personalissima genesi.Il vero nome del Guardiano del Faro era Federico Monti Arduini, tastierista milanese che tirava fuori il meglio dal suo moog.Eccovi un ricordo di quel grande successo, che non fu l’unico.Occhio alle colleghe, mi raccomando

 

Da segnalare ancora in quella classifica, il quinto posto di Jacky James, con Take my heart, cantante del quale si sono perse le tracce. Così non è stato per la sua canzone, che ancora oggi riporta a quei “Middle seventies” capaci di crudeltà e grandi romanticismi nello stesso istante.Oltre a lui però, il sesto e il settimo posto (ho omesso il quarto, di Mina, con L’importante è finire, perché troppo poco kitsch) sono occupati da due brani dal titolo quasi simile.Si tratta di Tornerò dei Santo California e di Tornerai Tornerò degli Homo Sapiens.Ora: se è esistito un limite allo strappalacrimismo di quel decennio, esso è stato toccato con alcuni capisaldi.Nel cinema con i lacrima movie, il cui re incontrastato è L’ultima neve di primavera (guardatelo solo se avete intenzione di uccidervi in pochi minuti). Nelle canzoni con Preghiera dei Cugini di Campagna (Dio mio, da star male) e con Tornerò dei Santo California.La storia è semplice: lui parte per la naja, sorte dannata. Lei, conserva la rosa che lui gli ha regalato prima di partire, “in un libro che non finisce mai di leggere”.Poco importa se il 95% delle ragazze si inzoccolissero a corto raggio, una volta che il proprio ragazzo fosse partito per l’allegra parentesi.La speranza era quella rosa, ormai seccata.Molti tornando dalla naja comunque, si davano all’heavy metal. C’è una spiegazione per tutto.Gli Homo Sapiens, che avrebbero vinto Sanremo nel 1977 con Bella da Morire, sfondarono sul mercato con un motivetto melodico e orecchiabile. Era la regola.La variante, rispetto all’addio di Tornerò, era il ritrovarsi dopo un anno, probabilmente per le vacanze.Sorte dannata che ha fregato tanti.L’ingenuità del testo era rappresentata dal seguente passaggio:

 

Ti ricordi il prato della ferrovia?Rotolavi sporca d’erba e di allegriaErano le sei,io ti ho chiesto “vuoi?”Poi cantavi nel venire via.

 

E me la sono sempre immaginata, questa qui che cantava come un usignolo, dopo un incontro ravvicinato con un altro tipo di volatile (perdonatemi), ma il punto non era quello.Il fatto era che a me la canzone piaceva. E mi piace tuttora.Adoravo cantarla (avevo un gran repertorio dal balcone, cominciato anni prima con Quanto è bella lei di Gianni Nazzaro – i vicini mi odiavano) e mio padre mi registrò proditoriamente.Per anni, e dico per anni, ha rispolverato quel nastro, ghignando alla mia voce ingenua di bambino, che in realtà stava cominciando ad aspirare al “prato della ferrovia”, fino a quando il tempo ebbe la meglio sul dannato supporto magnetico.Eccovi un po’ di link. Vi omaggio anche di quello di Bella da Morire.

(Jackye James – Take my heart)

(Tornerò – Santo California)

(Tornerai Tornerò – Homo Sapiens)

(Bella da morire – Homo Sapiens)

 

Il veloI dischi si consumano in quel periodo, e rimangono in classifica mesi, non giorni.Le prime Radio Pirata sono agli albori ed iniziano timidamente ad occupare la modulazione di frequenza.Ma sono ancora distanti dal poter offrire supporto a chi vuole ascoltare musica.L’unico modo è ancora quello del gira (o mangia) dischi, e di qualche cassetta per i più fortunati.Altrimenti l’appuntamento ufficiale è quello con la classifica Hit Parade, di Lelio Luttazzi, che ogni venerdì per radio, proclama la Canzone Regina.La domenica ci pensa poi Giancarlo Guardalbassi, con i suoi Dischi caldi, ad anticipare la domenica calcistica, urlando a squarciagola il suo Forza Perugia, al termine della trasmissione.Quando però le radio si spengono, alla sera ci si riunisce tutti di fronte al video.E’ l’epoca dei grandi sceneggiati del mistero, che hanno forgiato una generazione intera di giallisti.Tutto ha avuto inizio nel 1971 con Il segno del comando, sceneggiato parapsicologico con Ugo Pagliai e Carla Gravina. Successo non dico planetario ma quasi.All’epoca si potevano toccare punte di 22-23 milioni di spettatori, la metà della popolazione italiana.Altri successi seguono il filone, Giocando a golf una mattina, Lungo il fiume e sull’acqua, Ho incontrato un’ombra.Nel periodo in cui il Toro inizia il suo trionfale cammino verso lo scudetto, sugli schermi va in onda uno sceneggiato che si rivelerà indimenticabile: Ritratto di donna velata, con Nino Castelnuovo e Daria Nicolodi, futura compagna di Dario Argento, nonché madre di Asia.La trama è avvincente. Uno squattrinato collaudatore incontra una misteriosa ragazza, che si identifica con una donna altrettanto misteriosa, il cui ritratto, nascosto da un velo, è presente nella casa del cugino del collaudatore, a Volterra.In un crescendo di tensione si arriva al sorprendente finale, che non svelo.Eccovi però due clip tratti dallo sceneggiato, tra cui la famosa sigla di Riz Ortolani.

Riguardare oggi uno sceneggiato simile, significa fare i conti col tempo.Ciò che impauriva a morte è diventato risibile.La recitazione è approssimativa, i protagonisti si lasciano scappare dei madonnoni da paura, fumano come turchi.Eppure il prodotto rimane affascinante, intrigante, legato ai nostri ricordi smaliziati.Così come “Gamma”, sceneggiato italo-francese ambientato in un futuro prossimo, che si avvale della colonna sonora di Enrico Simonetti.Un pilota di auto da corsa, dopo un gravissimo incidente, subisce il trapianto di cervello (!!!). Dopo breve, viene però accusato di omicidio. Di chi è il cervello che gli è stato impiantato?Tra i protagonisti troviamo una affascinante Laura Belli.E’ l’eroina degli sceneggiati anni ’70. Di una bellezza sensuale, è già stata protagonista di Ho incontrato un’ombra, accanto a Giancarlo Zanetti, e lo sarà di altri lavori, per poi sparire dalle scene, sul finire della decade.La curiosità dello sceneggiato è che si suppone girato in Francia. Tutti i protagonisti hanno nomi francesi.Rivedendolo però recentemente, mi sono accorto di alcune cose. Alcuni fermi immagine,impossibili all’epoca, mi hanno sicuramente aiutato.Il protagonista, braccato dalla polizia, fugge lungo un’autostrada solitaria a bordo di una moto. Il profilo della collina non mi era nuovo (vedi immagine dell’articolo), quindi, al rallenty, mi sono accorto che egli sta procedendo contromano, su una autostrada probabilmente chiusa per l’occasione.Sulla quale c’è lo svincolo per Villastellone!Ecco l’arcano. Quella parte di sceneggiato è stata girata sul raccordo che, dalla Torino-Savona, porta a Corso Unità d’Italia!E non solo. Altre scene sono state girate al CTO, un’altra di fronte al Palazzo a Vela (non ancora devastato dall’orrendo pala ghiaccio) ed un’ultima nel Piazzale Valdo Fusi, anch’esso non ancora seviziato.Chi se ne frega? Nessuno.Eccovi però il link alla sigla.

 

Abbiamo appena sfiorato il discorso sceneggiati, che ci porterà avanti in questo nostro viaggio.Torneremo a parlare di radio, televisione e della nostra classifica.E di quegli anni in cui credo che lo scudetto del Toro sia stato l’apice dell’apertura mentale.Tutto questo la prossima settimana, nella seconda puntata del nostro viaggio.

 

Bella sarai, è il titolo di una canzone della Bottega dell’arte, del 1978.Ne parleremo più avanti, eccovi il link, comunque.