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Nei giorni scorsi si è parlato talmente tanto di biscotti veri o presunti, che ultimamente riesco a far colazione solo con i cereali. Battute a parte, anche in occasione dell'ultimo turno del girone di qualificazione, non abbiamo perso occasione di dare il peggio di noi, alimentando dubbi, retropensieri e cultura del sospetto. Per giorni non si è parlato d'altro, sia nelle trasmissioni di contorno alle partite dell'Europeo, sia in qualsiasi edizione dei telegiornali. Domenica siamo arrivati al paradosso che il possibile biscotto iberico-croato ha avuto la stessa risonanza delle elezioni greche, decisive per il futuro dell'Europa, oltre che per quello ellenico. Non c'è niente da fare, noi italiani non ce la facciamo proprio a coltivare la sportività, fidandoci del prossimo e del suo spirito agonistico. Da sempre viviamo nel sospetto, applicando le nostre categorie furbesche e machiavelliche anche agli altri; anche a coloro che mai hanno dato prova di farle proprie. E' vero, anni fa Svezie e Danimarca ci fecero lo scherzetto in salsa scandinava, ma è un buon motivo per mettere in croce per giorni i giocatori di Spagna e Croazia? E soprattutto: chi siamo noi per catechizzare e mettere in guardia qualcuno dal fare il furbetto del campetto? Fino a prova contraria è il calcio italiano quello che viene da Calciopoli bis, quello che ha visto i Carabinieri presentarsi a Coverciano, quello che a fine campionato mette in mostra ogni anno partite che più che biscotti sono biscottoni farciti formato famiglia. E' il calcio italiano, infine, che esprime come capitano della propria rappresentativa nazionale, un giocatore che dichiara a sky:“ Chi conosce il calcio e lo vive giorno dopo giorno sa cosa succede. In alcuni casi si dice meglio due feriti che un morto”.Prendo atto. Così come prendo atto del fatto che Spagna e Croazia si sono dimostrate compagini serie e corrette, nonostante noi abbiamo fatto di tutto per alimentare il dubbio e il timore, invitando a giocare in maniera onesta. Direi che abbiamo perso un'ottima occasione per tacere.
Giacomo Serafinelli
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