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Caro Angelo, è la seconda volta che ti scrivo da questa rubrica (la prima esattamente un anno fa) ma vorrei tranquillizzarti, non sono uno psicopatico. Solo che mi ha toccato la tua intervista di ieri. O meglio, i titoli che hanno dato alla tua intervista. Qualche mese fa invocavo da questa rubrica la nascita di corsi di formazione organizzati dalla società per i suoi giocatori: in modo, tra le altre cose, da aiutarvi a non commettere ingenuità ai microfoni.
Comincio io, alla veloce.Primo: caro Angelo, giocate nel Torino FC, società che solo qualche anno fa è morta e risorta nel giro di un estate, con la gente dagli otto agli ottant’anni a darsi il cambio sotto il Comune, giorno e notte, per sapere se questo patrimonio di storie, narrazioni, relazioni sarebbe sopravvissuto o meno. In quei giorni, il nostro giovane capitano – cresciuto nel nostro grembo – decideva di andare a giocare di là. Siamo ipersensibili all’abbandono, potrai capire: trovo encomiabile che non vogliate illudere nessuno, ma insomma.Secondo: vivete a Torino, città cresciuta attorno alla grande fabbrica di automobili e la cui vita è stata da sempre dettata dai ritmi di produzione. E persino il tempo libero, con la squadra bianconera a raccogliere coppette in giro per il mondo pizzicando la “erre”. Il Toro era una specie di riserva indiana in cui la gente sentiva di respirare la sua aria, e non quella che gli dicevano gli altri. Insomma, si tratta di due storie, due mondi opposti… Ecco, secondo te, Angelo: i giornali della città sono più vicini al primo o al secondo? Quando rilasciate le interviste, state un po' più attenti, dovete essere un po' più sospettosi. Noi tifosi ci siamo abituati, abbiamo capito, ma dovete farlo anche voi. Dal giornale di ieri sembrava che tu avessi già deciso di andartene via... e non è così. Ancora un’osservazione tutta mia, da trentasettenne a ventenne. Tu hai detto di voler ottenere “il massimo” dalla tua carriera, e ci mancherebbe. Però, mi permetterai, nella vita non c’è un massimo solo: ce ne sono molti. Prendi Christian Vieri, che qualche settimana fa ha mollato definitivamente il calcio nell’indifferenza generale. Ha giocato sia nel Toro che nella Juve, sia nell’Inter che nel Milan, e poi nella Fiorentina, poi di nuovo nell’Atalanta, ma è come se avesse lasciato dietro una specie di deserto. Forse gli mancheranno i riflettori, e finirà all’Isola dei Famosi a pescare con la cannetta come Coco. Pensa, c’è stata così poca poesia nella carriera di questo centravanti che una volta gli hanno dedicato persino una puntata di Sfide ed è stata più noiosa di un Festival di San Remo. Nonostante la bravura degli autori, la maestria nel montaggio, le montagne di ore di girato, la puntata era stata un disastro perché non c’era una storia da raccontare.
Lui ha solo inseguito il successo. Aveva ottenuto il massimo di cui parlavi tu, però in questo non c'era quasi niente di speciale. Io ti auguro invece di vivere un'avventura diversa, più bella, indipendentemente da quanto, come e dove giocherai.
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