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C’era una Tyrrel a sei ruote

Redazione Toro News
di Mauro Saglietti

Alle 14:30 c’era la partita.Spesso alle ore 15.Ed in quegli anni si vinceva. Porca miseria se si vinceva.Gli anni Settanta furono l’esplosione di quel “cratere vermiglio”, così venne chiamato il Comunale, teatro di spettacoli che hanno condizionato la nostra vita.Storia fin troppo nota.Quando però non si andava allo stadio, o il Toro giocava in trasferta, spesso alle ore 14:00 si poteva assistere allo spettacolo dei Gran Premi di Formula Uno.Che all’epoca erano uno spettacolo sì.Un incosciente spettacolo, fatto da uomini coraggiosi, che correvano su bolidi carichi di benzina pronti a incendiarsi e a portarsi via la loro vita, in cambio di molti soldi, questo sì, ma anche di tanta passione.

 

Quante storie potrebbero essere raccontate sui campioni di quegli anni. Quanti piccoli aneddoti, che ora parrebbero agghiaccianti.Spesso le partenze avvenivano con il pubblico assiepato nel prato a lato del rettilineo. Un miracolo che non sia mai capitata una carneficina.Misure di sicurezza ridicole, persone che fumavano nei box al momento del rifornimento, disordine, disorganizzazione, vita che volava via da un momento all’altro.Molti eroi di quegli anni non sono stati in grado di raccontare la loro storia nel decennio successivo. I fortunati che si sono saputi amministrare, sono quasi dei sopravvissuti e sanno che spesso i migliori si sono persi per strada.

 

Quante storie davvero.Sarebbe bello raccontarle per campionato, con la storia di tutti i protagonisti, giornata dopo giornata.Qui di seguito trovate qualche storia.Furono storie di uomini, prima di tutto. E di motori.Le donne c’erano sempre, ma erano più compagne, che modelle. Fedeli anche quando la sorte voltava le spalle del loro uomo.

 

C’è la storia di Jochen Rindt e delle sue immagini in technicolor.Avrebbe potuto fare il pugile, Rindt, austriaco di 28 anni, che corse per l’ultima volta nella sua vita, a Monza, il 5 settembre 1970, col volto che si ritrovava.E’ veloce Rindt e sta affrontando il passaggio a un tipo di Formula 1 nel quale le soluzioni tecnologiche la stanno facendo decollare verso lo spazio.Monza è un circuito veloce.La sua Lotus, nonostante egli abbia un margine di punti notevole, nella classifica del Campionato, stenta a tenere il passo della Ferrari.Pertanto, nelle prove, vengono abbandonati gli alettoni, decisione che si rivelerà fatale.Al box quel sabato, come sempre, c’è la bella moglie, con cappello di tela largo, che tiene il conto dei tempi.Il destino vuole che le immagini in technicolor riprendano la sua Lotus fiammante, col sole che si riflette sulla lamiera.Cinque minuti più tardi sarà tutto finito.Mentre il pubblico preme sul circuito, “perforando” addirittura alcuni enormi cartelloni pubblicitari, pur di assistere allo show, Rindt sta per affrontare la parabolica.Ma la macchina scarta verso destra e poi piega improvvisamente verso sinistra.Si dirà sia stata la rottura di un alberino di un freno, sollecitato troppo per la mancanza di alettoni.La Lotus picchia contro il guard-rail, ma il destino ci mette del suo.Una delle ruote si infila in una buca, scavata probabilmente da uno spettatore, sotto il guard-rail stesso. La macchina si infila lì sotto, per poi schizzare, smembrata, all’indietro sulla sabbia.La morte del pilota è quasi istantanea.Nessuno riuscirà a batterlo quell’anno.Rindt vedrà il più amaro dei trofei, assegnati alla memoria.A nessuno dopo di lui toccherà quella sorte.

 

C’è la storia di James Hunt.Chi non ricorda questo ragazzone dalla folta chioma bionda, troppo simpatico per essere considerato un antipatico rivale, dai ferraristi, in lacrime per la perdita del titolo mondiale, strappato dalle mani di Niki Lauda?Personaggio estroverso e anticonformista, Hunt comincia a correre in Formula Uno con la March, ma sarà soltanto nel 1974 con la Hesketh, piccola scuderia rivelazione, che si dimostrò al mondo per il campione che era.Irruento, spesso al centro di incidenti, l’inglese era un generoso anticonformista.Troppo bravo e al tempo stesso troppo scomodo, per non essere odiato.Un episodio chiave della sua carriera capitò in occasione del Gran Premio di Montecarlo del 1975, quando, buttato fuori pista da Patrick Depailler alla curva prima del tunnel, attese il nuovo passaggio del pilota francese, nonostante più inservienti tentassero di trattenerlo, per poi lanciarglisi contro simulando il gesto di “Che c… fai?” e fingere di tirargli dietro il casco, per poi infine andarsene imbufalito lungo la pista.James Hunt, il bello per molte ragazze dell’epoca, divenne campione proprio nel 1976, dopo un duello impari con Lauda, messo fuori gioco da un terrificante incidente al Nurburgring, verso la fine del campionato.Con il solo Regazzoni a difendere i colori della rossa, Hunt rosicchiò punti su punti a Lauda, in ospedale.Nonostante l’incredibile ritorno in pista dell’austriaco a soli 40 giorni dall’incidente, l’inglese riesce a presentarsi al gran premio del Giappone (circuito di Fuji) con soli 3 punti di ritardo da Lauda.Ma l’austriaco, sotto un diluvio torrenziale, si ritira al secondo giro.Hunt è in testa, ha il campionato in tasca. Ma le gomme lo tradiscono, deve fermarsi ai box.Quando torna in pista è terzo.Non ci sono le comunicazioni radio, lui non sa nulla di Lauda.Tenta rabbiosamente di arpionare il secondo posto, ma non ce la fa, conclude terzo.Rientra mestamente ai box, pensando di avere fallito. Ma lì gli comunicano di essere campione del mondo.I meccanici lo abbracciano tra le lacrime.Sarà coinvolto nell’incidente che, come vedremo in seguito, nel 1978 costò la vita a Ronnie Peterson, sul circuito di Monza, e sarà uno dei principali accusatori di Riccardo Patrese, poi scagionato.Povero Hunt. Si diceva che bevesse parecchio e forse c’è da credere a queste voci.Se ne andò dal Circus sbattendo la porta, prendendosela con quel business che Ecclestone stava portando avanti sempre più impetuosamente.Sarebbe poi diventato commentatore televisivo, anche lì anticonformista e polemico.Per poi morire di infarto a soli 46 anni.

 

C’è la storia gemella, quella di Niki Lauda.Ma non quella dei trionfi, delle vittorie.Quella dell’uomo, che in quel famoso Gran Premio del Giappone ebbe paura e si ritirò dopo soli due giri.Niki Lauda, il mito vincente, forse non amato quanto Regazzoni, al quale soffiò la prima guida Ferrari, ma preciso, talentuoso, veloce.Campione nel 1975 con la 312 T, sembrava destinato a ripetersi l’anno seguente, con la performante 312 T2. Ma il circuito del Nürburgring, sterminato anello tedesco, improponibile a livello di sicurezza e tempismo dei soccorsi, lo vide protagonista di un terribile incidente dopo soli due giri, dovuto probabilmente alla rottura di una sospensione, mentre tentava di risalire la china dopo una sosta per una foratura.La Ferrari colpì le barriere e prese fuoco.Tre coraggiosi piloti si fermarono, Ertl, Merzario ed Edwards, e lo estrassero dalla macchina in fiamme.Il pilota era conscio e riuscì anche a rimettersi in piedi, ma ben presto cadde vittima del coma.La pelle del viso e delle mani aveva riportato gravi ustioni e per giunta Lauda aveva anche inalato i fumi e di vapori della benzina.Gli venne impartita l’Estrema unzione e lottò per diversi giorni contro la morte.Tornò in pista soltanto 40 giorni più tardi, per il Gran Premio di Monza, classificandosi quarto, con ancora le piaghe sanguinolente sulle mani.Come detto, si presentò in testa all’ultimo Gran Premio, disputato in Giappone, con tre punti di vantaggio su Hunt.Ma Niki ebbe paura. Si ritirò dopo soli due giri, perché tutto era troppo rischioso per lui.L’ingegner Forghieri tentò di coprirlo inventano un malfunzionamento all’impianto elettrico, ma la Magneti Marelli protestò.La verità, la coraggiosa verità, che portò al titolo di Hunt, venne a galla.Enzo Ferrari non lo perdonò, e lo retrocesse al ruolo di seconda guida per la stagione successiva, dietro Carlos Reutemann.Ma Niki aveva troppo talento in pista. Conquistò il titolo con molte gare di anticipo, per poi venire addirittura sostituito da Villeneuve, essendo ormai i rapporti con la Ferrari pessimi, a due gare dal termine del Campionato.

 

C’è la storia di Vittorio Brambilla, il corridore dalla macchina arancione.In quegli anni, tra di noi bambini, quando si gioca, o quando il papà fa un sorpasso ad un altro automobilista, si nomina Niki Lauda come simbolo di vittoria. Quando si corre tutti insieme con i bimbi, se invece qualcuno si attarda, quello è Vittorio Brambilla.Sono tutte balle, perché ancora non possiamo saperlo, ma Vittorio è un valoroso, che spreme la sua vettura in maniera irruenta.E’ nato a Monza, ha i motori nel sangue e di lui si dice che abbia il carattere più focoso di quello di un motore.Comincia la trafila dai Kart, poi arriva alle Formule minori, quindi approda in Formula 1 nel 1974, sulla march Arancione. Nel 1975, in un gran premio funestato dalla morte di Mark Donohue, avvenuta nel warm-up, insegue Lauda e Hunt e si ritrova primo, quando la gara viene conclusa in anticipo, dopo soli 29 giri.Vittorio è così emozionato che, tagliato il traguardo sotto l’acqua battente, perde il controllo della sua vettura e si schianta contro le barriere, danneggiando il musetto della sua March.Quel musetto diventerà un trofeo nella sua officina, a ricordo della sua unica vittoria, oltre che dell’unico podio.Nel 1978, Brambilla, come vedremo in seguito, resterà coinvolto nel terribile incidente che costò la vita a Ronnie Peterson.Nonostante la frattura del cranio, Vittorio si riprese e tornò a correre già l’anno successivo.E’ scomparso nel 2001 in seguito ad un attacco cardiaco.

 

C‘è la storia di Lella Lombardi.Spesso negli anni Settanta, i padri al volante inveiscono contro le donne disinvolte che incontrano per strada.- Guardala lì! Lella Lombardi!In anni di rivendicazioni femminili conclamate e pubbliche, non stupisce vedere una giovane ragazza al volante di una monoposto.Al di là delle facili battute, la Lombardi rimarrà l’unica donna in grado di conquistare punti in un Campionato Mondiale di Formula 1.La storia di Lella Lombardi ha molto in comune con quella di Vittorio Brambilla.Entrambi rappresentano una sorta di anti-mito degli anni ‘70, entrambi ebbero ben poche occasioni per mettersi in luce ed ebbero imprese epiche dalla loro.Per la Lombardi, che nel 1975 corre il suo maggior numero di gran premi, il momento d’oro si ha in occasione del Gran Premio di Spagna.Le condizioni di sicurezza del circuito di Barcellona sono pessime, e se erano considerate pessime allora, soprattutto per quanto riguardava le barriere di sicurezza, c’era da stare sicuri che le condizioni dovessero essere peggio del pessimo.Le prove del sabato saltano, al via Emerson Fittipaldi decide di rinunciare, altri piloti si ritirano dopo un giro in segno di protesta. Oggi sarebbe impossibile, con interessi capestro assai più forti.Dopo 25 giri la Hill di Stonmelen, perde l’alettone, che va a schiantarsi in mezzo alla folla. Ci saranno 5 morti e numerosi feriti. La gara viene sospesa e ai piloti è assegnato un punteggio dimezzato, in quanto non è stata percorsa neanche la metà dei giri previsti.Lella è sesta e le spetta mezzo punto.Mezzo punto di gloria.Da quel momento in avanti non riuscirà a ripetersi e abbandonerà la Formula 1 due anni dopo.Morirà di un male incurabile a soli 51 anni, nel 1992.

 

E poi c’è la storia della Tyrrel a sei ruote.Tutti noi bambini siamo ferraristi ed i modellini di auto più ambiti, quelli della Poljstil, sono quelli di Lauda.Ma c’è un altro modellino che affascina.E’ quello di una macchina blu col numero tre, con le ruote sterzanti.Costa un occhio della testa, ma per quel sogno si può anche rinunciare a una Ferrari.E’ la Tyrrel P34, la famosa “Tyrrel a sei ruote”.

 

Il progetto nasce dalla mente dell’ingegnere Derek Gardner e vede il suo sviluppo nel famigerato 1976.L’idea è quella di allestire una vettura con quattro ruote anteriori di diametro più piccolo, in modo tale che esse siano coperte dalla carenatura frontale e oppongano meno resistenza all’aria.Lo sviluppo tecnico e all’avanguardia, la Goodyear si occupa della creazione dei “ruotini”.I risultati però, non sono pari alle aspettative.La Tyrrel sei ruote soffre di surriscaldamento ai piccoli pneumatici e, mancando i risultati, la Goodyear si disinteressa del progetto.La macchina così affascinante, che faceva sognare noi bambini, verrà messa a riposo dopo soltanto due stagioni, ma nella nostra fantasia ha continuato a correre molto più a lungo.

 

C’è la storia di Ronnie Peterson.Aveva 34 anni quel giorno del 1978 a Monza.Era stato l’eterna promessa della Formula 1. Spesso più veloce dei compagni di  squadra, aveva il suo handicap, che gli era spesso valso il titolo mondiale, nella scarsa capacità di messa a punto della vettura.Sovente utilizzava il settaggio del compagno di scuderia e non sempre questo si adattava alle sue potenzialità di pilota.Era biondissimo lo svedese, sembrava quasi paffutello. Innamoratissimo di Barbara, la sua unica donna, frequentava ormai da anni il Circus.Quel giorno di settembre a Monza, però, le nuvole sembravano addensarsi pesanti sopra alla partenza del rettilineo.Mancavano tre gare alla fine del campionato e la Lotus ‘79 dell’italo-americano Mario Andretti è saldamente al comando del campionato piloti. Seguito a breve però dal compagno di squadra, proprio Ronnie Peterson.La storia si confonde con le voci dei box. Con ciò che sapevano i meccanici.Ronnie è più veloce di Mario, ma il predestinato è quest’ultimo. E’ lui che dovrà vincere il campionato, ordini di scuderia. Colin Chapman, il patron della scuderia, dal caratteristico cappellino gettato in aria dopo ogni vittoria, non ha voluto correre rischi, affidandogli per quella gara, la meno competitiva Lotus ‘78, il modello dell’anno precedente.Più volte Ronnie si è lamentato del trattamento impari che gli viene riservato. Sa che probabilmente a fine stagione lascerà la Lotus per accasarsi alla McLaren. Ma non sono le uniche nubi. Anche con Barbara la storia non ha la stessa fragranza di un tempo, Ronnie ha confidato al padre la possibilità di separarsi da lei.E’ quinto sulla griglia di partenza Ronnie, nonostante la vettura penalizzata. Quel giorno a Monza.Nessuno se ne accorgeva, ma la Formula 1 di quegli anni era ancora pregna di quella disorganizzazione superficiale, che era incapace di prevedere il rischio e si affidava spesso alla buona sorte.La partenza viene data con la bandiera a scacchi, quando ancora le vetture di coda non sono ancora ferme e si stanno posizionando. Per loro è una sorta di partenza lanciata.Al centro del rettilineo si crea una bagarre, con le vetture sopraggiunte che affiancano quelle partite da fermo.Lo spazio non basta per tutti.L’Italiano Riccardo Patrese, nel tentativo di rientrare sulla pista, evitando la zona d’erba, urta la McLaren di James Hunt, la quale a sua volta finisce contro la Lotus di Peterson.L’impatto è tremendo e la Lotus impatta frontalmente contro le barriere.Un istante più tardi, sopraggiunge Vittorio Brambilla, che prende in pieno la Lotus.Le fiamme si levano alte, i soccorsi sono pronti.Nelle immagini di quegli anni, come sempre, si vede una grande confusione attorno alle vetture. Piloti che si gettano oltre il guard-rail con un gesto istintivo per evitare danni peggiori.Civili, carabinieri, meccanici, ognuno che cerca di allontanare gli altri.Dopo l’impatto, le condizioni più gravi sembrano quelle di Vittorio Brambilla, che non riprende conoscenza. Peterson viene estratto dalle lamiere, anche grazie all’aiuto di Hunt, che si è lanciato immediatamente giù dalla sua vettura.

 E’ vivo, ma le sue gambe sono un macello.Si guarda le mani, gesto istintivo, poco prima di essere trasportato in elicottero all’ospedale di Niguarda, dove gli verranno riscontrate 27 fratture.La circolazione a una gamba si presenta critica e si decide di operarlo immediatamente, si dirà poi, senza attendere che le condizioni si stabilizzino ulteriormente.Dopo l’operazione, tutto sembra procedere per il meglio, ma alle 4 di mattina le sue condizioni cominciano a peggiorare.Ronnie Peterson morirà alle prime luci dell’alba, in seguito a embolia gassosa, raro evento post traumatico.Vittorio Brambilla si salverà. Morirà in seguito, come abbiamo visto, all’età di 64 anni.

 

Quante storie davvero.Come detto, sarebbe bello raccontarle per campionato, con la storia di tutti i protagonisti, giornata dopo giornata. Mauro Saglietti