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Che fine abbiamo fatto?

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di Walter Panero “Ma tu che sei di Torino tifi per la Giuve?”Non sto scherzando. Lui la chiama proprio così. Venezia svanisce inesorabilmente alle nostre spalle, avvolta in una coltre di nebbia e di pioggia. Povera, ricca,...
Redazione Toro News

di Walter Panero

 

“Ma tu che sei di Torino tifi per la Giuve?”

Non sto scherzando. Lui la chiama proprio così. Venezia svanisce inesorabilmente alle nostre spalle, avvolta in una coltre di nebbia e di pioggia. Povera, ricca, romantica, struggente, meravigliosa Venezia travolta e soffocata non tanto dalle acque, quanto da orde rumorose di turisti americani e giapponesi tutti uguali, che riempiono ristoranti tutti uguali, dove si mangiano cose tutte uguali e tutte egualmente costose.Venezia con le sue infinite sorprese. Basta saperle scovare allontanandosi soltanto un poco dai posti dove “vanno tutti”, per infilarsi nei vicoli più oscuri che si aprono all'improvviso su grandi piazze. Così ti capita di scoprire un piccolo caffè che ha tante di quelle bandiere e sciarpe granata che persino nei bar di Borgo Vittoria o di Santa Rita se le sognano. Così ti imbatti in una persona che indossa una felpa in tutto e per tutto uguale a quella che portava la tua amica Silvia tempo fa allo stadio: ti avvicini, chiami la persona, sogni di poter parlare di Toro ma ti accorgi che in realtà si tratta di un Inglese, o di un Americano, o di un Sudafricano. Insomma di uno che forse del Toro sa poco o nulla, ma che indossa quella felpa, e non quella di qualche squadra a strisce. Il che ti regala un attimo di bambinesca gioia.Ma Venezia è solo un ricordo sempre più lontano. Dal finestrino si intravede la sagoma di uno stadio. Dev'essere l'”Euganeo”, visto che ormai siamo a Padova. Tra qualche settimana, su quel campo, giocherà anche il mio Toro. Circa mezzora fa, quando salendo sul treno ho visto il mio occasionale compagno di viaggio, ho avuto l’impressione che fosse Spagnolo. Poi, ascoltandolo parlare con la sua fidanzata, o moglie, o quello che è, ho potuto notare l'inconfondibile cantilena. Ed ho capito. Se mi azzardo a dargli dello Spagnolo questo si incavola di brutto, ho pensato, visto che lui è sicuramente Portoghese.Devo parlargli, mi sono detto quasi subito, devo trovare un modo per chiedergli almeno se lui è “Benfiquista” o “Sportinguista”. Non ho mai capito perché quelli che viaggiano o entrano in uno stadio senza pagare il biglietto vengono definiti “Portoghesi”: perché non Svedesi, o Olandesi, o Turchi? Comunque lui il biglietto ce l'ha eccome. Per un po' me lo ha sventolato sotto il naso, così non ho potuto fare a meno di puntare i miei occhi verso di lui. Ho riposto il giornale lasciandolo aperto sulle mie ginocchia sulla pagina che parla della nostra partita di oggi. E pensare che avrei potuto rimanere ancora un giorno a Venezia, visto che sono in ferie fino a domani. Ma no, oggi gioca il Toro. Ho già perso l'ultima di partita. Sarò malato, anzi lo sono di certo, ma proprio non ce la faccio a vivere troppo a lungo senza andare a vedere il mio Toro.

“Andate a Verona? Siete Portoghesi?” ho detto per rompere il ghiaccio.

“Che domanda: è da un bel po' che guardi il mio biglietto, ascolti i miei discorsi e ficchi il naso nei miei affari. Lo sai benissimo da dove vengo e dove vado” avrebbe potuto rispondermi. E invece mi ha guardato ed ha annuito lanciandomi un bel sorriso. Lo stesso sorriso un po' malinconico che a gennaio scorgevo sulle facce dei Portoghesi a Lisbona e nell'Alentejo, dove si beve bene e si mangia ancora meglio. Un sorriso vero, aperto, altro che la scortesia di molti Veneziani che, quando chiedi un'informazione, sembra che gli porti via una banconota da cento euro.

Così è iniziata la nostra lunga chiacchierata. Prima che a Venezia, loro sono stati a Roma, Pisa e Firenze. Ora vanno per l’appunto a Verona, mentre domani saranno a Milano. Torino? No, Torino no. E’ troppo fuori mano. Magari un’altra volta. Magari, chissà…Si parla di Lisbona, del Portogallo, dell’Italia. Poi, come quasi sempre accade in questi casi, si passa al calcio. Lui non può essere altro che “Benfiquista”. Così parliamo di Champions League. Del campionato Italiano e di quello Portoghese. Di come il calcio sia cambiato negli ultimi anni. Di come la dittatura imposta dai grandi club lo stia inesorabilmente rovinando senza che nessuno riesca a fare qualcosa. E ancora di Mourinho (il “migliore” per lui e, a ben vedere, anche per me) e di Cristiano Ronaldo (uno dei migliori per lui e, a ben vedere, anche per me). Di Inter, di Milan e....di Giuve.

No, caro amico di un'ora, non tifo per la Giuve. Insomma per quella roba lì.

“Io tifo per il Toro....il Torino....do you understand? Do you know?”

Certo che conosce. Certo che sa. Certo che ricorda. La tragedia di Superga di cui gli ha parlato suo nonno che ha assistito all’ultima partita degli Invincibili, come no. La finale di Coppa Uefa, come no. La partita col Boavista che ora è fallito e gioca nelle serie inferiori, come no. La maglia color del sangue, solo un po' più scura di quella del suo Benfica, come no.

“Ma che fine avete fatto?” mi domanda pieno di curiosità.

E'  molto dura trovare le parole giuste per dargli una risposta. Già. Che fine abbiamo fatto. Nel mio Inglese maccheronico, che pare uscito da un corso di lingue per corrispondenza, cerco di spiegargli che anche noi abbiamo avuto i nostri problemi. Che qualche anno fa abbiamo conosciuto la bancarotta e che abbiamo perso praticamente tutto. Che ci siamo illusi di poter ripartire in fretta, ma che poi ci siamo ritrovati al punto di partenza. Provo a spiegarglielo, non so se ci riesco. Dai suoi sorrisi e dal suo convinto annuire si direbbe che da parte sua ci sia una vera partecipazione alle nostre disgrazie, ma potrebbe anche trattarsi di semplici gesti di cortesia.

Vorrei spiegargli meglio la nostra storia. Vorrei parlargli della leggenda degli Angeli di Superga, che peraltro lui in parte conosce già. Vorrei raccontargli di Gigi Meroni. Di Pupi. Ma non c'è tempo. L'altoparlante ha appena annunciato che stiamo per arrivare alla stazione di Verona. La sua destinazione, almeno per oggi. Ci salutiamo calorosamente. Dandoci il cinque. Con un sorriso ed un abbozzo di abbraccio.

“Allora forza Toro!” mi dice, stavolta in Italiano, mentre se ne va “...vedrai che tornerete presto grandi....vi aspetto nel nostro Estadio da Luz....ci sei mai stato?”

No, caro amico di cui ignoro persino il nome, non ci sono stato mai. Sono andato una volta a vedere il derby di Lisbona, ma in quella umida serata di gennaio di diversi anni fa si giocava al Joao Alvalade, lo stadio dello Sporting.

Gli sorrido e lo saluto ancora con la mano mentre dal finestrino vedo lui e sua moglie, o fidanzata, o quello che è, che scompaiono nella pioggia. Probabilmente non ci vedremo mai più. O forse sì, chissà. Magari, penso, ci sarà davvero un giorno lontano in cui verrò nel tuo bellissimo stadio e non per seguire il vostro derby, ma per tifare per il mio Toro. Magari....Lo so, sto sognando. Ma non ci posso fare nulla se c'è una parte di me che ci spera ancora. Più di ogni altra cosa. Non chiedo poi molto: mi accontenterei di avere un Toro dignitoso. Che torni a giocarsela con chiunque ed ovunque. Un Toro vero. Insomma vorrei semplicemente che, quando  come oggi mi trovo a parlare con qualcuno che non abita in Italia ma che come me vive di calcio, questo qualcuno non si sorprenda quando gli dico che non tifo per la Giuve. E soprattutto mi piacerebbe che nessuno, in nessuna parte del mondo, mi domandasse ancora con un misto di curiosità e di stupore che fine abbiamo fatto noi ed il nostro Toro.

Che poi, a ben vedere, che fine abbiamo fatto, che fine stiamo facendo, non lo capisco pienamente neppure io che pure vivo in Italia e mi nutro tutti i santi giorni di pane e Toro.