Quando non ci sono spunti per rievocare partite del passato (come nel caso di questa settimana in cui i nostri dovranno vedersela in una sfida fuori casa senza precedenti con la matricola Portogruaro), colgo l’occasione per ripercorrere alcune fasi salienti della storia della nostra società calcistica e le notizie che si sono, soprattutto recentemente, alternate sui tentativi di acquisizione del Torino Fottball Club. Nemmeno un anno fa, sulle pagine dei nostri quotidiani torinesi campeggiavano le dichiarazioni di buoni intenti della famiglia Savino e Antonio Tesoro, pronti a rilevare il Toro da Urbano Cairo. Il 25 marzo 2010, sulle righe de La Stampa, a seguito di una conferenza sulle reali intenzioni di acquisizione del club, i Tesoro (padre e figlio) si lamentavano dello scarso interesse che il presidente granata aveva avuto nei loro confronti. Ecco le dichiarazioni dei due: «Dopo il primo incontro in cui Cairo aveva promesso di farci vedere i documenti, non si è più fatto vivo. Noi non siamo dei matti o dei millantatori, se abbiamo fatto questo passo è perché possiamo comprare il Toro e gestirlo in A con prospettive d'Europa sul modello di Genoa, Samp o Palermo». Concludendo con una frase ad effetto: «Se Cairo cambierà idea - dice Antonio Tesoro - noi siamo qua. Per amore delle rose si sopportano le spine». La famiglia Tesoro, dopo quelle dichiarazioni, non venne più tenuta in considerazione da Cairo. Padre e figlio tornarono ben presto a pensare alla loro squadra di calcio di cui erano da pochi mesi proprietari: la Pro Patria. E di loro, sui nostri quotidiani cittadini, non si seppe più nulla se non un tentativo di sondaggio con il presidente Spinelli per l’acquisizione del Livorno. Al Torino, particolare assolutamente da non trascurare per la nostra tifoseria, avrebbero portato due dirigenti dal passato juventino: Michele Padovano e Franco Ceravolo, cresciuti sotto l’egida di Luciano Moggi. Da quei giorni infuocati di marzo, attorno al Toro, si sono poi susseguite altre notizie di potenziali acquirenti, tutte ad effetto, ma prive di fondamento. Dalla Red Bull alla Etihad Airways, concludendo con una fantomatica cordata di imprenditori che così come si è materializzata, altrettanto velocemente è svanita nel volgere di un mese, nel gennaio scorso. In mezzo, le vicende altalenanti di una squadra che stenta nel campionato di serie B.Per caso, ieri, su una testata giornalistica on-line (non certo sui nostri giornali all’ombra della Mole) leggo che la Pro Patria, società che milita nella seconda divisione della Lega Pro (la vecchia C2, tanto per intenderci) non paga gli stipendi da luglio. Immediatamente mi assale un dubbio: ci saranno ancora i Tesoro a capo della squadra? Mi documento e scopro che padre e figlio, dopo aver portato alla retrocessione la Pro Patria con la loro gestione illuminata, che si doveva fondare sul modello di Genoa, Sampdoria e Palermo, a settembre hanno deciso di abbandonare la società. Sull’enciclopedia libera on-line Wikipedia, viene riportata in poche righe, ma precise, l’evoluzione della vicenda: Il 28 settembre 2010, il Presidente, Antonio Tesoro, rassegna le dimissioni a causa delle incomprensioni con la proprietà, rappresentata da Savino Tesoro, padre dello stesso Antonio. Successivamente il patron Savino Tesoro manifesta la volontà di cedere al più presto e a titolo gratuito la società, nella quale non vuole assolutamente più investire un solo euro. A novembre, dopo una situazione di stallo durata oltre un mese, il patron minaccia di mettere in liquidazione la società, causandone la radiazione da tutti i campionati di calcio professionistici.Nel prosieguo della spiegazione, si legge che decisivo è stato l’intervento dell’amministrazione comunale, capitanata dal sindaco di Busto Arsizio e dall’assessore allo sport. Per salvare la società e scongiurare l'avvio della procedura di liquidazione della stessa, vista anche la mancanza di acquirenti, i due amministratori (sindaco e assessore) decidono di fondare il Consorzio "La Tigre nel Cuore", basato sull'azionariato popolare.Da ridere per non piangere al solo pensiero delle dichiarazioni di papà e figlio Tesoro rilasciate meno di undici mesi fa davanti ai taccuini de La Stampa, che, per mezzo del suo giornalista, si prodigava a riportare nel sottotitolo dell’articolo l’affermazione che i due non fossero dei millantatori quando sostenevano di avere le carte in regola per comprare e gestire il Toro.Concludo con una precisazione: chi scrive non è né a favore, né contro il nostro Presidente, piuttosto cerca di attenersi sempre ai fatti per quelli che sono e con un occhio sempre attento a come questi si evolvono nel corso del tempo, diffidando da quei giornali spesso pronti alla notizia ad effetto atta a destabilizzare un uditorio già frastornato di suo.
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