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Chi ce lo fa fare? (La strada che porta al Toro…)

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di Walter Panero Sabato 20 novembre 2010. Mattina. Stazione di Genova Principe.  “Si informano i signori viaggiatori che il treno proveniente dalla Spezia per Torino Porta Nuova viaggia con cinquanta minuti di ritardo diversamente...
Redazione Toro News

di Walter Panero

 

Sabato 20 novembre 2010. Mattina. Stazione di Genova Principe.

 

“Si informano i signori viaggiatori che il treno proveniente dalla Spezia per Torino Porta Nuova viaggia con cinquanta minuti di ritardo diversamente da quanto precedentemente annunciato....ci scusiamo per il disagio....”.Nella sala d'attesa si diffonde un brusio di disapprovazione. L'ennesimo, dopo che di annunci del genere ne saranno stati dati una decina o forse più. Cosa è successo? Non ne ho idea. Qualcuno dice che c'è un'interruzione sulla linea dalle parti di Sestri Levante. So soltanto che il treno che devo prendere è in ritardo epocale. E anche quello dopo che arriva da Livorno. Ci sono tre treni nel giro di un'ora: uno l'ho perso di un niente e gli altri sono dispersi da qualche parte. Poi più nulla fino a mezzogiorno passato. E questi vorrebbero che la gente utilizzasse di più il treno! Sta di fatto che qui si rischia di brutto. Con questi cavolo di ritardi finisce che mi perdo davvero la partita del mio Toro. Non che di solito ci sia tanto da vedere, ma insomma....è il mio Toro e poi, bene o male, le ultime due in casa in qualche modo le abbiamo vinte.

Che fare? Non posso permettermi di aspettare oltre. Bisogna che prenda una decisione. Al più presto. Mi reco allo sportello per ottenere il rimborso del biglietto ottenendo in cambio una pernacchia. “I biglietti sono comunque validi per due mesi”, mi spiega la signora che sta dietro il vetro. E se questa fosse l'ultima volta che vado a Torino in vita mia? Cavoli miei! Fai un po' quello che vuoi con 'sti cavolo di biglietti, tanto io a Torino ci vado comunque, avrei voluto dirle. Invece abbozzo un sorriso ed un ringraziamento. Recupero il mio piccolo trolley rosso dove tengo il Pc portatile, per scrivere nei ritagli di tempo non si sa mai, e mi metto a correre. La sciarpa del Toro, che sempre indosso quando giro per Genova giusto per far capire a tutti chi sono e da dove vengo, mi fa un po' sudare sul collo. Pazienza: non mi va di togliermela adesso. Si mette anche a piovere, ma io quasi non me ne accorgo e proseguo sulla strada che porta al Toro.  

 

Circa un'ora dopo. Sulla strada.

 

“...Sulla Topolino amaranto si sta che è un incanto nel quarantasei....”

canta la voce roca con accento Piemontese ma non troppo che proviene dalla radio. Ha già cantato di ciclisti in fuga, di nasi tristi, di accappatoi azzurri, di alberghi nella pioggia e nella Francia, di gerani e di contadini che hanno paura del mare.Non siamo nel quarantasei (saremmo Campioni d'Italia, cavolo!) e quella che sfreccia nella campagna tra Alessandria ed Asti non è certo una “Topolino”, ma amaranto lo è eccome! Anzi per me è, e sarà sempre, granata come la nostra maglia. Vai bella, vai bella che si arriva a Torino. Vai bella, vai bella che oggi si va allo stadio a vedere il Toro che vince!Ho lasciato la stazione di corsa. Sono arrivato a casa di corsa. Ho fatto prendere un colpo al cuore a mia moglie che riposava ancora e che proprio non aspettava visite. Ho preso le chiavi della macchina e poi sono salito sull'autobus per andare a recuperarla: Genova, a volte, come d'altronde diceva poco fa anche la voce della radio, è una città complicata e capita spesso di posteggiare l'auto così lontano da casa da doverla poi andare a recuperare con l'autobus.

“...Lasciaci tornare ai nostri temporali, Genova ha i giorni tutti uguali....”

canto insieme alla voce della radio. Per la verità oggi è tutto uguale a Genova, ad Asti, a Torino. Nel senso che piove ovunque e comunque, ora più, ora meno.

Arrivo a Torino sotto casa dei miei e c'è ancora tempo per salire e mangiare qualcosa prima che giunga il Polacco, prima di partire per lo stadio, insomma. In ascensore incontro uno che mi vede, tutto trafelato e bagnato con la mia sciarpa al collo, mi guarda con un misto di stupore e compassione. Forse è un gobbo, forse uno dei nostri. Non lo so.

“Arrivi da Genova per vedere il Toro?” mi dice.

Faccio sì con la testa.

“Che coraggio! Ma chi te lo fa fare?”

Non rispondo. In questo momento davvero non lo so chi, che cosa, mi abbia spinto a svegliarmi all'alba, cercare di prendere un treno che non arrivava, tornare a casa, recuperare la macchina, farmi due ore di strada, giungere fin qui tutto bagnato con la prospettiva di bagnarmi ancora e magari anche di vedere il Toro perdere. Non lo so. Ma sta di fatto che sono qui. Sta di fatto che ora mi ingozzo, poi mi vesto da tifoso (solita maglietta, solita camicia, solita felpa e solita sciarpa diversa da quella che indossavo prima) e quindi volo allo stadio dove mi aspetta il Toro. E io, malgrado tutto, saprò anche stavolta essere puntuale all'appuntamento. E poi si sa: quando piove il Toro vince sempre! Col Novara quest'anno abbiamo vinto. E anche col Siena due anni fa. E anche quando battemmo il Genoa per 5 a 2 nel 1991. E anche in quel derby che....va beh. Forse è meglio che mi fermi qui, anche perché poi se no mi vengono in mente le volte in cui invece con la pioggia le abbiamo prese....

 

Torino. Stadio Olimpico. Ore 14.30 e oltre....

 

“Silvia: questo è il Polacco....ehm....cioè....Silvio....”

“Piacere...ma....ma noi ci conosciamo già!”

Silvia, era un po' che volevo presentarti il mio amico Silvio, detto il Polacco. Ma potevate ben dirmelo che vi conoscevate già e mi risparmiavo la pantomima delle presentazioni. Oggi la Silvia, la Stefi ed il loro amico Diego ci fanno l'onore di venire nel “nostro” terzo anello dove c'è talmente poca gente che, a un certo punto, veniamo assaliti dal dubbio che si giochi a porte chiuse. Non ci sono neppure Nives e Fulvio, non c'è l'altro amico Mauro o Massimo o come cavolo si chiama, ci sono dietro di noi il padre ed il figlio di Biella che ormai fanno parte a pieno titolo del nostro gruppo.“Chissà se questa nuova composizione sugli spalti porta bene?”, mi chiedo mentre i ragazzi in campo danno il via alle danze. Sembrerebbe di sì, cavolo! Dopo due minuti siamo in vantaggio con quel diavolo di Sgrigna! Stefi, ora vorrei dirti una cosa, non ti offendere: quando si è in vantaggio non bisognerebbe mai cambiare nulla. Mi è capitato più volte di tenermi un caldo porco o un freddo maiale, perché avevo iniziato a seguire la partita vestito in un certo modo e non volevo cambiare abbigliamento. Quando ho visto che hai modificato la tua posizione e dalla mia sinistra sei passata alla destra, ho capito che le cose si sarebbero messe male. Lo so bene. Non è colpa tua se la nostra “Banda del Buco” ha deciso di offrire il meglio del suo repertorio. Non è colpa tua neppure se Sgrigna spara fuori di un metro, come manco un ragazzino alle prime armi, il rigore del possibile pareggio. Non sarà colpa tua ma sta di fatto che prima che tu ti spostassi eravamo in vantaggio, mentre adesso siamo sotto. Intanto, dall'altra parte gridano di tirar fuori gli attributi che, a mio parere, sono l'unica cosa, proprio l'unica, che oggi non è mancata per niente.Mentre qui piove, Nives se ne sta in qualche spiaggia di Zanzibar a godersi il sole. Me la immagino tutta contenta quando le ho mandato il messaggio del nostro vantaggio. E ora mi immagino lei disperata, con le mani nei capelli biondi, che impreca alla notizia che adesso siamo sotto e che abbiamo pure sbagliato il rigore che avrebbe potuto aggiustare tutto.

Devo assolutamente fare qualcosa. Qualcosa che serva ad invertire le sorti di questa partita. Cambiare posto? Troppo banale. Togliersi il giaccone? Già ho freddo così. Poi mi tocco la testa e sfioro la visiera del mio cappellino, quello degli Springboks che sempre Nives mi ha portato a gennaio dal Sudafrica (ma sempre in Africa te ne stai?!). Potrei....sì potrei....in quel momento la mia mente va in dietro di tanti e tanti anni. Rivedo una strada assolata. E poi anche una piovosa. Vedo un ragazzo in bici che passa tra due ali di folla. Vedo che si porta la mano sulla testa e si sfila il cappellino, o la bandana o quello che è, e lo butta sull'asfalto con forza mentre la gente, noi tra quella, si getta a terra nel tentativo di impossessarsene. Il ragazzo, che ora mostra al mondo intero la sua crapa pelata, si volta, poi abbassa le mani sul manubrio, si alza sui pedali e parte staccando tutti. Lo vedranno dopo l'arrivo, quando lui mostrerà a noi, alla Francia, a tutti quanti, non già gli occhi allegri da Italiano in gita, ma un sorriso timido sul quale si posa un ombra di tristezza e sofferenza. Quel ragazzo si chiama, si chiamava, Marco. E aveva la mia stessa età.Ecco cosa faccio. Anche se non mi chiamo Marco, e non sono un campione, mi levo il cappellino verde e lo butto sul seggiolino vuoto che sta al mio fianco. Mostro a quei quattro gatti che ci sono intorno la mia testa un po' spelacchiata.Servirà? Non so. Tanto vale provarci, mi rispondo.Serve. Serve anche l'entrata in campo di Gasba. Serve il fatto che la Maratona riprenda per un po' a fare la Maratona. Serve soprattutto D'Ambrosio, il goleador di questa pazza giornata. E così sono grandi abbracci. E così posso finalmente stringere la Silvia dopo un gol e dopo una vittoria. E così posso informare Nives della nostra vittoria sudatissima, come da copione Toro, ma strameritata. Ora me la immagino mentre in spiaggia esulta con la sua maglietta granata che nessuno conosce. La maggior parte della gente la prenderà per pazza.Nossignori. Non è pazza. E' solo del Toro!

Fuori ha quasi smesso di piovere. Una giornata che sembrava nata male è invece finita benissimo. Il Toro ha vinto. Col cuore e in rimonta quando tutti ormai erano preparati al peggio. E' la terza vittoria di fila in casa. Il quinto risultato utile consecutivo: non male per una squadra che a detta di  molti rischiava la C. Tornando a casa, in ascensore, rivedo il signore di stamattina. Quello del “chi te lo fa fare”.Ora sì che ho una risposta da dargli. Chi me lo fa fare? Me lo fa fare il Toro. Sono partito da  Genova all'alba, ho tentato di viaggiare in treno, ho superato gli Appennini in macchina, ho preso pioggia e freddo per andare a vedere il mio Toro. Un Toro che spreca, che sbaglia, che rischia di compromettere tutto; ma che lotta, non si dà per vinto, e che alla fine vince. Meritatamente. Anzi di più.  Penso che sì, valeva davvero la pena di fare tutto ciò per vedere questo Toro. Perché quello visto contro il Modena, e anche il sabato prima a Reggio, è davvero il mio Toro. Certo non perfetto e un po' pasticcione, ma sicuramente Toro.

 

Domenica 21 novembre 2010. Primo pomeriggio.

 

“Con quella faccia un po' cosìquell'espressione un po' cosìche abbiamo noi prima di andare a Genovache ben sicuri mai non siamo che quel posto dove andiamonon ci inghiotte e non torniamo più...”

...canta ancora la voce che esce dalla radio. Tanto per cambiare, piove. La macchina amaranto, insomma granata, è pronta a tornare verso “quel mare scuro che si muove anche di notte e non sta fermo mai”. Ci riposeremo per qualche giorno, prima di ripartire verso nuove avventure. Oggi, a Piacenza, non ci saremo. Ma alla prossima in casa, col Siena all'ora di pranzo, saremo nuovamente presenti. Noi, i nostri panini, il cappellino degli Springboks sudafricani pronto ad essere tolto e gettato a terra (non serve....ma se serve....), e la consapevolezza di aver ritrovato un Toro forse non fenomenale ma almeno decente, pieno di coraggio e di voglia di lottare. Durerà, o sarà l'ennesima illusione? Onestamente non lo so, ma nel dubbio preferisco vivere questo momento. E farlo fino in fondo.

 

 

La colonna sonora di questo pezzo è costituita da:

 

Paolo Conte: "La Topolino Amaranto" (1975).

Paolo Conte: "Genova per noi" (1975).

Paolo Conte: "Bartali" (1979).

Paolo Conte: "Una giornata al mare" (1974).

Paolo Conte: "Parigi" (1971).

Paolo Conte: "Via con me" (1990) 

 

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