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Ci penserò domani

Ci penserò domani - immagine 1
di Mauro Saglietti
Redazione Toro News

Il pezzo era già pronto.Bastava soltanto impaginarlo un po’ con cura, per dargli forma di articolo.Un’immagine sospesa nel tempo del gol di Nicola.Uno dei nostri più bei ricordi recenti, amici.Magari qualche riferimento ad una canzone per miscelare il tutto e qualche andirivieni tra passato e presente.Invece no, ragazzi, non me la sento.Soprattutto non è il caso. Sarebbe come una presa in giro, stonerebbe troppo in un momento come questo santificare ricordi che rischiano di essere persi, sostanzialmente rivisti o modificati, alla luce di quanto sta accadendo oggi sul campo.No ragazzi, davvero.Non c’è niente di tanto splendido come il ricordo di Toro-Mantova che potrebbe diventare amaro in caso di sciagurata retrocessione.Se vedrete l’articolo in questa rubrica, allora vorrà dire che le cose stanno andando leggermente meglio, ma adesso proprio no.Meglio parlare di un tempo in cui il Toro faceva il Toro sul serio e la squadra, per quanto non eccelsa fosse, riusciva a regalarci qualche gioia e addirittura a tirare in porta.Un tempo in cui bastava poco perché tutto diventasse avventura.Diamine, se mi concentro mi sembra ancora di risentire il rombo del motore del pullman che ci portava a Milano quel giorno…Ma davvero la storia era cominciata così? Mi tornano alla memoria il rumore di vetri rotti, l’immagine di un ragazzo che scappa per i prati…rumore di onde, che qualche volta ti prendono in pieno, altre volte ti lasciano indenne.Chissà davvero come era cominciata?Forse è meglio lasciare partire la nostra storia dalla fine, da quella telefonata che avrebbe dovuto essere rassicurante…

- Pronto? Lei è il padre di Christian, vero?- Sì, chi parla?- Sono la madre di Mauro, buonasera… senta, i ragazzi hanno telefonato adesso da Milano…- AHI AHI AHI!- …no, aspetti, hanno telefonato adesso per dire che torneranno un po’ più tardi perché c’è stato un piccolo…- AHI AHI AHI AHI AHI!- No, un momento…! Niente di grave… c’è stato un piccolo inconv…- AHI AHI AHI AHI AHI AHI AHI!- Ma no, non faccia così… stanno bene, è solo che…- AHI AHI AHI AHI AHI AHI AHI AHI AHI!!!

 

- Ti dico che una carina così non l’ho mai vista in vita mia! Sono rimasto folgorato…!- Sì, ma… sei sicuro che si… che si chiami così? Che si chiami proprio Sandy? Dico, non è che io voglia smontarti, ma non sembra un nome molto comune…- Guarda, non importa, potrebbe anche chiamarsi Guido; per me farebbe proprio lo stesso.- Ma le hai chiesto il numero alla fine?- No, sono un fesso, ma domani mi apposto sotto casa sua e la aspetto… dici che la becco?- Certo, come no!

La strada scorreva silenziosa sotto le ruote del pullman numero due dei Fedelissimi Granata, direzione San Siro dove avremmo assistito a Inter – Torino, in quel giorno di San Valentino 1988.Eravamo partiti da Piazzetta Reale, dove io e Christian, il mio amico di stadio, c’eravamo dati appuntamento. Non volevo andare da solo ed avevo penato non poco per convincerlo ad accompagnarmi in questa avventura granata. Christian, per quanto fosse ormai quasi ventenne e molto tranquillo, disponeva di due genitori a dir poco apprensivi, che avevano sempre molto mal tollerato il fatto che lo coinvolgessi in migliaia di iniziative, quasi sempre aventi come oggetto il Toro.La madre poi mi odiava: - Ci sei sempre tu di mezzo, sempre! Io lo so che andrete a cacciarvi nei pasticci con questa storia di Milano. Perché non te ne vai da solo, invece di mettere in mezzo mio figlio? – aveva tuonato al telefono- Ma signora, io…- Signora un corno! – era suo padre che parlava adesso – Senti mia moglie com’è agitata! Io lo so che capiterà qualcosa! Lo so!- Venga anche lei, allora, la mettiamo in balconata, in piedi sopra lo striscione…- Non fare lo spiritoso! Vedete di tornare interi!

- Come l’hai messa con i tuoi alla fine? – gli chiesi quando eravamo già quasi a metà strada.- I miei? Ah, bè, speriamo vada davvero tutto bene, mia madre si è sentita male quando mi ha visto andare via con lo zainetto. Ma non preoccuparti, fa sempre così. Piuttosto, tornando a Sandy…Niente da fare, era un chiodo fisso. Non c’era Inter-Toro che tenesse. C’era solo e soltanto il pensiero del giorno dopo e del suo incontro con la bionda ballerina che aveva conosciuto il giorno precedente in una di quelle sfigatissime feste del sabato pomeriggio.Da parte mia invece la mente era occupata nel cercare di dimenticare che l’indomani sarei stato interrogato di Latino pressoché con certezza matematica e ovviamente non avevo fatto lo sforzo di aprire un libro neanche per sbaglio.Ero convinto che nella mia vita si sarebbe abbattuto un uragano travestito da 4, se non peggio.Ma San Siro si avvicinava e con esso l’agitazione per la partita.Tant’era. Quella era la nostra età, quelli i nostri problemi, i nostri pensieri allora assillanti.Indietro Tutta imperversava in quella fine inverno, regalandoci sprazzi di comicità che non avremmo più dimenticato, mentre Massimo Ranieri avrebbe a breve trionfato nel Festival di Sanremo con Perdere l’amore.Mentre però le ruote del pullman ruggivano, il nostro walkman, sempre presente, suonava On the turning away dei nostri Pink Floyd, tratta dall’inaspettato A momentary lapse of reason

Using words you will find are strange Mesmerized as they light the flame Feel the new wind of change On the wings of the night

Mai visto San Siro prima di allora.Italia ’90 non si era ancora abbattuta sui nostri vecchi stadi e il Meazza presentava soltanto due anelli, di cui quello superiore senza divisioni.Eravamo davvero in tanti del Toro quel giorno a seguire Cravero e compagni. I Fedelissimi avevano organizzato ben due pullman, nonostante la squadra non lottasse proprio per lo scudetto. Quella domenica si era davvero in tanti, ragazzi, poche storie.Così, tra un martellamento con Sandy ed il malumore per l’inesorabile Latino, Inter e Torino scesero in campo con il nostro batticuore come sottofondo.

L’Inter di quell’anno non era certo trascendentale come quella che avrebbe stravinto il campionato seguente, ma poteva schierare una formazione con Zenga, Bergomi, Mandolini, Baresi, Calcaterra, Passarella, Ciocci, Piraccini, Altobelli, Matteoli, Serena (proprio lui). Il Toro invece, agli ordini di Radice, rispondeva con Lorieri, Corradini, Ferri, Fuser, Ezio Rossi, Cravero, Berggreen, Sabato, Poster, Comi, Gritti.Pronti via.Il tabellone elettronico (il nostro a Torino andava a carbone) trasmetteva le immagini della partita e qualcuno scelse addirittura di seguire la partita guardando quelle immagini.Non noi, che finimmo inesorabilmente per terra dopo dodici minuti.Un po’ come Berggreen, atterrato in area da Zenga.Rigore. Proprio così, rigore per noi!

Non ci potevamo credere! Rigore in trasferta. Alla gioia immediata si unì l’istintiva paura di sbagliarlo. Zenga, dopo innumerevoli proteste, fece una sceneggiata infinita. Tentò di scoraggiare Cravero, il nostro rigorista, allacciandosi prima una, poi l’altra scarpa, tirandola per le lunghe insomma.Cravero grazie al cielo non si fece intimorire e così dopo poco meno di un quarto d’ora di gioco la rete di San Siro si gonfiò per noi.

Eravamo in vantaggio a Milano contro l’Inter! Chi se lo sarebbe mai aspettato? Chissà cosa avrebbero pensato gli amici alla radio, che ci avevano salutato come se stessimo partendo per la guerra! Perdemmo la voce molto presto quel giorno.E diamine, quante volte l’abbiamo persa in fondo! Ho perso il contoComunque, da lì in avanti fu sofferenza.

Quanto mancava? Mancava troppo, veramente troppo.L’Inter si gettò all’attacco e noi ci difendemmo come si poteva, riuscendo comunque a chiudere il primo tempo ancora in vantaggio.Nell’intervallo tentai di distogliere i pensieri da quella tensione. Ma cosa avevo per distrarmi? Potevo scegliere tra il Latino e il monologo interminabile su Sandy, monologo che grazie a Dio s’interruppe con l’inizio della seconda frazione di gioco.

Il Toro dei giovani giocò una gara gagliarda quel giorno, agendo di rimessa nel secondo tempo e attaccando sotto il nostro settore che li sosteneva incessantemente.Polster ebbe una buona occasione su punizione, poi però l’Inter cominciò il forcing finale. E furono cavoli acidi.

Quanto manca? Venti minuti… no, troppo, dieci, cinque, tre minuti.Non avevo mai visto il Toro vincere in trasferta. Non osavo pensarci o sperare perché il mio entusiasmo non venisse stroncato alla fine, con la solita beffa. Quando sembrava fatta, però, in pieno recupero l’Inter usufruì di un calcio di punizione dal limite.A battere andò giusto uno che non sapeva tirare. Passerella, uno specialista.Occorsero forse due minuti per battere quella punizione. Barriera avanti, indietro, di nuovo avanti. Noi che fischiavamo e ci mutilavamo a forza di gesti scaramantici.Poi Passarella calciò e io guardai quasi con gli occhi socchiusi per paura di vedere la beffa.Alto. Fischio finale.Avevamo vinto! Avevamo vinto a San Siro contro l’Inter!Fu festa ragazzi. Fu una festa bellissima.Inutile che stia qui a raccontarvela, in fondo la potete immaginare.Uscimmo dallo stadio felici come mai, e ci dirigemmo verso i nostri pullman pregustando il viaggio di ritorno, alla faccia di tutte le nostre preoccupazioni.Pochi minuti dopo, però, capitò il patatrac. In tutti i sensi.

- Ma perché non andiamo avanti?Eravamo partiti da due o tre minuti, ma eravamo fermi. Alla nostra destra improvvisamente vedemmo un ragazzo correre verso i prati adiacenti alla strada.E dietro di lui c’erano le forze dell’ordine che lo inseguivano. Lo raggiunsero e lo “placcarono”.Non capimmo nulla fino a quando la gente del pullman numero uno, che si trovava davanti, non venne a comunicarci che il prode ragazzo, tifoso interista, stava scappando dopo aver centrato un vetro del loro veicolo con un sasso. Gagliardo ma soprattutto lento, il giovane coniglio!

Grazie a dio nessuno si fece male, ma il ragazzo fu portato in questura e dovettero essere sbrigate le formalità concernenti la denuncia.In pratica restammo fermi lì. Per almeno due ore.Ora, i telefonini erano ben distanti dal venire. Molto distanti. Così, gli occupanti dei due pullman fecero una coda interminabile per poter telefonare a casa e avvisare così dell’inconveniente.Già. Come avvisare i genitori di Christian?

Mi raccomandai con mia madre. Era necessario utilizzare tutte le cautele perché i due “ansiosi” non ci rimettessero le piume alla notizia.- Digli che il pullman è guasto! Digli che l’autista ha la gastrite! Digli cosa vuoi, ma fallo tu. Se sentono la sua voce si mettono a piangere via telefono!!!Cercammo insomma di prendere tutte le precauzioni, ma, a quanto pare, non fu abbastanza.

- Sai, mi piacerebbe proprio che fosse una bella storia, un’onda che travolgesse tutto e tutti…- Sì, ma sei sicuro che si chiami Sandy?- Ma che mi frega, te l’ho detto… Non vedo l’ora di incontrarla…- Sì, ma metti che non si chiami Sandy…- Ma va….Tornare a casa dopo una vittoria in trasferta è fantastico. Si scherza, ci si rilassa, ci si gode il senso di pienezza e appartenenza.Il walkman suonava Etienne di Guesch Patti, seguita subito dopo da Always on my mind dei Pet Shop Boys  e da Once upon a long ago di Paul McCartney

Making up moons in a minor key What have those tunes got to do with me? Tell me darling Where have you been?

E in quei momenti non c’era più preoccupazione o Latino che tenesse. Bisognava godersi quegli attimi meravigliosi e basta. Le preoccupazioni?Ci avrei pensato domani.

A sera inoltrata, quando arrivammo in Piazzetta Reale, ci imbattemmo nell’ultima sorpresa della giornata.Il pullman non si era ancora fermato che un uomo e una donna stavano cercando di salire a bordo, gridando – Dov’è nostro figlio? Come sta? Dov’è nostro figlio? Ah, sei qui! Stai bene, grazie al cielo!!! I presenti guardavano allibiti, pensando ad uno scherzo.- Dov’è! Dov’è quel disgraziato del tuo amico? E’ sicuramente colpa sua…!Il disgraziato in questione stava già saltellando verso casa, ridendo come un pazzo, con la segreta speranza che il domani non arrivasse mai.

Sandy, che non si chiamava affatto Sandy, come avevo immaginato, non fu un’onda fragorosa, ma uno tsunami. Violento quanto si vuole, ma lasciò dietro di sé macerie e distruzione. Christian ne fu stravolto, tanto da perdere interesse anche per il Toro.A quanto ne so, quell’Inter-Toro fu una delle ultime partite che vide e non so altro di lui.Sotto questo punto di vista sembra proprio che l’abbiano avuta vinta i suoi genitori.

Quello che doveva essere un uragano non mi sfiorò neppure. Il giorno seguente la prof. di Italiano e Latino non si presentò in classe, con mia grande tristezza, come potete immaginare. Trascorsi la giornata a raccontare ai compagni del Toro ogni dettaglio di quella giornata.Ricordandola sorrido: la nostra ultima vittoria in campionato a San Siro.Alle volte va così ragazzi.Qualche volta l’onda ti becca in pieno, altre volta ti sfiora e ti lascia indenne, nell’attesa della prossima.

Ripenso a quei giorni, a quei problemi, a quelle onde.A Christian che fu spazzato via, da un’onda che lui desiderava così tanto.Ai fratelli granata che sono stati portati via e hanno rinunciato, sotto i colpi di cavalloni che hanno martellato incessantemente questo litorale da oltre quindici anni.E ora che si fa? Le nuvole si fanno di nuovo minacciose e siamo in rotta di collisione con l’ennesimo temporale, forse più devastante che mai.Non posso fare altro che aspettare, che altro?Sono stufo di scappare e di scansarmi.Qualche volta l’onda ti becca in pieno, altre volta ti sfiora e ti lascia indenne.Aspetterò l’onda, vada come vada.Ma, se ci riuscirò e ne sarò ancora capace, ci penserò domani. di Mauro Saglietti

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