mondo granata

Con occhi granata

Con occhi granata - immagine 1
di Mauro Saglietti
Redazione Toro News

Nonno, quanto sono?- 0-0- Nonno, quanto sono adesso?- Sempre 0-0- Nonno, quanto sono?- 0-0 ti ho detto! Basta adesso!

 

Per chi non l’avesse capito, quella partita terminò 0-0.Brasile-Jugoslavja, gara inaugurale del Campionato del Mondo 1974, una delle prime partite che ricordo di aver tentato di seguire.Allora il calcio in televisione era ancora cosa rara, quasi un evento.E spesso, se per caso la partita era serale, Carosello veniva annullato.Sinceramente poi non capivo come mai i grandi diventassero così seri di fronte al video.Io ci provavo, ma non c’era verso, resistevo dieci minuti, poi mi veniva voglia di andare via, di scappare lontano. Un po’ come mi è capitato con Udinese e Milan, molto più recentemente.E’ l’unico ricordo di quel Campionato del Mondo.Nessuna memoria di Sanon che scarta Zoff, di Chinaglia che manda a stendere la panchina, di Sparwasser che segna per la Germania Est, delle imprese di Crujff, della pazzia di Jongbloed o della zampata di Gerd Muller.Niente, solo quel lontano Brasile-Jugoslavja.La passione per il Toro, prima che quella per il calcio, doveva ancora esplodere.Questa è la storia dei Mondiali che sono seguiti e di come un tifoso, prima di tutto granata, li abbia vissuti, spesso in controtendenza.

 

Il mondiale di Argentina 1978 arrivava dopo gli esaltanti anni dei duelli con i gobbi per la vetta della classifica.Pulici, Pecci, Graziani, Claudio Sala, Zaccarelli, Patrizio Sala, Castellini, questi i granata in Nazionale a quell’epoca, mica uno o due.Bearzot però schierava in massa il “blocco juventino”, a discapito dei nostri.Motivi? Metteteci quello che volete, ma non venitemi a dire che fossero più forti. Credevamo che l’allenatore fosse “soltanto” influenzato dal potere gobbo. Col tempo siamo venuti a conoscenza di altri episodi spiacevoli, quali l’ostracismo verso i nostri giocatori in occasione della gara contro i padroni di casa biancocelesti. Chiedetelo a uno dei nostri calciatori di allora, e vedrete che bei commenti che sfornerà.All’epoca però tutto sembrava diverso. Sarà stato per la giovane età e per il fatto che il Mondiale era un evento che non conoscevo.O forse per la fame di calcio e la voglia di gustare in televisione le partite.Fatto stava che a ben pochi sarebbe venuto in mente di tifare contro, in quell’avventura.Il senso di appartenenza non era ancora stato inquinato da tutto quello che sarebbe capitato nel corso dei decenni seguenti.L’unico titolare Granata era Graziani, che si trovò ad affrontare un periodo di forma non esaltante proprio poco prima del Mondiale. Sotto i colpi di parte della stampa italiana, madre diretta di quella qualunquista e serva che avremmo imparato a conoscere, il nostro giocatore venne escluso, a favore di Rossi, rivelazione del Lanerossi Vicenza.Il primo giugno 1978 vidi la partita inaugurale, il solito 0-0 tra Germania Ovest e Polonia, quindi il giorno seguente fu il turno dell’Italia, prima gara del girone contro la Francia di Platini. Quaranta secondi e i transalpini avevano già segnato.

 

Neanche il tempo di iniziare.Neanche il tempo di rendermi conto che mi trovavo di fronte a un televisore a colori, quei colori strani che sfarfallavano fuori dalle maglie.Six in fuga sulla destra, in barba a Gentile, traversone e testa di Lacombe. Zoff che prima vola, poi raccoglie la palla in fondo al sacco.Nando Martellini resta muto qualche istante. 1-0 in un attimo.Ricordo mio padre che in quei minuti bersagliava Causio di maledizioni. Lo chiamava il “barone rosso”. E anche il barone di qualcos’altro, ma non posso approfondire.Ero un bambino, credo che in parte si trattenesse. Figuriamoci se fosse stato solo.L’Italia pareggiò alla mezz’ora, con un rocambolesco gol di Rossi e cominciò a macinare gioco.Nella ripresa entrò il nostro Zaccarelli, al posto di Antognoni. Non facemmo tempo ad accorgercene che, su traversone basso dalla destra, un giocatore arpionò la palla di destro, spedendola alle spalle del portiere francese Bertrand-Demanes.Ce ne rendemmo conto solo quando comparve la sovrimpressione.Era stato Zac. Il nostro Zac!Un momento di gloria granata nei Campionati del Mondo di Calcio.

 

L’Italia, partita tra le polemiche vinse 2-1 e andò spedita anche contro l’Ungheria, imponendosi per 3-1. Ormai qualificati al turno successivo, restava da affrontare proprio l’Argentina e sembrava già stabilito che, contro i forti padroni di casa, dovesse giocare il blocco granata.Ma qualcosa capitò nelle ore precedenti, anche se occorsero anni per saperne di più.Giocarono ancora i titolari bianconeri e l’Italia vinse a sorpresa con un gol di Bettega.Furono giorni di autentica e sincera partecipazione collettiva.L’interesse azzurro era tale che alcune sale cinematografiche proiettavano le partite dell’Italia anziché film, e nelle strade non si vedeva anima via.Nel girone seguente l’Italia pareggiò contro la Germania Ovest divorando l’impossibile, vinse a fatica contro l’Austria 1-0, gol di Rossi, partita nella quale ricomparve anche il nostro Graziani, quindi si trovò ad affrontare i forti olandesi nell’ultima gara, match nel quale ai tulipani sarebbe bastato il pari per accedere alla finale. Un autogol di Brandts, che causò anche l’infortunio del proprio portiere Schrijvers, regalò il vantaggio all’Italia.Un risultato che significava finale.In quel mondiale però, dovevamo ancora incontrare un personaggio curioso, che fece amicizia con Zoff, a partire da quella ripresa con gli olandesi.Era figlio del calcio godibile di allora, e si chiamava “tiro da lontano”.

 

Prima Brandts e Haan per l’Olanda.Haan tirò una mina colossale da quaranta metri. Spaventosa. Palo-gol.Poi Nelinho e Dirceu nella finale per il terzo e quarto posto contro il Brasile.Zoff volò da tutte le parti, ma non ne prese una.Furono polemiche a non finire, sul portiere che non prendeva i tiri da lontano, con relative barzellette al traino.A sette minuti dalla fine della finalina con i Brasiliani, quando già l’Italia era sotto 1-2, Bearzot si decise a mandare in campo Claudio Sala.Bontà sua.I brasiliani venivano saltati come birilli. Furono costretti a stenderlo quattro volte ai limiti dell’area per evitare guai peggiori.Sette minuti sette.

 

Il giorno seguente la partita con l’Olanda, l’Italia intera si era però svegliata con la certezza di essere in finale – Gli olandesi erano tutti dopati! Siamo in finale!!! – Non si seppe mai chi fu a divulgare quella bufala, che fece il giro della nazione in un amen anche senza internet.Fu mia madre a dirmelo, svegliandomi quella mattina. Telefonai immediatamente a mio padre per sapere se fosse vero. Mi rispose - Fate furb, asu! Avevo abbastanza elementi per trarre da solo le mie conclusioni.

 

Fu il mondiale di Rossi, dell’austriaco Krankl, del portiere del Perù Quiroga, nato in Argentina, che nella gara contro i padroni di casa beccò sei gol, tanti quanti ne occorrevano all’Argentina per spuntarla sul Brasile e raggiungere la finale. Così i padroni di casa vinsero quel mondiale, come fortemente sperato e voluto dal governo militare.Nella finale, l’arbitro italiano Gonella spezzò ripetutamente la manovra arancione, ammonì quattro olandesi e non vide Passerella spaccare due denti a Neskeens. A pochi secondi dalla fine sul punteggio di 1-1, l’olandese Rensenbrink colpì il palo, prima che i padroni di casa si imponessero nei supplementari per 3-1, con il pazzo portiere Jongbloed che nei minuti finali uscì addirittura in scivolata a centrocampo contro un argentino.Avevo deciso di tifare per l’Olanda, in occasione di quella finale, inaugurando la buona abitudine di tifare per le squadre sfavorite.Il Toro evidentemente non bastava.

1978: tre Papi, cronaca nera, tensioni sociali e un mondiale da ricordare.Il vero Mondiale si sarebbe disputato quattro anni più tardi.

 

- So che vincereteh… (urla del pubblico)- Vincereteh tre a uno…(urla del pubblico, se possibili ancora più forti).La splendida avventura in Spagna passa anche per le parole di Mike Jagger, l’11 luglio del 1982, il giorno della finale.I Rolling Stones avrebbero dovuto tenere due concerti al Comunale, di cui il primo proprio quel giorno. La concomitanza con la finale dei Mondiali fece sì che il primo concerto venisse spostato al pomeriggio. Il buon Mike non indovinò solo l’esito finale, ma anche il risultato.Si sapeva che lui fosse una rockstar carismatica, ma non fino a questo punto.

 

Per molti il 1982 ricorda l’estate in cui Pulici lasciò il Toro. Per altri invece la musica che fece da colonna sonora.Ricordate? Da da da dei Trio, Un’estate al mare di Giuni Russo, Bravi ragazzi di Miguel Bosé, Tanz Bambolina di Alberto Camerini, Paradise di Phoebe Cates (bona!), Just an illusion degli Imagination, Non sono una signora della Berté, Harden my heart dei Quarterflash, Eye in the Sky di Alan Parson, Masterpiece di Gazebo, Flash in the night dei Secret service e molti altri.Ma soprattutto l’estate di un disco uscito qualche mese prima, frutto del genio di un non più giovanissimo cantautore siciliano. Quel cantautore col codino che mesi prima si era presentato alla rassegna autunnale della musica a Venezia, cantando Bandiera bianca.La voce del padrone di Franco Battiato impiegò mesi per esplodere e raggiungere il numero uno. Un successo sorprendente, fatto di composizioni che confondevano quelle che sembravano rime strampalate, con messaggi poetici. Mi piaceva da morire, inutile negarlo. Mi incuriosiva quel non so ché di nuovo e dissacrante che si discostava dai soliti 45 giti a base di amore-cuore. Quella fu veramente la colonna sonora non solo dell’estate ma anche del Mondiale di Spagna.

 

Il calcio italiano usciva dallo scandalo scommesse di due anni prima.Lo scandalo dopo il quale Milan e Lazio erano state spedite in B, senza che nessun primo violino, o pappagallo di professione, gridasse al complotto. Lo scandalo che aveva visto coinvolti e squalificati fior di giocatori, a cominciare dal Pablito di Argentina ’78, nel frattempo passato ai gobbi. Uno scandalo che rimase con molti punti oscuri. Ed insoluti.Rossi tornò a giocare un paio di mesi prima dell’inizio del Campionato del Mondo e davvero ci si chiedeva se avrebbe potuto fare la differenza.Quanto a noi del Toro, avevamo il nostro Dossena in Nazionale, che veniva puntualmente fischiato ogni volta che vestiva la maglia azzurra. E poi c’era “Spadino” Selvaggi, appena prelevato dal Cagliari.Nessuno di loro giocò neanche un minuto. Pace e Amen, c’erano.

 

Mi viene ancora in mente la faccia di Aldo Biscardi all’inizio della puntata del Processo ai Mondiali iniziata pochi minuti dopo Italia-Camerun, giocata in un caldissimo pomeriggio.Sì, proprio lui, lo dico per i più giovani. C’era anche allora. Aveva il volto contratto in una smorfia di rabbia, un viso che gli vidi soltanto pochi minuti dopo la fine di Roma-Liverpool del 1984. Parlava di prestazione vergognosa, di squadra senza capo né coda.Non aveva tutti i torti, l’Italia si era appena qualificata con tre pareggi, 0-0 con la Polonia, 1-1 contro il Perù e nuovo 1-1 col Camerun (che era sembrato appagato dal risultato).Pressata dalle critiche feroci di giornali e da un seguente girone da paura (Argentina e Brasile), i giocatori si trincerarono dietro il silenzio stampa. Unico incaricato a parlare: Zoff. Uno che già faceva fatica a dire due parole con un fucile puntato alla tempia e che affrontava le conferenze stampa con lo spirito del “Ma cosa volete da me, che cosa vi ho fatto?”.La vittoria nel Mundial nacque così.Quando tutti si aspettavano il tracollo, l’Italia batté a sorpresa l’Argentina di Maradona. Mi arrabbiai tantissimo con Zoff per il modo in cui prese gol da Passerella, ma il risultato andò in porto. Anche il Brasile vinse contro i biancocelesti, ma per 3-1, quindi Carioca sarebbe bastato il pari nello scontro diretto.

 

Impossibile dimenticare quella partita. Veramente impossibile.Non ricordo una squadra forte come quel Brasile, faceva veramente paura, poteva schiacciare chiunque. Leandro, Cerezo, Zico, Socrates, Falcao, Junior, Eder, che tirava delle bordate da spaccare in due i pali, Serginho (si diceva picchiasse la moglie. Lui però non rubava gomme), una squadra da paura. In porta forse un parente di Ballotta, ma molto più scarso: il povero Valdir Perez, capro espiatorio di quella eliminazione.Impossibile davvero dimenticare come andò a finire e come vivemmo noi ragazzini, a Lanzo quella gara. Le corse sul balcone a urlare “Gol” verso le montagne, la rabbia per il gol di Falcao, il corner del 3-2...Se devo essere sincero, la parata più incredibile che ho mai visto compiere a un portiere, fu un miracolo di Zoff, a pochi istanti dallo scadere.Ancora oggi non so come fece a prendere quel pallone.Corner dei brasiliani disperati, testa micidiale di Leandro, Zoff che si butta sulla sinistra, i giocatori del Brasile già tutti con le mani alzate e…E invece no. Zoff la bloccò in tuffo sulla linea. Una parata incredibile, onore davvero a lui. Aveva 40 anni in Spagna. Roba che se lo faccio io che ho quasi la stessa età, ci vuole la gru per tirarmi su.Da lì in avanti la strada fu in discesa, prima con la Polonia e poi l’11 luglio con la Germania, poche ore dopo che Mike Jagger aveva predetto a 80000 persone il risultato finale.

 

Cosa ricordare di quei momenti? E’ strano, detestavo Tardelli, ma il suo urlo non mi ha mai e poi mai dato fastidio. Ci ritrovammo con gli amici a battere i cucchiai contro i coperchi delle pentole per la felicità, mentre Pertini salutava tutti dalla tribuna.Quella fu veramente una festa.Non ci furono mezzi di comunicazione servi che si prostrarono e pontificarono ruffianamente.Ci fu il giusto, ci furono storie e uomini.E Pertini dalla tribuna, che agitava le mani.Se devo scegliere una immagine che rappresenti i miei Mondiali di Calcio, non scelgo un gol o un giocatore. Scelgo l'immagine del Presidente, che mi è entrata nel cuore.E credo di non essere il solo.Sinceramente sono felice di aver vissuto quella pagina di vita.

 

C’è poco da dire sui Mondiali del 1986, nei quali l’Italia fu estromessa quasi subito.Furono forse gli ultimi nei quali partecipai al tifo in maniera sincera.Poca storia, un paio di pareggi per 1-1 contro Bulgaria e Argentina, una vittoria sofferta per 3-2 contro la Corea del Sud, quindi la Francia di Platini che spedì a casa la vecchia compagine ex campione del mondo.Senza più l’Italia, peraltro priva di granata, non rimaneva che simpatizzare per il nostro Leo Junior e il suo Brasile, lontano parente di quello ammirato in Spagna.Per ironia della sorte, i Carioca andarono ad affrontare nei quarti proprio la Francia di Platini, un derby nel Mondiale.Una serata di tifo antigobbo spettacolare. Si andò ai rigori. Indovinate un po’ chi vinse?

 

Da lì in avanti qualcosa si ruppe.Non so se sia stato il diventare grandi e un po' più smaliziati.O se siano stati gli anni a cambiare strada e a prenderne una aliena.Forse tutto cominciò con Italia ’90, evento del quale si cominciò a parlare con anticipo siderale e per il quale vennero smosse le montagne.Dopo un po’ cominciai a provare fastidio.Con l’evento si mosse anche la propaganda strombazzata ai quattro venti, segno iniziale di quello che era destinato a divenire un fastidioso nazionalismo coatto. Che però nascondeva ben altro.Pagammo con conseguenze indimenticabili il fatto di essere il paese organizzatore.Politici e battitori di grancassa, primi violini e coristi, furono concordi nel sostenere che Torino avesse bisogno di “uno stadio mondiale”, così venne decisa la costruzione del Delle Alpi, scelta dannata, le cui conseguenze hanno segnato profondamente la storia granata.Non ci volle molto a capire che l’evento sportivo non era diventato altro che un pretesto per una colata di miliardi storica.Tutto doveva funzionare alla perfezione e ci voleva una clack che battesse le mani, sulle note di quel terribile inno.In molti ricordano con piacere le “notti magiche”.Io no. Certo, era bello incontrare gente straniera per le vie di Torino, o ammirare il tifo straniero.Ma quando arrivava l’Italia, sembrava si dovesse tifare per forza, a qualsiasi costo.Vittoria a qualsiasi costo, noi eravamo il paese organizzatore e dovevamo vincere! In molti davano già per scontata la finale. Poco importava che alla Cecoslovacchia fosse stato annullato un gol regolare contro di noi. Nessuno lo vide, nessuno lo fece notare e venne fatto passare sotto silenzio. Avessimo vinto rubando, sarebbe ipocritamente andato bene lo stesso a molti.Questo modo di ragionare mi ricordava tanto una certa squadra e mi sembrava estraneo.E poi, diciamocelo chiaramente, trovavo difficile e poco coerente tifare per chi avevo irriso, fino a pochi mesi prima con la storia delle gomme, quindi seguii quella che sembrava essere una cavalcata inarrestabile con indifferenza e diffidenza, appoggiandomi alle radiocronache della Gialappa's.Fu il mondiale del Camerun, che si suicidò contro l’Inghilterra, del Costa Rica e del suo portiere Conejo, e di Roger Milla, di età indefinibile, che soffiò palla al portiere Colombiano Higuita, uscito alla tre quarti ed andò a segnare da solo a porta vuota, sghignazzando.Il giorno seguente l’uscita a vuoto di Zenga contro Caniggia, mi recai al delle Alpi a vedere la semifinale Germania-Inghilterra, partita spettacolare, in una cornice di tifo inglese esaltante.Decisi di tifare per l’Inghilterra di Lineker e Shilton.Ovviamente in finale andò la Germania di Voeller e Mathaus.Ai rigori per giunta.

 

L’indifferenza verso l’Italia delle “notti magiche” sfociò in aperta antipatia in occasione di USA ’94, per mille motivi, nonostante Marchegiani e Mussi, che pur ci avevano già lasciato, militassero nella compagine azzurra.Il calcio stava galoppando nella direzione sbagliata.Se ne parlava già in maniera incessante, sull’onda di trasmissioni televisive compiacenti, sempre più popolari e grezze, le stesse che durante l’anno parlavano esclusivamente di Inter-Milan-gobbi, Milan-gobbi-Inter e gobbi-Inter-Milan.Ora gli stessi “opinionisti” che odiavo per la loro partigianeria, e per il fatto che stessero uccidendo il calcio con il loro qualunquismo e la loro superficialità, come se niente fosse si tramutavano in maestri della retorica per elogiare l’Amor patrio?No, questo mi provocava un senso di avversione marcatissimo.Sapete poi cosa mi dava e mi da ancora oggi particolarmente fastidio?Parlare con una persona che sai non capire niente di calcio, che magari non gliene può fregare di meno, che vuoi il caso è pure juventina, che ti dice “Allora, domani vinciamo?”. O peggio “Ma secondo te con che modulo è meglio giocare?”.Eh?Scusa?Ma da dove sbuchi?Scusa, io sono qui a rodermi il fegato per una vita per il Toro, quella sì una cosa importante… e tu te ne esci fuori come una persona navigata soltanto perché c’è l’Italia e tu devi tifare a tutti i costi?No, ripeto, mai sopportato questo conformismo forzato. Mai. Tifa Italia se proprio devi, se te lo impone il medico. Io sto alla finestra, grazie.

 

Eravamo solo in due a pensarla così, nella cerchia di amici nel 1994.Alcuni di loro, tra cui qualche gobbo, commisero però l’errore di invitarci a vedere tutte le partite nella loro mansarda.Contro l’Irlanda (paese che adoro) ci presentammo con la bandiera tricolore sì, ma dell’Isola verde.Pensavano che scherzassimo, ma l’urlo che cacciammo dopo nove minuti al gol di Ray Houghton, e le nostre risate, li sbigottirono. Contro la Norvegia ci presentammo con due caratteristici copricapi con le corna, contro il Messico con due sombreri. Diventò un gioco delle partiNella finale ci limitammo a portare la bandiera brasiliana dell’epoca di Junior.Ci odiarono quella sera, pur sghignazzando in silenzio al rigore di Baggio.Il giorno dopo sulla “Stampa” la cronaca riportava la delusione dei “tifosi” convenuti di fronte al maxischermo di Piazza san Carlo.- Io non mi muovo di qui – diceva uno – io sono venuto fino a qui per far festa, voglio fare festa, io festeggio lo stesso, devo fare festa

 

Poco da dire sui mondiali 1998, se non che ci rimasi male.Con i transalpini poi, perdere non è mai un piacere.Il calcio era sempre meno passione e noi si veniva dallo spareggio di Reggio Emilia, sempre più lontani dalle grandi ribalte.Non c’è in sostanza nulla da ricordare, se non la traversa di Di Biagio e Ronaldo che scende le scale dell’aereo barcollando.Bella roba. Bel calcio. Bei ricordi.

 

A questo punto occorre aprire una parentesi, perché in occasione degli europei del 2000 parteggiai apertamente per l’Italia di Zoff, forse proprio perché tutti lo criticavano. Il solito meccanismo granata dello schierarsi contro il pronostico.Un’Italia pessima, catenacciara, aiutata da San Toldo contro l’Olanda, a cui andava la mia simpatia, nonostante Antonio Conte in rosa. Commisi un errore gravissimo, mio malgrado. Tifare per la squadra nella quale giocava del Piero si rivelò fatale, una cantonata paurosa.Nel corso della finale si trovò solo due volte di fronte a Barthez. Sbagliò entrambe le volte.Cosa avrei fatto? Avrei esultato se avesse segnato? Per un gol di del Piero?Ripensandoci, forse è andata meglio così.

 

I ricordi si fanno confusi. Curioso che capiti principalmente con i fatti recenti. Diventa sempre più difficile trovare qualcosa di memorabile, che rimanga impresso nella memoria.I mondiali di Giappone e Corea 2002, sono stati lo specchio di quello che è diventato il calcio moderno, Mondiali compresi.Partitacce fisiche, poco spettacolo, tiri che si contano sulla punta delle dita di una mano e risultati di misura.Ore e ore di collegamenti televisivi per parlare solo ed esclusivamente dell’Italia, in maniera ossessiva, ripetitiva, esasperante, ignorando le altre squadre, ignorando le altre partite, ignorando anche la classifica degli altri gironi.Ossessione voluta per catturare più pubblico possibile. Così come avviene nelle trasmissioni sportive, si abbassa il contenuto per renderlo accessibile, ma così facendo lo si banalizza, si perde quel poco di qualità che c’era. E poi, dulcis in fundo, la bella pensata, il bel gesto, l’atto superficiale che dimostra sì che siamo italiani!  Sulla profonda onda emotiva di chi lo riteneva un gesto di superbo patriottismo, i mondiali del 2002 furono quelli a partire dai quali chi non cantava l’inno nazionale non era italiano.Il solito gesto superficiale col quale si tentava di costruire una casa dal tetto, cercando di coprire ben altre magagne, per tacere della cultura sportiva sempre più in cancrena.Mi chiedo quanti di quelli che proponevano questo altro gesto di appartenenza coatta, quanti di quelli che lo cantano, conoscono il significato delle parole e chi era questo Mameli che lo compose e perché.Ma non provare a opporti! Non sei nel coro, non sei Italiano! Non ti vergogni?

 

Dunque Mondiali di Corea e Giappone.Si beatificò Del Piero per una settimana, dopo l’inutile gol del pareggio contro il Messico.Grande Pinturicchio di qui, grande Pinturicchio di là, neanche si fosse vinto.E poi si uscì contro la Corea, volente o nolente padrona di casa, e si andò avanti per mesi a prendersela con l’arbitro Moreno, quando invece una squadra appena decente non avrebbe avuto grandi problemi a passare il turno, arbitro o non arbitro.Se non vinciamo non è mai colpa nostra! Deve essere sempre colpa di qualcuno! Solitamente dell’allenatore. In questo caso dell’arbitro.  Questa mentalità mi ricorda ancora qualcosa e qualcuno.Ma come si fa, come si può essere partecipi di tutto questo?

 

Nessuno può dimenticare la primavera e l’estate del 2006.Un immenso fiorire di speranze e un senso di rivincita finalmente conclamato.Prima l’esplosione di Calciopoli, poi la nostra indimenticabile promozione.Solo una cosa si frapponeva tra l’indignazione generale (che dura sempre il tempo di un Amen) e le giuste condanne.I Campionati Mondiali di Germania.

 

Tanto vale essere franchi, senza troppi giri di parole.Non ho mai sopportato Lippi, non credo che la cosa vi sconvolga.La sua storia ha incrociato la nostra in occasioni quasi sempre negative. Quell’estate Lippi fu l’uomo sbagliato nel momento sbagliato, momento nel quale parte della stampa già cominciava a chiedere sconti di pena in caso di vittoria finale.E già, e allora come si fa a tifare in condizioni del genere?Quando sai che alla fin fine vogliono raggirarti?Giornalisti, politici, dirigenti, tutti pronti a buttare via il cestino della spazzatura con mani intonse, in caso di vittoria.Guai però a far notare alla gente che si rischiava di dimenticare quello che era successo.Guai.Mi sarebbe piaciuto godermi quel Mondiale, cavoli quanto mi sarebbe piaciuto.Già, il mondiale criptato su Sky.Bella storia anche quella. Quanto rimpiangevo quel lontano Brasile-Jugoslavja!

 

Le prime vittorie fecero da leva per l’amnesia collettiva e la partecipazione di massa all’evento, alla quale se non ti adeguavi, non meritavi di essere considerato italiano.Gli stessi opinionisti complici che avevano contribuito per anni a svilire il livello culturale ed arruffianarsi il potente di turno, ora si elevavano a maestri dell’ovvio.Le persone che avevano pontificato in lungo e in largo sull’universo Ultras, basandosi su qualunquismo e luoghi comuni, facendo danni causati dalla loro superficialità, ora si elevavano a maestri del tifo.Proprio loro. I professionisti del coro e del “tutti in fila per tre”, salam salam.Ovvio provarne repulsione e andare dalla parte opposta.E’ questa la cosa triste. Essere costretti a farlo.

 

Avrei dovuto urlare “Viva Cannavaro?”Avrei dovuto battere le mani a Lippi?Avrei dovuto essere fiero del labiale di Materazzi?Io che non l’ho mai sopportato? Io che mi ricordo di lui, della sua entrata su Lentini, e di quel Perugia che ci rubò la A?Avrei dovuto andare in centro a fare po-po-po-po-po-po-po?Canzone dannata che ci ha perseguitato per mesi?Avrei dovuto mettere le mani sulla coppa?

 

Ma stiamo scherzando?Ho scelto di essere del Toro, mica posso fare apnea mentale e comportarmi da gobbo? Essere portabandiera anche solo per pochi giorni di tutti i valori che ho sempre messo alla berlina?Quando Grosso ha calciato il rigore, non ho provato alcun senso di appartenenza.Tanto vale dirlo.In quell’istante ero più preoccupato per il cagnolino che tremava per le urla degli esagitati, piuttosto che per una improbabile parata di Barthez.Scomodo dirlo, ma è così.

 

Pochi giorni dopo la finale, Calciopoli era diventata un ricordo fastidioso e scomodo.Molti servi si prostravano e dicevano che “Ora occorre uscire da Calciopoli e voltare pagina”.Cioè tornare al più presto alla solita normalità, in barba a tutto quanto capitato.Ma questo era nelle retrovie, la gente aveva altro a cui pensare.Ad esempio ammassarsi attorno al pullman scoperto della squadra italiana, che gironzolava per Roma con la coppa. Il resto? Tutto dimenticato.In quel pullman scoperto e nella gente acclamante c’è tutta la superficialità e l’italianità che ho sempre detestato. C’è la voglia di salire festanti sul carro del vincitore ad ogni costo, la plateale e immemore voglia di prostituirsi al potente o al vincente di turno e di battergli le mani, indipendentemente dalle cose capitate fino al giorno prima, la voglia di far festa e “sballare” senza pensare, tanto per il gusto di farlo.Un po’ come in disco, unz-unz-unz.C’era tanta, tantissima gente su quel pullman quella notte.Per quanto mi riguarda sono ben lieto non solo di non esserci salito, ma di non aver neanche avuto il desiderio di farlo.

 

Meschinità? Grettezza? Fate un po’ voi.Da parte mia semplicemente impossibilità a tifare per chi non mi rappresenta.Di sicuro in queste righe scorre un bel po’ di veleno, e parecchi ragionamenti scomodi.Per assurdo essere del Toro, alle volte è parlare poco di Toro ma comportarsi da granata.

 

C’è da essere veramente arrabbiati.Con chi ha costruito questo carrozzone luminoso e finto.Con chi non ci ha permesso di poter godere di quel fantastico spettacolo che erano i Mondiali.Con chi ci ha costretti a cambiare.

 

Ma forse c’è dell’altro.Forse il Toro è come una donna gelosissima, che ti ammalia e ti fa impazzire, che proprio non ti fa neanche passare per la testa l’idea di avere un’altra squadra, neanche fosse la Nazionale.Forse è così. Forse davvero non c’è spazio per altro.Anche se non lo diciamo, amici, anche se non scadiamo nella retorica, noi sappiamo bene quale è il nostro vero Mondiale. Mi ripeto, un Mondiale che abbiamo vinto nel momento stesso della nostra scelta iniziale.Anche se è una scelta talvolta dura e difficile, che alle volte ti fa davvero vivere con tutto il mondo contro e col mal di stomaco. Mauro Saglietti

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