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Lisbona 3 maggio.Il vento dell’oceano soffia forte da queste parti, la brillantina non basta più a tenere fermi i capelli.Mi sento strano, sai? Da quando siamo arrivati è come se non fossi qui… non riesco a spiegarti.Stavamo partendo, eravamo ancora a Torino sul Conte Rosso, tutti ridevano e scherzavano, ma io ero pensieroso, come faccio sempre prima di un lungo viaggio. Stavo guardando fuori dal finestrino e devo essermi assopito. Quando ho riaperto gli occhi, il pullman era in mezzo a una strana foschia, che diventava sempre più densa. Poi la nebbia ha incominciato a diradarsi e improvvisamente ci siamo trovati in un posto bellissimo.Avresti dovuto vederlo, prati a perdita d’occhio, contro l’orizzonte terso. Laghi e montagne innevate, tutte le strade erano scomparse.Non eravamo mai passati da lì, ho pensato che ci fossimo persi, il paesaggio ha continuato ad andare avanti e indietro nella nebbia.Pensavo fosse suggestione e che stessi ancora dormendo, ma mi sono accorto che non ero stato il solo a vederlo.Tutti erano stupiti. C’era anche chi diceva di aver visto il mare, il suo mare. Abbiamo chiesto all’autista dove ci avesse portato, ma lui ci ha guardato in modo strano…Sembrava non capire.E’ durato tutto un attimo e ci siamo ritrovati all’aeroporto…E’ da quel momento che mi sembra di allontanarmi da me stesso.Mi è sempre più difficile anche soltanto riuscire a pensare in termini normali…
- Mi chiedo come lei abbia fatto a risalire fino a me – dice il figlio dell’autista.Non c’è quasi più traccia in giro di mio padre, se non un paio di foto… e qualche ricordo nella memoria dei pochi che sono rimasti.Il giornalista stringe le labbra, come fa quando è agitato.Nonostante gli anni siano passati, fa fatica a separarsi dal suo piccolo registratore a cassetta, che tiene nella borsa a tracolla.Lo appoggia sul tavolo e controlla che le piccole bobine stiano girando.- Da molto tempo aspetto di mettere le mani su questa storia…- Per quale motivo? Semplice interesse…? Un articolo? …Un libro forse? Ammesso che possa interessare a qualcuno… Altro caffè? – lo incalza il figlio dell’autista, senza nascondere la propria curiosità. Veleggia verso i 70, ma i suoi occhi sono quelli di un giovane.Tanto vale che sia sincero – risponde il giornalista. Ha una quarantina d’anni, la barba di qualche giorno e un sorriso amaro che viene saltuariamente indossato dalle sue labbra - Non voglio camuffarmi con le solite invenzioni. Non con lei. Non dopo quanto ho impiegato per trovarla. Un libro, sì, prima di tutto. Vorrei che potesse essere un valido aiuto al mio mestiere… credo che lei possa capire… La cosa più bella da vedere al risveglio… sarebbe questo il titolo.- La cosa più bella da vedere al risveglio… che strano titolo. Cosa c’entrano queste parole con un vecchio pullman?- Non so… a dire la verità me lo sono ritrovato in mente… Ma non è solo questione del libro. E’ una sorta di ossessione. Un amore per questa storia che dura da anni, quasi una curiosità infantile. – Il giornalista fa una pausa – Non è stato facile trovarla. Non credevo che l’avrei rintracciata. Ci speravo proprio.
Sì, mio padre era l’autista del ”Conte Rosso”, il pullman di quella grande squadra. Anni distanti, che quasi non riesco a ricordare… Era molto affezionato a quei ragazzi, mi raccontava spesso le loro storie. Fu lui ad accompagnarli all’aeroporto, prima della loro partenza per Lisbona. Eppure non parlava mai dei viaggi sul Conte Rosso. Gli chiedevo dove si sedeva Tizio, dove si metteva Caio… lui però era reticente e si metteva a parlare d’altro. Ho sempre creduto che non volesse parlare di quei momenti per via della perdita di quei ragazzi…Il giornalista riflette su quelle parole. Il suo sguardo si perde nel vuoto per qualche istante.
Molti anni prima, c’erano tre bambini che vivevano da qualche tempo nello stesso luogo.Uno era il bambino dai grandi occhi, poi c’era la bimba che un tempo aveva avuto le treccine, infine quello dalle guance paffute che tutti chiamavano Marcellino.Occhigrandi e la bimba vivevano e dormivano nella stessa stanza da circa un anno. Poi, sei mesi più tardi, Marcellino era entrato a far parte della loro comunità.Non potevano giocare tutto il giorno, ma quando lo facevano si divertivano con gli altri bambini presenti nelle altre stanze.Tutti e tre avevano però paura della cosa scura che si trovava in fondo ai sotterranei.Tutti i bambini che vivevano lì ne parlavano, anche se non sapevano bene che cosa fosse.La cosa scura compariva in molti dei loro disegni. Dicevano che era una cosa cattiva che portava via i bambini. Chi la disegnava con volto e occhi malvagi, chi con la coda.Si diceva che avesse portato via molti di loro e che ogni qual volta un bambino andava via, fosse stata la cosa scura a prenderlo.Qualcuno sosteneva anche di essersi recato negli scantinati nottetempo, quando tutti dormivano, e di aver intravisto la cosa scura per poi scappare terrorizzato.
Occhigrandi e la bambina che una volta portava la treccia, erano troppo piccoli per saper leggere.Marcellino, che aveva sei anni, la sera narrava spesso con fatica ai suoi amici le storie dei libri di fiabe, a disposizione in quel luogo.Quando però le storie terminavano, erano la fantasia e la voglia d’avventura a prenderli per mano.Chi c’era nei sotterranei?Era veramente un mostro?Una notte, mentre tutti dormivano, i tre si avventurarono per i lunghi corridoi a piedi scalzi per non fare rumore.Arrivati alle scale, scesero fino al seminterrato, quindi per una scala che non usava quasi più nessuno. Si ritrovarono in un lungo corridoio illuminato a intermittenza per il cattivo funzionamento delle lampade, al fondo del quale si apriva su un enorme stanzone, che a loro parve grande quanto un campo da calcio.La prima notte lo videro da lontano.Una sagoma scura al centro dello stanzone.Esisteva davvero! Scapparono via terrorizzati, senza dire a nessuno cosa avessero fatto quella notte.La curiosità fu però così tanta che la notte seguente i bambini scesero di nuovo nel lungo corridoio fino a sbucare nell’immenso stanzone.Lo videro sempre lì al centro, immobile, il muso nascosto nell’oscurità. I bimbi si avvicinarono tenendosi per mano, arrivando fino a una decina di metri da lui, temendo di vederlo voltarsi di scatto con un ruggito agghiacciante.- Ma è…- Sembra un pullman…! - Un pullman vecchio! Guardate come è bello! – disse Marcellino.- Allora non è un mostro!Fecero il giro del veicolo, illuminato dalla luce intermittente, con un brivido di freddo quando passarono di fronte alla parte anteriore del veicolo.- Cosa c’è scritto qui? – chiese Occhigrandi indicando le due parole sulla fiancata?- Co … Co… Conte… Conte Rosso! – sillabò Marcellino- Chissà chi l’ha portato qui?Stavano per allontanarsi da quello strano scantinato, quando una voce, potente ma dolce e rassicurante, esplose nelle loro menti.- Non abbiate paura… Vivo qui da solo ed è tanto che non parlo con qualcuno.
- La vicenda del Conte Rosso e di mio padre sembra una storia come tante. Ci sono però delle strane ombre nascoste nelle sue pieghe – prosegue il figlio dell’autista.- C’era un certo Pinin, l’altro autista. Guidava il Conte Rosso saltuariamente, quando mio padre non poteva o saltava il turno. Lo conobbi all’inizio degli anni ’50, non se la passava molto bene all’epoca, non guidava più e viveva di lavoretti saltuari. Venne a trovarci qui. Mi fece una strana domanda, dopo un po’ di tempo, quando restammo soli per qualche minuto.- Tuo padre ti ha mai parlato del Conte Rosso? – cominciò un discorso bizzarro e accennò ad alcune stranezze. Fu un discorso che mi spaventò molto, ero ancora un ragazzino. Parlava di strade sbagliate, di tempo che si fermava. Non ricordo molto, sono passati 50 anni, ma sembrava davvero il discorso di un ubriacone. Il giorno seguente riferii la cosa a mio padre e lui mi rimproverò, dicendomi di farmi furbo. Pinin era un bravo ragazzo, mi disse, ma avrebbe dovuto pensare ad altre cose, piuttosto che raccontare stupidaggini in giro.Mio padre era un vecchio piemontese. Non era tipo da farsi suggestionare da strane voci. Ci avrebbe riso su. Almeno pensavo.Il giornalista spegne il registratore e lo rimette nella sua borsa a tracolla.- Devo andare ora… Devo cercare qualcosa. Mi piacerebbe continuare a parlare con lei, uno di questi giorni.Il figlio dell’autista corruga la fronte perplesso. Lo guarda andarsene via senza dire nulla.
Fu così che i tre bambini diventarono amici del Conte Rosso. E non rivelarono mai a nessuno quello che avevano scoperto nei sotterranei del luogo dove loro vivevano.Quasi ogni sera fingevano di dormire per poi uscire di nascosto dalla loro camera e scendere così a parlare col loro amico.Lui raccontò loro la sua storia. Da tanto tempo viveva in quell’immenso garage sempre vuoto e non ricordava più quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che aveva visto la luce del sole.- Non hai paura del buio? – gli chiese una sera la bimba senza più le trecce. Stringeva sempre al petto una piccola bambola di pezza che le teneva compagnia nelle lunghe notti senza i genitori.- No, piccola. Io devo stare qui. Io servo qui.- Perché? – chiese Marcellino con una punta di timore - Sei tu che porti via i bambini, vero? Perché lo fai?- Io… io faccio dei viaggi. Cerco di aiutarli a non avere paura… Li porto in posti meravigliosi. Non bisogna avere paura, ma loro non lo possono sapere. Hanno bisogno di qualcuno che li aiuti.Il Conte Rosso disse loro di aver aiutato molti altri bimbi che non potevano più rimanere in quel luogo. Lui conosceva la strada, la sua natura era fare viaggi.Non sapeva perché.
- Come sono i posti dove vai? – chiese poche notti dopo la bambina?- Sono bellissimi… piccola amica mia.- Possiamo visitarli?No, voi no… tu, Marcellino invece, vorresti fare un giro?Da qualche giorno Marcellino non parlava più e passava le sue giornate a letto. Quella sera, attratto da una strana forza aveva trovato la forza di scendere con i suoi amici.Occhigrandi e la bambina senza più trecce lo videro salire titubante sul Conte Rosso. Poi la scena si riempì di rumori indefinibili e il pullman sembrò scomparire in una strana nebbia. Quindi Marcellino e il Conte Rosso partirono per il loro breve viaggio.
- Che cosa hai visto? – chiese il mattino seguente Occhigrandi all’amico che giaceva debole a letto.Marcellino rispose con un filo di voce, ma aveva gli occhi pieni di gioia.- Ho visto un posto magnifico, pieno di sole… C’era un grande lago, simile a quello dove andiamo in primavera e l’acqua era solcata da vele. Mi sentivo contento. Non c’erano papà e mamma, ma ero contento lo stesso. Non vedo l’ora di tornarci… E voi, amici? Verreste con me?
La notte seguente, Marcellino stava molto male. Avevano messo un paravento di fronte al suo letto, dietro al quale si sentivano la mamma e il papà piangere in silenzio.Nessuno si accorse che Occhigrandi e la bambina uscirono fuori dalla stanza.Lungo un corridoio si imbatterono in un uomo che portava una strana borsa a tracolla. L’uomo sorrise sorpreso a Occhigrandi, poi i bambini tirarono dritto.Scesero negli scantinati per la prima volta senza il loro amico, zampettando a piedi scalzi e tenendosi per mano con molta paura, mentre la bambina stringeva la sua bambola.Quando però si trovarono di fronte al Conte Rosso, trovarono con grande sorpresa Marcellino ad attenderli.Sembrava stesse bene ed il suo male fosse sparito. Li accolse con un gran sorriso.- Il Conte Rosso mi porta a fare un viaggio! Torno al lago… Sono contento… peccato che la mamma non possa venire… Ma sono contento lo stesso… E’ un posto incredibile…Salì a bordo del vecchio pullman e tutto fu come la notte precedente.Questa volta però l’aria si riempì di un rombo irreale e l’ambiente di un fumo che non era un fumo.I due bimbi videro il loro amico che li guardava dai vetri posteriori del pullman. Salutava con la mano e sorrideva.Poi tutto fu sommerso dal fumo senza odore e il Conte Rosso sparì in quella strana nebbia.
La mattina seguente, Occhigrandi fu svegliato da qualcuno che piangeva in lontananza. Si voltò. La bambina dormiva ancora stringendo la bambola di pezza.Poco più in là però, il letto di Marcellino era vuoto.Voci confuse nel corridoio. Qualcuno piangeva di un pianto disperato.
- C’è qualcosa che devo ancora dirle, anche se non so a cosa le servirà – dice il figlio dell’autista, un attimo dopo che il giornalista ha acceso il suo registratoreNegli ultimi giorni, quando ormai mio padre era divorato dalla malattia, mi disse qualcosa:- Non sono stato io… non sono stato io a portarli via… è stato il Conte Rosso a portarli lì. Io non vedevo niente…Non sono stato io…- Ma papà, cosa dici? Di chi stai parlando…? Tu non li hai portati da nessuna parte…- I giocatori...è stato lui…li ha portati in un altro posto… Non sono stato io…Si infervorava mentre diceva queste cose. Ho sempre pensato fosse stata la malattia a farlo farfugliare in quel modo. Sono gli ultimi ricordi che ho di lui… il mio vecchio! – aggiunge pensoso.Il giornalista attende un istante, poi spegne il registratore e dice a mezza voce – "è stato il Conte Rosso a portarli lì. Li ha portati in un altro posto”. Riaccende il registratore – Ha idea di che fine abbia fatto il Conte Rosso?Il figlio dell’autista allarga le braccia e le poggia sul tavolo.- Capitò qualche anno più tardi, ero già grandicello. Mi trovavo a bordo della 600 di mio padre, in una torrida giornata estiva. Non ricordo bene cosa stessimo facendo o dove fossimo diretti. Si fermò nei pressi di un prato, poco distante da uno dei primi sfascia carrozze. Da un feramjù, come li chiamava.C’era un vecchio pullman scuro all’interno del recinto, le sue lamiere scintillavano al sole.- Guarda – mi disse – Quello è il pullman del Grande Torino… Guarda che fine ha fatto…Il veicolo era lì, in mezzo a ferraglia di ogni tipo e vecchie automobili.Era strano.Mio padre parlava di un rudere, ma io vedevo quel pullman perfettamente scintillante sotto il sole come se fosse nuovo di fabbrica e pronto per ripartire.Mi sarebbe piaciuto vedere da vicino quel veicolo, che aveva trasportato i Grandi giocatori.Mio padre però quel giorno aveva fretta, almeno voglio pensare che questa fosse la verità.Così ripartimmo con la promessa di ritornare. Ma la cosa mi sfuggì dalla mente e non feci più ritorno in quel luogo.Fu il mio unico incontro con Conte Rosso. Laggiù, sotto il sole cocente e le lamiere in fiamme. Non so che fine abbia fatto. Probabilmente sarà stato demolito.- Ha idea di dove si trovasse quel demolitore?L’uomo sospirò – Quel prato col feramjù si trovava ai margini della strada che scendeva verso il fiume, sulla sommità di una collinetta erbosa. Non lo troverà più, amico mio. Quei prati non ci sono più da tanto tempo – Il figlio dell’autista si ferma per un istante. Il suo sguardo si perde nel vuoto - Hanno costruito qualcos’altro lì sopra…- Che cosa? – chiede ansioso il giornalista, già immaginando la risposta.
Le visite dei due bambini continuarono anche dopo che Il Conte Rosso ebbe portato via il loro piccolo amico. Scendevano tenendosi mano nella mano e non facevano più un solo passo lontani.Chiesero al Conte Rosso di Marcellino, gli fecero mille domande e si persero a lungo nelle storie che lui raccontava loro.Una notte però il Conte si rivolse alla bambina senza più trecce.- Tu, piccola amica mia… - ultimamente non parli molto. Ti piacerebbe fare un giro e vedere un bel posto?Occhigrandi si irrigidì e, con una scusa portò la bimba in camera, prima che lei potesse rispondere di sì.Finse d addormentarsi, quindi ritornò da solo nello scantinato.- Ti stavo aspettando – disse con dolcezza il Conte Rosso.- Non portarla via. So che la porterai via, ti prego, non farlo!Il Conte sospirò – Tu sei un bambino sensibile e intelligente. Sapevo che avresti capito prima del tempo. Sono triste. Tanto triste. Alle volte sono costretto a fare cose che non vorrei. Sarà felice laggiù dove andrà… Io… io non posso fare niente… non posso oppormi.- Io… io non voglio… non so perché, ma lei… non la prendere, ti prego.
Occhigrandi assisté impotente al tramonto della sua piccola amica, che continuava a tenere stretta la bambola anche negli ultimi giorni.Non capiva che cos’era quello che stesse provando. Un dolore tanto sconfinato quanto inspiegabile.Pregò che quel momentonon arrivasse mai, che il destino non volesse una cosa del genere.Poi una notte, quando capì che fu il momento, la prese per mano e la accompagnò nello scantinato.Per il suo ultimo viaggio.Nei corridoi l’uomo con la borsa a tracolla, li vide scendere. Sorrise. Anche se non potevano vederlo.
Ogni passo verso il Conte Rosso era una pugnalata per il giovane cuore di Occhigrandi, era un addio a una stazione, era una vita che non avrebbe vissuto, erano dei ricordi mancati.- Non te ne andare… Sentì gonfiarsi gli occhi di lacrime, mentre il sotterraneo cominciava a riempirsi del rumore silenzioso del motore, un canto più che un rombo. La bambina gli lasciò la bambola di pezza, poi salì sul pullman senza paura.Una leggera foschia salì lentamente a inghiottire i contorni delle cose.E poi la vide, affacciata agli ultimi finestrini del pullman, mentre la nebbia saliva a confondere i contorni.- Non te ne andare… Non te ne andare… - disse Occhigrandi tirando su col naso.La bimba si appoggiò con entrambe le mani al vetro, verso di lui.Era cambiata, non aveva più il pigiamino e portava le trecce fino alle spalle.- Non te ne andare… - supplicò lasciandosi andare a un dolore tanto più grande di lui, che non riusciva a comprendere.Riuscì ancora a intravedere il vetro posteriore tra la nebbia. La bimba lo salutava con la mano, mentre il sotterraneo si riempiva del rombo sordo del motore, sempre più forte, sempre più silenzioso.- Non portarmela via… ti prego…
Poi improvvisamente la scena fu squarciata da lampi di luce, istantanee, immagini, suoni, emozioni e parole, ricordi mancati di quella che non sarebbe stata una vita futura
Corriamo nei prati?Perché non mi telefoni? Quanto ci metti?Un bacio in una cabina telefonicaLa prima cosa da vedere una volta aperti gli occhi.
E tutte le cose che non avrebbe potuto vivere con lei.Per le quali stava piangendo.- Fermati… - disse affondando le piccole dita nella bambola.L’immagine della bambina svanì lentamente col pullman e quando capì che non l’avrebbe rivista mai più, si lasciò cadere in ginocchio tra le lacrime.
La parete di fianco al lettino era sempre del solito verde pallido, la vide appena aprì gli occhi.Qualcuno gli stringeva la mano, curva sul letto. Era la mamma. Il papà, poco più in là, si reggeva al bordo di metallo del letto. Aveva gli occhi rossi.Si sentiva il volto in fiamme, doveva avere la febbre molto alta, le orecchie pulsavano e nella gola era rimasto lo stesso groppo formatosi quando aveva visto andare via la bimba.- Il Conte Rosso… l’ha portata via… Il Conte Rosso l’ha…-- Delira di nuovo, come stanotte… - sussurrò la madre asciugandosi gli occhi con un fazzoletto. Ha la febbre altissima… Dobbiamo chiamare il dottore…Sentì qualcuno piangere sommessamente, dove c’era il letto della bimba. Dal corridoio arrivava un sussurrare sommesso e triste.Sapeva cosa avrebbe visto voltandosi. Avrebbe visto il suo lettino vuoto, e lo strazio dei genitori, che solo ora riusciva a comprendere. Non voleva voltarsi, non vedere quella scena.Ma il dottore, chiamata dai suoi genitori lo girò nel letto, per poterlo visitare.Tenne gli occhi chiusi finché poté.Poi li aprì.
La bambina senza più le trecce respirava in maniera affannosa e dei tubi la aiutavano a farlo.- Ha superato la crisi. E’ molto debole però. Siamo nelle mani del Signore, ma ha superato la crisi.- disse sottovoce un medico ai genitori in lacrime della bambina.La prima cosa da vedere al risveglio.La prima cosa da vedere al risveglio.Occhigrandi sentì il respiro che mancava.- L’ha riportata indietro! Il Conte Rosso… - urlò - Il Conte Rosso… l’ha riportata indietro… l’ha salvata... il Conte… il Conte…Lo sedarono.Si calmò guardando la bambina respirare, poco più in là.I suoi pensieri si fecero confusi e si riempirono di significati che non pensava di conoscere.Dormi amore mio. Non te ne andrai via. Abbiamo tutta la vita da vivere. E tu sarai la cosa più bella da vedere, al risveglio.Poco più in là un uomo stava guardandolo sorridendo. Era l’uomo che aveva già visto nei corridoi di quell’ospedale. Quello con la strana borsa a tracolla.Occhigrandi si addormentò con quell’immagine impressa.
Il giornalista è seduto su di un pendio erboso che declina verso il fiume, a poca distanza dall’ospedale infantile. Parla nel registratore.- Per tutta la vita sono stato perseguitato dal ricordo di un uomo che mi sorrideva, quando mi risvegliavo, dopo quella notte… Ora so chi era quell’uomo. Avevo completamente dimenticato quelle notti vissute durante la mia malattia, quel pullman… Per tanti anni ho cercato di scoprire la storia del Conte Rosso… l’ho cercato ovunque… era qui.
Un donna dai capelli lunghi gli scivola lentamente alle spalle e si inginocchia dietro di lui.- Sei stato tu a fermarlo, con le tue lacrime di bambino. Sei stato tu a salvarmi quella notte. Senza le tue parole non avresti… non avremmo potuto provare quello che poi è stato.- Tu… tu non dovresti essere qui…- Io sono solo un ricordo… forse.non avresti potuto non avresti potuto provareIn una relazione c’è spesso un vincitore e quelle amare parole lo provavano.Il giornalista pensa agli anni trascorsi con lei. A quanto tempo avevano vissuto insieme.Al loro addio, pochi anni prima.A quando erano piccoli in ospedale, ai ricordi di quelle notti che entrambi avevano rimosso.O scambiato per le favole ascoltate prima di dormire.Poi spegne il registratore.
- Tu che farai? – gli chiede la donna.- Se sono tornato qui non deve essere per caso. Mi è stato fatto un regalo una notte di tanti anni fa. Forse è arrivato il momento di ricambiarlo. Qui c’è sempre bisogno di aiuto c’è bisogno di aiutare i bambini. Non devono avere paura – dice voltando lo sguardo verso l’ospedale.Il sole si abbassa veloce. I suoi raggi sono quasi paralleli al prato, rendendoli due ombre in controluce, ora che sono in piedi l’uno davanti all’altro.- Tornerai ancora qui a visitare il Conte Rosso? – le chiede.Lei gli stringe le mani. Restano per qualche secondo così.Poi la donna si volta e si incammina giù per il pendio.Lei è solo un’ombra, un ricordo, ma cosa importa? La vede allontanarsi e si ricorda di quando, tanti anni prima aveva urlato, disperato come in quel momento – Non te ne andare…Poi, mentre il ricordo si allontana sempre di più, spera che un giorno lontano il Conte Rosso, quando gli dirà di salire a bordo, possa portarlo in un luogo speciale, dove lui non debba più chiederle di non andare via.
Lisbona, 4 maggio.Il vento dell’oceano soffia sempre più forte, la brillantina non basta più a tenere fermi i capelli.Vedo tutto lontano, come se non avessimo neanche giocato, E’ tutto strano… forse non salirò sull’aereo e quell’aeroplano tornerà vuoto.Mi sembra di essere ancora sul Conte Rosso e di rivedere quel paesaggio che mi ha stregato, mentre la nebbia si dirada.E vedo gli altri qui con me. Li vedo vivere la mia stessa confusione.Penso che il Conte stia per fermarsi lì e noi si stia per scendere. In quel luogo.Quei prati, il cielo terso che ho intravisto dai finestrini… sono qui vicino, sempre più vicino.Vorrei poterti scrivere perché è come se sentissi che per un po’ forse non potremo più vederci.Ti vorrei qui con me, sono triste per questo ma sono anche stranamente sereno… Se solo fossi capace di scrivere una lettera, di mettere per iscritto questi pensieri confusi in qualcosa che forse non sono capace di esprimere. Io, che non ho mai scritto una parola in tutta la mia vita!Non so se ne ho il tempo, allora affiderò questi miei pensieri al vento, sperando che trovi e ti parli.Non so se capiterà o quanto sarà lungo, ma se dovesse avvenire questa cosa strana, qualunque cosa essa sia, ti prego amore mio, io non mi sono dimenticato di te. Se puoi, tienimi per sempre nel tuo cuore.Dovunque andrò tu sarai con me.
Mauro Saglietti
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