mondo granata

Da Piedone Pecci a Rachid, ecco perché ”il Toro non può perdere”

Domenico Catagnano
Gargarismi rumorosi, questa settimana, e non potrebbe essere altrimenti. I punti in meno in classifica per le bestialità arbitrali sono già troppi, e sono passate appena sette giornate. Mi limito al minimo...

Gargarismi rumorosi, questa settimana, e non potrebbe essere altrimenti. I punti in meno in classifica per le bestialità arbitrali sono già troppi, e sono passate appena sette giornate. Mi limito al minimo e affermo l'ovvio: ci mancano quattro punti, quelli persi col Milan e con la Samp. Non metto di mezzo il derby, che c'era ancora praticamente un tempo da giocare e, fuorigioco o no, poteva succedere ancora di tutto.  Giusto arrabbiarci, giusto alzare la voce ma, come avevo già scritto all'indomani della beffa con i rossoneri, noi siamo il Toro. Concetto, che, detto così, può sembrare retorico, il solito manifesto della diversità granata rispetto a tutti gli altri. Ma noi sappiamo che non è così, non sono e non devono essere solo parole.   Mi ricordava Roberto, amico e granata, che l'ultima clamorosa svista arbitrale a nostro favore che lui ricorda è datata 2006, partita del centenario. C'è Toro-Empoli, i toscani segnano un gol regolare, l'arbitro annulla sostenendo -sbagliando- che la palla non avesse oltrepassato la porta. Alla fine, quando ormai sembrava uno 0-0, Comotto la butta dentro e onoriamo un anniversario così importante con una vittoria... tarocca. Non so voi, ma, a ripensarci, io allora mi sono vergognato un po'. Però era la partita del centenario, diciamo che era quasi un obbligo vincerla, con le buone o con le "cattive", e va bene cosÏ. Da allora, in questi ultimi sette anni, non ricordo memorabili abbagli arbitrali a nostro favore. Ed è meglio così!   Insomma, E' sacrosanto rosicare e arrabbiardsi quando le giacchette nere ti remano costantemente contro, ma -appunto- noi siamo il Toro, e se abbiamo lo abbiamo scelto sappiamo che l'essere granata è un po' metafora della vita.  E lo sa bene anche Eraldo Pecci, che l'ultimo trionfo granata lo ha vissuto in prima persona.  Che c'entra Piedone, direte voi? C'entra, c'entra, provate a leggere il suo libro "Il Toro non può perdere- La magica stagione 75/76", uscito qualche mese fa per Rizzoli. Vi confesso che lo avevo un po' snobbato, e mi sbagliavo. E' un libro che va già tutto d'un fiato e, ironia della sorte, me lo ha regalato Michele, un carissimo amico che ha un imperdonabile difetto: è un gobbo, e della peggior specie.    Sentite cosa scrive Pecci: "I più sostengono che il Toro assomigli alla vita, un po' di gloria in cambio di tanto patimento. Per come la vedo io, agisce in questo mondo ma non è una cosa terrena: può non vincere il campionato, può retrocedere, può fallire, ma non può perdere. Il Toro non può perdere". Capito?   E poi c'è Rachid. Non sono di Torino, non lo conosco, ma mi ha emozionato la sua bellissima storia. Come da vu cumprà si sia laureato in Ingegneria è stato raccontato in questi giorni da tutti i giornali, ma su Toronews ho letto lo splendido articolo di Diego Fornero che ha sottolineato, senza strombazzarlo, lo sfondo granata di questa vicenda. Rachid, scrive Diego, è un "torinese d'adozione, arricchito da un dettaglio: quella felpa, indossata estate ed inverno, con un logo leggendario, quello del compianto Torino Calcio". Rachid è, insomma, uno di noi, e come noi, forse anche più di noi, sarà inciampato in qualche arbitro distratto che sul più bello gli ha rovinato la festa. Ma è andato avanti. Perchè c'è poco da fare, alla resa dei conti "il Toro non può perdere"