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Finalmente si chiude un altro campionato. Dico finalmente, perché è stato abbastanza sofferto anche questo. L’appendice dei play-off non mi sfiora. Mi crediate o no, mi interessa relativamente la categoria in cui andremo a giocare il prossimo anno. Forse sono nel delirio più totale perchè già completamente consumato dalla tensione per i prossimi spareggi, ma io sono convinto che il Toro e tutti noi siamo fuoriserie. Quando qualcuno che sa poco di calcio (o qualcuno che vuole pigliare per il c…) mi chiede in quale campionato gioca il Torino, io rispondo che non gioca in alcuna serie, nè A, nè B, nè C. Nel senso che non c’è alcuna categoria, torneo o competizione che ci rappresenti. Noi non apparteniamo nemmeno al calcio. Siamo un’entità diversa, con tutto il nostro mondo di valori, di riferimenti, di gioie e di dolori. La partita di calcio è solo un pretesto per ritrovarci e strizzarci l’occhiolino. Per mantenere quel contatto settimanale che ci tiene in vita, che alimenta la nostra comunità e il nostro senso di superiorità. Noi siamo superiori. Alle altre squadre, agli altri tifosi, al destino e alle banali vicende della vita. Noi creiamo valori, cultura; abbiamo le nostre regole e ci distinguiamo per un forte senso di appartenenza ai nostri stessi simili. Tutto ciò ci tiene in vita. Il resto è superfluo. Che si giochi contro il Cittadella o contro l’Inter per qualcuno può fare la differenza, ma per molti di noi ha poca importanza. Lo si è visto in questi ultimi 15 anni. Ci siamo sempre stati dentro e fuori gli stadi godendo anche di piccole cose. Chiedetelo a quel signore che ho incontrato sul tram un sabato sera del settembre scorso e che era in pigiama e pantofole. Era scappato dall’ospedale per vedere il Toro contro l’Empoli, non per assistere alla finale di Champions League. Oppure a quel giovane con i lacrimoni agli occhi che avevo a fianco al gol di Loria all’ultimo minuto di Torino-Triestina. Non si era commosso per una rete decisiva per vincere lo scudetto, eppure aveva provato un’emozione unica e singolare. Per non parlare di quella domenica sera di gennaio in cui tutti quanti noi eravamo in contatto via sms, via mail o via forum perché eravamo convinti che i nostri giocatori stessero scommettendo sulle partite e ancora adesso non sappiamo se fosse realtà o fantasia. Migliaia di persone si sono messe in contatto sfidando qualsiasi mezzo di comunicazione a qualsiasi ora del giorno e della notte: sembrava di rivivere l’estate del 2005 quando volevano abbattere l’entità Toro, sancendo il fallimento della società calcistica. Provare a spiegare questi dettagli ad altre persone si passa per pazzi. Ecco, cos’altro ci distingue: una sana e pura follia che solo noi comprendiamo. Non ho altro da aggiungere e non ho nemmeno voglia di ricordare un Torino-Cittadella del passato come mi imporrebbe la rubrica che state leggendo. Ora come ora, per me, non ha significato.Buon finale di campionato a tutti.
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