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E’ derby tutti i giorni

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di Mauro Saglietti
Redazione Toro News

Questo non è un racconto. Non è fantasia, non è invenzione. Questa è una lettera, un messaggio rivolto ai nostri calciatori. In quanti avranno parlato loro del derby in questi giorni che precedono la stracittadina?Tanti vero?In molti avranno parlato della responsabilità, di una maglia storica Del Grande Torino, di Meroni.Dello spirito di Ferrini, dei derby con Sivori etc.Sì sì, tutto giusto vero, sacrosanto.Però rischia di essere un qualcosa di talmente importante e pesante da risultare astratto.Chissà se qualcuno gli ha parlato anche di noi…

Sapete, sono dodici anni che non vinciamo un derby.In più la gagliarda prestazione a Parma ci fa affrontare questo derby nella situazione peggiore: quella dei poverini che mendicano un punto.Do-di-ci anni.Cosa farei io? Cosa direi se potessi?Facile a dirsi, molto difficile a farsi.Li conoscessi, ne avessi la possibilità, entrerei nello spogliatoio, sprangherei la porta per lasciare fuori le nauseabonde domande del cavolo dei media, tipo “Un pronostico per domenica?” e mi siederei di fronte a loro.E poi aspetterei fin quando non ci fosse il silenzio.Parole… chi le troverebbe?Più che parole ci vorrebbero immagini, flash di ricordi, istantanee impazzite proiettate contro il muro dello spogliatoio, lampi di audio del nostro recente passato.

 

Dodici anni fa.Il Fila era ancora in piedi, anche se era stato appena chiuso dalla gestione Calleri.Ma era ancora là, in piedi.Ora c’è già qualche giovane tifoso che si ricorda solo dei ruderi.I quindicenni ad esempio. I più fortunati tra i giovanissimi hanno qualche lontano ricordo, ma nulla di più.Che effetto fa vincere un derby? Già… chi se lo ricorda?!L’ultima volta mi misi a suonare il clacson all’impazzata per le strade di Borgo Vittoria, urlando come un ossesso, sotto lo sguardo impietrito della mia ragazza di allora.Dodici anni fa.Migliaia di amori, emozioni e capelli fa.Sembra preistoria.

 

Dodici anni fa, primavera, era la stagione di Sonetti e di Abedi Pelè. Avevamo già vinto 3-2 la partita di andata, quell’anno fu una goduria.I telefonini… chi li aveva? C’erano i primi, quelli grossi come autoradio, quelli con l’antenna da estrarre ogni volta. E non so quanto si stesse peggio senza il solito controllo “Dove sei?”, “Cosa fai?”.Gli sms? Una sequenza di tre lettere senza significato.Non avevamo ancora giocato e perso contro Castel di Sangro, Cittadella e Crotone, il Ravenna non ce ne aveva ancora fatti quattro in casa, non avevamo fatto un viaggio nell’inferno di Reggio Emilia per farci beffare da volontà politiche. Non avevamo visto la gente piangere dopo quella partita.Non avevamo idea delle dirigenze che si sarebbero susseguite, per guidarci alla nostra “Final Destination”, sceneggiatura già scritta da abili maestri.Chi saliva a Superga il 4 maggio non era ancora stato insultato, Torino-Messina 1-3 con 17 spettatori in Maratona era solo una pazzia da fanta-horror, il Campanile era una cosa attaccata alle chiese e Piazza Palazzo di Città era solo la Piazza Palazzo di Città.Quante cose non erano ancora capitate.

 

Di cosa parlerei ai giocatori? Davvero, come potrei cominciare? Forse rimarrei un po’ in silenzio a raccogliere i pensieri.Lontane serate, appesi a internet per sapere se il signore delle lattine avesse comprato il Toro.Appesi a un filo, appesi a un nulla.Ecco cos’era il nostro derby in quei giorni: entrare in un caffè per sbirciare un trafiletto di giornale, che il più delle volte non c’è.- Un cappuccio, grazie.Magari non ne hai voglia, però sei entrato apposta per dare un’occhiata. Tra le ultime pagine… tanto siamo sempre là… no, qui si parla della caviglia di Del Piero, qui del mal di testa di Del Piero e qui della nuova maglia indossata da Del Piero… Un quarto di riga, nascosta tra la pallanuoto e la mountain bike.Un quarto di riga che non dice nulla.Questo abbiamo dovuto sopportare.Questo e altro.

 

Serate mica tanto lontane, quando c’era un’unica trasmissione televisiva in tutto il pianeta che parlava di Toro.Una trasmissione che finiva sempre con un groppo in gola.Mattinate in coda nelle quali vai al lavoro, sommerso dalla tua città. Tu pensi “Io sono del Toro”. Lo sai sempre, te ne ricordi anche quando guardi un marciapiede pensieroso. Poi ti accorgi che il tuo Toro sei solo più tu e gli amici, che nessuno ne parla, che sta morendo una parte di te, che gli “altri” hanno messo il toro nel loro stemma, che giocano con la maglia rossa e che ti guardano con un ghigno beffardo.Vorresti urlare di rabbia, vorresti scendere dalla macchina e fermare il mondo.Ti chiedi se sei il solo che sta ribollendo, se anche qualcun altro nella macchina di fianco alla tua sta pensando alla stessa cosa. Non certo quello con la Punto gialla con l’alettone. Quello sai che è un gobbo ancora prima di guardarlo.Vorresti che nessuno ti lasciasse solo con i tuoi pensieri, vorresti che qualcuno contrastasse questo potere che ti opprime.E invece non succede mai nulla.Per giorni. Per anni.Anche questo è stato il nostro derby.

 

Dodici anni.In mezzo a noi c’erano ancora tanti amici.C’erano tante persone che oggi non ci sono più.Che facciamo? Ci dimentichiamo di loro? Facciamo finta di niente?Pensiamo davvero che una persona che ha tifato Toro tutta la vita se ne dimentichi al momento del suo conteggio finale?In quanti, amici, parenti, conoscenti se ne sono andati in questi anni con la passione della loro vita sprofondata sotto un macigno, lanciato deliberatamente per schiacciarci?In quanti?Lasciamo perdere la retorica, ragazzi, pensiamo ai loro volti, alle loro parole.Il nostro derby è anche per loro.Altro che partita di calcio.

 

E’ stato ed è derby tutti i giorni per noi.Dal momento in cui ci alziamo al mattino, fino a quando non rincasiamo a fatica alla sera.E’ derby nelle scelte che facciamo, di ora in ora, nel modo di intendere la vita, di vestirci e di comportarci.E’ derby quando un truzzo viaggia sulla corsia di emergenza, mentre tu sei in coda.E’ derby quando tu decidi di rispettare la viabilità e gli altri se ne fottono.E’ derby quando ti aggiri smarrito in un centro commerciale nella tua città e ti chiedi chi abbia voluto tutto questo.E’ derby quando vedi la tua città stravolta, la sua anima dimenticata, le sue strade tempestate di pali bianchi che ricordano una città di mare, mentre tu sei ai piedi delle Alpi, quando vedi colate di cemento anonime, casermoni assurdi con multisala traboccanti di film con esplosioni.E’ derby quando sali in collina a vedere le montagne spazzate dal vento e pensi a quanto sia bella e romantica questa città e a quanto avrebbe potuto esserlo ancor di più.E’ derby quando sei sul pullman e ti capita di intercettare un discorso. Tre parole sono “minchia”, quattro sono “zio fa”, nove sono nomi di marche famose, quindici sono sui modelli di telefonini. Le parole che rimangono sono cazzate.E’ derby quando ti senti ai margini del mondo pur essendo al centro della tua città.E’ derby quando vai all’estero, e alla gente che sa che sei di Torino e ti chiede se sei gobbo, spieghi che cosa è veramente la gobba per te. Ma non lo fai a caso, perché prima di partire hai studiato le parole inglesi che meglio rappresentino la tua descrizione.E’ derby quando riesci ancora a vedere una vecchietta che attraversa la strada con le borse, smozzicando due parole in piemontese (ce n’è ancora qualcuna), sommersa da tutto questo niente che ha intorno, da questa volgarità ed estraneità che la sta inghiottendo.Vorresti sostenerla, vorresti dirle che quello che ha fatto non è stato inutile, non è andato disperso.E’ derby per la città che ha vissuto, per le storie che ci ha raccontato, per suo marito che non c’è più, per le favole che ha raccontato ai nipotini tenendoli sulle ginocchia.E’ derby anche per lei.

 

Come potrei far capire tutto questo ai giocatori?Rimarrei in silenzio di fronte a loro e forse ancora non riuscirei a parlare.

Siamo stati vittime di una demolizione programmata studiata nel dettaglio.E chi ne è stato il maggiore beneficiario?Il Chievo? L’Albinoleffe? Il Modena? Il Cagliari o magari il Treviso?Ah, no, scusate! L’Ancona! Come ho fatto a non pensarci?!Ci hanno portato via degli anni, ci hanno tolto la possibilità di avere ricordi.E nessuno ce li restituirà, stiamone certi.

 

Sono dodici lunghi anni che giochiamo questo derby, ogni santo giorno.Dodici anni di questo e ci arriviamo in questo stato?E c’è ancora chi, preso da paura, dice che si accontenterebbe di un pareggio?Perché?Per pareggiare un derby e poi perdere l’altro?Per non dare fastidio al Sire?Perché poi si arrabbiano e ci fanno sparire?Per tenere un profilo basso?Perché noi siamo “poverini”?Dodici anni di tutto questo e c’è ancora chi vorrebbe il pareggino?Forse i gobbi forse si accontenterebbero del pari?Perché loro no e noi sì?Basta con questa mentalità da bocciofila e da poveri cristi.La misura non è ancora colma?La rabbia è rimasta in cantina?Pareggino?Un par de balle.Preferisco perdere venti a zero ma almeno provare a giocarmela.E solo allora vada come vada.Nessun problema a riconoscere chi è più forte sul campo.

 

Come vorrei che chi difende i nostri colori capisse tutto questo.Come vorrei che si evitassero proclami del cavolo in conferenza stampa, che tra l’altro portano una rogna memorabile, e si badasse al sodo.Quanto mi piacerebbe che i giocatori entrassero nella nostra mente, che si connettessero ai nostri ricordi con una chiavetta USB e vedessero in un secondo, in un breve e interminabile shock, tutto quello che noi abbiamo vissuto in dodici lunghissimi interminabili anni, senza bisogno di parole.Se vedessero, se riuscissero a capire, allora non ci sarebbe spazio per pensieri ai pareggini, alle speculazioni, ai “poveri ma belli”. Ci sarebbero solo rabbia e furore agonistico, qualunque fosse il risultato finale.E state tranquilli che se anche solo un centesimo del messaggio arrivasse, allora Bjelanovic solo davanti al portiere non farebbe il “tocchetto sotto”, ma tirerebbe una bordata, a costo di buttare dentro anche il portiere, a costo di farsi male, a costo di giocare l’ultimo pallone della sua carriera.E poi non avrebbe paura del vantaggio, ma raccoglierebbe la palla e la porterebbe al più presto a centrocampo, per farne un altro.E nessuno se la farebbe addosso all’ultimo minuto, per una non meglio precisata paura.

 

Sapete, tifare Toro sembra essere come una estenuante attesa a una fermata del treno.Sai che un bellissimo, confortevole, convoglio sta per arrivare, ti prepari, guardi l’ora, poi ti dicono che è in ritardo, che ci sono problemi ma arriva, che tarda ancora un po’, assicurano che non ti devi preoccupare, perché comunque il treno sta arrivando.E tu sei sempre lì sotto ‘sta cavolo di pensilina ad aspettare.Il bello è che c’è anche qualcuno degli Allineati ed Omologati che ti dice - Ma sì, cosa vuoi che sia un ritardo di dodici anni? Aspettiamo ancora un po’…

Quante cose mi piacerebbe dire, ragazzi.Queste sono immagini, esperienze, questa è la nostra rabbia, la nostra vita.Questi non sono concetti astratti o retorici.Alla fine però me ne andrei.Mi alzerei senza aver detto una sola parola.Vorrei che nello spogliatoio rimanessero solo loro e un silenzio assordante.Forse mi illuderei che qualcuno di loro trovasse la forza di ascoltarlo. E magari di capirlo.

Se qualcuno ne ha la possibilità, per favore, dica ai calciatori queste cose. Mauro Saglietti

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