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mondo granata
Il cambio, il cambiamento, il bivio se preferite.Un momento prima sei nella storia, nella tua storia.Un istante dopo non ci sei più.Non te ne accorgi, la tua mente adatta frettolosamente la nuova condizione ad uno stato di continuità. Ma da lì in avanti, nel tuo passato ci sarà una cesura, ci sarà sempre un “prima” e un “dopo”.Questa è la storia di un cambiamento, forse l’inizio di una discesa che si travestì da salita per un paio di anni.Protagonisti? Tanti, tutti noi.Ma se vogliamo scendere nello specifico di questa storia, allora possiamo parlare di un computer Amiga, di una Prima Ragioneria, di Lentini che scendeva sulla fascia, del pallavolista Carillo e di una biondona che a Palazzo Nuovo faceva girare la testa al mondo.Questa è la storia del campionato 1990-1991.E tu non ci sei più.Parlare del campionato 1990-1991 è come giocare a poker col morto. E’ come parlare continuamente di qualcuno che non c’è.Il grande assente di quell’anno è un amico perso ma che continua a vivere nei ricordi.E’ la Curva Maratona dei sogni, quella che ancora oggi continua a tormentare di nostalgia i quarantenni, quella che fu disintegrata in un attimo dai terribili anelli del Delle Alpi, dalle sue inconcepibili strutture tubolari, frutto della mente di qualcuno che aveva visto di tutto nella sua vita tranne forse che una partita di calcio.Qualcuno di noi aveva già avuto la (s)fortuna di entrarci per l’amichevole “Mista Torogobbi” contro il Porto, che aveva inaugurato l’impianto. Oppure per le gare dei Mondiali del 1990, impianto che rese gelido anche quell’inizio d’estate.Quando ci ritrovammo lì, in occasione di Torino-Lazio, prima gara di quel campionato, divisi, confusi e compattati, ci illudemmo che la nostra magia avrebbe superato le strutture edilizie assurde.Ma non sarebbe stato così.Lo scudetto e le coppe - Entro qualche anno lo scudetto e qualche coppa non dovrebbero sfuggirci. Non sono le parole di un pazzo, e neanche quelle di Moratti.Le pronunciò nel Febbraio 1990 Gian Mauro Borsano, il nostro presidente, in carica da poco meno di un anno, in occasione del Carnevale Granata, svoltosi in Piazza San Carlo, dopo Torino-Como 5-0. La gente aveva applaudito, entusiasta, dopo essere stata in corteo dallo Stadio fino in centro.Allora ci credevamo davvero tutti. Borsano, per noi ingenui, era l’uomo nuovo, il piccolo imprenditore dalle potenzialità infinite, che aveva sancito che “il Torino non era più terreno di conquista per nessuno”.La squadra, portata poi in A da Fascetti, era stata affidata ad Emiliano Mondonico, che aveva già trovato una struttura da piani alti di serie A.A questo meccanismo, che comprendeva giocatori del calibro di Muller, Skoro, Lentini, Cravero e Policano, Romano, erano stati aggiunti Giorgio Bresciani e soprattutto lo spagnolo Martin Vasquez, fiore all’occhiello di una squadra che aveva le carte in regola per regalarci le rivincite che meritavamo dopo troppi (allora!) anni balordi.Il giocatore di pallavoloLa prima volta al Delle Alpi fu un Torino-Lazio, prima giornata di campionato. Un deludente 0-0.Ci ritrovammo tutti insieme dopo gli incontri del precampionato, in particolare quelli di Genova per il torneo del Mediterraneo, vinto a sorpresa (2-2 con l’Atletico Madrid, 2-0 col Genoa), o quelli valdostani del Torneo Baretti (4-1 alla Sampdoria e 2-1 alla Fiorentina), vinto anche questo.Una Curva nuova, spersa, confusa, che fece a malapena in tempo a capire che molti dei personaggi storici della Maratona di un tempo non c’erano più.Storie di soldi, tradimenti, bassezze. Ognuno cambia e non sempre in meglio.Qualche coro contro l’Acqua Marcia, responsabile di quell’orrore, poi lo schieramento di polizia pronto a intervenire direttamente in Curva, partendo dall’ultimo scalino del secondo anello. Non capitò nulla, ma fu l’unica volta che vidi quello schieramento.0-0 dunque, una traversa di Policano e l’espulsione di Bruno.Al Comunale un pareggio in casa sarebbe stato un disonore. Al Delle Alpi divenne l’abitudine.Scoperta terribile, la Curva ai lati non cantava, anzi rimaneva addirittura seduta.Orrore.La settimana seguente, il Toro tornò al gol in serie A, al San Nicola di Bari, con Muller dopo nove minuti, ma subì il gol di Raducioiu al ‘39. Ad un minuto dalla fine Carillo, il difensore neo-acquisto, arpionò la palla con la mano in area a mo’ di pallavolista.Rigore, gol e sconfitta, e serie dei gol beccati nei minuti finali nell’era Mondonico, inaugurata.La prima voltaTemevamo che anche in quell’occasione, la nostra voglia di gol restasse tale.Invece, a dieci minuti dalla fine di quel Toro-Inter, Martin Vasquez calciò una punizione in mezzo alla bandiera interista.La rete sotto la Maratona si gonfiò, il primo gol nello stadio nefasto, e fu bissata dieci minuti dopo dal raddoppio di Lentini, in fuga solitaria.Festeggiamenti quasi come ai vecchi tempi. Ma questa volta non si cadeva più l’uno sull’altro, c’era troppo spazio tra di noi in quel catino.Un modo diverso di vivere un gol.Il Toro dunque tornò alla vittoria in A riprendendo il discorso là dove l’aveva lasciato prima di retrocedere in B, con un 2-0 all’Inter.La settimana seguente tuttavia, tornammo a perdere in trasferta, questa volta a Bologna, gol di Iliev a 12 minuti dalla fine, contro una squadra che aveva troppi conti in sospeso con noi.Che Toro era quello? Troppo deludente per essee la prosecuzione della macchina da gol della serie B, o ancora gruppo acerbo?Lavoricchiavo in una libreria all’epoca, alternando gli studi universitari a una ragazza fissa fuori Torino.L’idea fissa era solo una, quella del Toro, nonostante l’età, la sua voglia e le infinite possibilità che si creavano in quella libreria.Possibilità che parevano scontate, ovvie da rifiutare perché scioccamente ritenute eterne.Organizzammo con quegli amici, di andare a vedere insieme Toro-Roma.Loro al terzo anello, io al secondo. Dannati anelli, compagnie sfaldate.C’erano ancora ragazzi giovani che avevano voglia di Toro, che respiravano la rinascita.Un dominio assoluto, 1-0 con gol di Romano dopo mille occasioni sbagliate.Toro ancora altalenante, ma proiettato verso zone tranquille di classifica.Hai visto un fantasma?Gli esami universitari latitavano. L’attività lavorativa in quella libreria nella quale tutti piangevano miseria (i proprietari sarebbero scappati all’estero con la cassa dopo qualche anno), mi aveva fatto trascurare gli esami di Lingue. Il risultato sarebbe stato il dover passare a tutti i costi Filologia Germanica prima della fine dell’anno, pena il non essere in grado di effettuare il rinvio dal dannato Servizio Militare.L’angoscia cresceva, ma un giorno, mentre mi trovavo proprio a Palazzo Nuovo e stavo parlando con un amico, il mio sguardo si bloccò.Hai visto un fantasma?Palazzo Nuovo era un covo di tiraggio, idiozia e belle donne, noi pochi maschietti ci avevamo fatto il callo.Evitate facili battute.Ma quello che vidi passare quel giorno, in abito corto rosso fuoco, in sintonia con le scarpette rosse, fu quanto non avevo mai creduto possibile vedere…Ma chi c… è quella lì?Eh eh… E’ al di là del bene e del male… deve essere una inavvicinabile, mio caro. Viene qui tutti i giorni… Beato chi la conosce…Restai a guardarla andare via, inebetito. Era raro che rimanessi ipnotizzato, ma mi chiesi se l’avrei mai rivista.Continuai a chiedermelo per anni, ogni volta. L’avrei ancora rivista o no?Mentre io pensavo a queste cose con sguardo inebetito, il Toro batteva il Cagliari fuori casa per 2-1, vincendo per la prima volta fuori dalle mura amiche, con Mondonico a casa, operato di appendicite.E poi pareggiava maldestramente a Cesena, per 2-2, dopo essere passato in vantaggio a pochi minuti dalla fine. Dagli e ridagli, la costante di prendere gol allo scadere stava diventando irritate. Caro leccese, ti aspetta la Lucchese.Vendetta, tremenda vendetta.Da un anno e mezzo aspettavamo il confronto col Lecce per vendicarci delle angherie subite nel giugno 1989, che avevano sancito la nostra retrocessione.E vendetta fu, con autorete di Morello, su punizione di Policano e raddoppio di Muller.Così come i Leccesi avevano scritto nel 1989 su di un lenzuolo “Caro granata, ti aspetta Licata”, noi rispondemmo con un “Caro Leccese, ti aspetta la Lucchese”, che non sanò la ferita, ma quanto meno ci fece rendere un po’ di pariglia agli odiati salentini.La settimana seguente mi recai a vedere uno scialbo Genoa-Torino senza gol, con Pacione, ex Toro, che avrebbe fatto di tutto pur di segnarci un gol.Era bello tornare a visitare i luoghi della serie A e la carovana granata si spostava compatta.Niente, ma proprio nulla al mondo ci avrebbe fatto immaginare che saremmo potuti tornare a frequentare stadietti che per noi erano stati soltanto una parentesi, seppur gloriosa.“Chiedete a Lanese, perché c’è la violenza negli stadi”La partita simbolo del girone di andata è Torino-Mlan del 25 novembre. Per tutte le polemiche che ne seguirono. Il Toro disputò un gran primo tempo e passò in vantaggio con Lentini, ma nella ripresa subì il ritorno milanista, che arrivò al pari proprio al ’90 grazie ad un tiro di Maldini da fuori area.Per tutta la ripresa però, l’arbitro aveva fischiato a senso unico, permettendo al Milan di avvicinarsi sempre di più alla nostra area di rigore. Raramente ricordo di avere assistito a un arbitraggio così sistematico che, unito alla consueta paura di vincere dell’era Mondonico, permise al difensore rossonero di scoccare l’inevitabile tiro della domenica con altrettanto inevitabile palo interno.La gente se ne andò furibonda.Chiedete a Lanese (l’arbitro) perché c’è la violenza negli stadi!! – tuonò un tifoso invelenito in direzione delle Forze dell’Ordine, al momento di abbandonare lo stadio.Sul pullman gremito che ci riportava a casa, scorgemmo una vettura di milanisti in panne.Li sommergemmo di ingiurie dai finestrini, ringraziando il buon Dio che aveva provveduto al posto nostro a intervenire sullo spinterogeno, con qualche consiglio sul luogo appropriato di utilizzo della marmitta.Eravamo giovani e incazzati e il fair play era cosa distante.Giusto il tempo di assorbire la botta, che si andò a perdere a Napoli per 2-1. Con gol decisivo, guarda un po’, subito nei minuti finali.Evviva evviva. “Una nevicata eccezionale”Ma fate furb!Sono le mie esclamazioni dopo aver udito al Processo del Lunedì le parole di un dirigente dell’Acqua Marcia, che si occupava del catafalco delle Vallette.Costui si giustificava per il fatto che il derby del 10/12 fosse stato rinviato causa neve.La gente del Toro aveva atteso il derby come un assetato attende l’acqua nel deserto.Voglia di rivalsa, rivincita e desiderio di giustizia si erano accavallati e intrecciati durante la settimana precedente e quel giorno la folla era arrivata al Delle Alpi con la convinzione di una vittoria.Però Torino è una città del Nord, situata vicino alle Alpi, e spesso nevica.In quegli anni nevicava ancora di più.Questo piccolo particolare doveva essere sfuggito ai dirigenti dell’Acqua Marcia, che con Torino avevano veramente poco a che fare.Abituati alla cura con la quale veniva gestito il Comunale, ai suoi teloni stesi immediatamente dopo la fine di una partita, si può immaginare la nostra sorpresa al momento dell’ingresso nello Stadio, nel trovarci di fronte a una distesa bianca al posto del prato.Nessuno aveva pensato a stendere dei teloni!Le tanto decantate serpentine installate nel terreno, che avrebbero dovuto riscaldare il terreno di gioco, si rivelarono delle prese per i fondelli.Italianamente, si tentò di rimediare alla situazione con l’aiuto dei tifosi, del Toro, che scesero in campo a spalare.In realtà la truppa si recò a spalare sotto la curva gobba (mezza curva, il problema abbonati negli stadi moderni cominciava ad esplodere), disegnando un allegro componimento nel terreno, riguardante la sostanza organica associata per antonomasia alla juve.Così, disperazione per disperazione, il derby venne rimandato al giorno seguente, con molta meno gente sugli spalti, rispetto a quanto preventivato.La gente normale tende a lavorare durante la settimana.Segnò Policano nel primo tempo. Poi subimmo la rete di Baggio su punizione, nel solito finale in trincea di Mondonico, ennesima volta.La Curva applaudì alla fine, io no. Era una partita da vincere e troppe volte in quegli anni applaudimmo i pareggi interni per buonismo.HeadlongE’ uscito il nuovo disco dei Queen, Innuendo… Direttamente al primo posto!Bah! Lascia perdere, sono un gruppo di f… Non riesco ad ascoltarli.Mi sorprendo ancora oggi, ricordando quei giorni di quanto fossi superficiale alle volte nei miei giudizi.E quanto mi sarei dovuto ricredere.L’ultimo album dei Queen prima della morte di Mercury, già gravemente malato.Non c’era tempo per accorgersene o per capirlo.A 22 anni vivi headlong, a capofitto tra le tue mille cose che dai per scontato.Curioso e contraddittorio.Da un lato pensi di essere onnipotente, dall’altro non hai la minima fiducia in te stesso per pensare di poter essere tu a piacere a una biondazza da capogiro.No, proprio non ci pensi, non hai esperienza per poter capire che forse proprio quel tuo silenzio è una strada vincente.Buonanotte, buonanotte fiorellino.Così il 1990 se ne andava via con la sconfitta contro il Pisa per 2-0, con rigore sbagliato da Martin Vasquez, ed il pareggio interno squallidissimo col Parma, due delle antagoniste dell’anno precedente.Al di là della classifica, appariva chiaro che il nuovo Toro era molto più propenso al pareggio interno casalingo e che aveva perso quel tremendismo interno che avevo legato (e che continuo ad associare alla vecchia curva).Col 1990 se ne andò in porto, grazie a Dio, anche il mio esame di Filologia Germanica, che mi permise di ritardare il mio servizio verso una Patria nella quale non credevo, e alla quale forse non ho mai creduto.juve stellare, juve champagneLa gobba quell’anno cambiò corso. Boniperti venne momentaneamente messo alla finestra (e sulla lotta Boniperti-Bettega si sarebbero scritte alcune interessanti pagine a metà degli anni ’90), per far posto a Luca Cordero di Montezemolo, che inaugurò il nuovo ciclo della juve moderna. Zoff, che aveva fatto un buon campionato l’annata precedente, rendendo i bianconeri meno antipatici e riuscendo a conquistare la Coppa Italia a spese del Milan, venne silurato a favore del giovane ed emergente Gigi Maifredi, mostro di umiltà, reduce dai successi di Bologna.La gobba tenne nella prima parte del campionato, fino a raggiungere l’apice dei risultati con la sonante vittoria casalinga per 5-0 sul Parma, all’inizio del girone di ritorno, prestazione che fece parlare al simpaticone di “juve stellare”.L’entuasiasmo si basava però sulla tenuta della zona maifrediana, che cominciò a rivelare crepe sempre più paurose.La gobba imbarcò così prestazioni insoddisfacenti, uscì dai giochi del campionato, che venne stravinto dalla Sampdoria e collassò nel finale, fino all’epilogo glorioso che vedremo più avanti.ZolleIl Toro tornò a vincere il 6 di gennaio del 1991, con una grande prestazione a Genova contro la capolista Sampdoria. Giorgio Bresciani fu il giustiziere doriano, prima del rigore finale di Vialli ed il forcing blucerchiato, che portò Pagliuca, il portiere della Sampdoria, a colpire il palo (!!!) nei minuti di recupero.In compenso in casa si continuò a non vincere.Lo stadio dei miracoli continuava a rivelarsi un tugurio costruito all’insegna della probabile speculazione. Il terreno, serpentine o non serpentine era perennemente gelato (e te credo, in quella terra di nessuno!) e le zolle si alzavano da terra miste a sabbia, quasi si fosse su un campo di beach volley.Una zolla dunque ci fu fatale nell’incontro disputato contro la Fiorentina il 13 gennaio, quando una rete di Bresciani venne pareggiata a sei minuti dalla fine, da un tiro di Salvatori, deviato proprio dal terreno.Fatto stava che una squadra che doveva e voleva vincere, doveva tenere la palla distante dalla propria area nei minuti finali. Invece…Il girone di andata terminò con l’inaspettata vittoria a Bergamo contro l’Atalanta, rete di Bresciani, e proseguì sulla strada del ritorno con la sconfitta a Roma contro la forte Lazio, dove a nulla valse una rete in rovesciata di Lentini.Quel Toro altalenante, a cui si doveva credere sulla fiducia, riuscì comunque a far esplodere un giocatore ruvido, grezzo e con i piedi che sembravano due ferri da stiro come Enrico Annoni.Suo fu uno dei gol della quaterna casalinga contro il Bari, all’inizio di Febbraio. Un gol prima dell’infortunio, che lo costrinse ad abbandonare il campo.“Tarzan” Annoni avrebbe rappresentato il tipico giocatore da Toro, magari scarso ma volenteroso, che sopperiva con la volontà ai propri limiti, riuscendo spesso a superarli.Meno tredici.Il vento gelido spazzava Torino il sei di Febbraio, giornata della gara di andata dei quarti di finale di Coppa Italia contro la Sampdoria.Oggi forse lo stadio rimarrebbe vuoto, ma allora ci si muoveva in massa.Tredici gradi sotto zero, uno dei freddi più intensi che ricordo allo stadio.Decisi di giocare in anticipo, indossando gli antiestetici ma efficaci Moonbooth, che suscitarono l’ilarità degli amici.Dopo un’oretta la loro ilarità era scomparsa e, benché i miei piedi fossero al caldo, il resto del corpo era un blocco di ghiaccio.Rintanati nei nostri cappucci, cercavamo sollievo cantando, ma il Delle Alpi era disposto in comunicazione diretta con i venti del Polo Nord.Segnò Lentini dopo pochi secondi, poi il Toro si accontentò, atteggiamento che avrebbe pagato a caro prezzo nel ritorno.Pochi giorni dopo il Toro perse a Milano contro l’Inter una partita che non meritava di perdere, per un gol di Klinsmann dopo otto minuti, ma si mantenne comunque in una posizione di classifica che permetteva qualche sogno UEFA.Un 4-1 perentorio al Bologna ci fece capire quanto il Toro stesse crescendo.Bresciani due volte, Lentini e Policano, regolarono i felsinei e i conti in sospeso.La gente cantava a Lentini di scendere sulla fascia, di crossare al centro dove Giorgio (Bresciani) avrebbe fatto gol.E quella Curva, benché figlia minore, continuava ad essere piena.Monkey IslandI videogiochi si avvicinano in quegli anni sui mercati internazionali con svolte epocali.Era finita l’epoca del Commodore 64 o delle consolle pure, ma non era ancora scattata l’ora dei PC di massa.Gli utenti informatici erano ancora in larghissima parte dei videogiocatori, che si affidavano a consolle travestite da Personal Computer, come il Commodore Amiga, che si cibava dei caratteristici dischetti.Al 99% i programmi erano copiati e piratati da insospettabili pensionati, che ricevevano ogni giorno decine di ragazzini, o da pirati informatici belli e buoni, che si permettevano il lusso di non vendere dischetti singoli (dannazione, il dischetto numero 7 non funziona!!!) ma di obbligarti a riacquistare l’intero pacchetto.Dal videogioco passivo si passò a quello attivo, dove con gli adventure, eravamo noi a decidere che cosa far fare al personaggio, influendo sulla trama, ricostruendola con una presunta libertà.Così “Usa spada su burro” poteva apparire insensato e ci avrebbe obbligato a ragionare. Molto meglio, se avevamo bisogno di cenere, per il nostro proseguo, “Usa fiammifero su bandiera bianconera”.Era l’epoca di un videogioco che io e mio fratello impiegammo tre giorni a completare, Monkey Island della Lucas Arts, storia di un ragazzo che vuole diventare pirata.Tre giorni di giocate fitte fitte, io 22 anni, lui 16. Io avrei dovuto studiare per gli esami, lui per Ragioneria.Partenza ore 14, cervella che si fondono per tre ore, poi alle 17 si spegneva tutto.Borsa del ghiaccio sul computer per raffreddarlo, libri aperti e appunti alla rinfusa, pronti per il ritorno a casa di nostro padre alle ore 17:10.Alle 17:15 i primi sbuffi “Non ce la faccio più, è dalle 14 che studio… giochiamo un po’”.Alle 17:20 il computer, insospettabilmente freddo, si riaccendeva pronto per altre due ore di forcing.La festa della DonnaIl ritorno della gara di Coppa Italia contro la Sampdoria fu drammatico come al solito.Uno striminzito 1-0 tranquillizzava soltanto gli ottimisti, ma la rete di vantaggio fu presto rimontata dal solito tiro della domenica di Ivano Bonetti.Supplementari e poi rigori.Già, rigori.C’è bisogno di chiedersi come andò a finire? Direi di no.Perdere a Roma con i giallorossi era sempre stato un must al quale decidemmo di non sottrarci.Un 2-0 secco ci rimise in altalena con le nostre solite prestazioni e il l1-1 seguente interno col Cagliari, ci mantenne nel limbo.In occasione della Festa della Donna, il presidente Borsano omaggiò le fanciulle dell’ingresso gratuito in occasione della gara interna che si sarebbe disputata contro il Cesena, fanalino di coda.Partita facile, clima di festa.Toro che perdeva o ci andava vicino.Gol di Piraccini nel primo tempo e rigore sbagliato da Bresciani nella ripresa.A sei minuti dalla fine Torino 0 – Cesena 1.Ci pensò Lentini in mischia, 1-1.Quando il pareggio sembrava scritto, fu Dino Baggio a regalarci il 2-1.Così, una volta tanto, fummo noi a fare gol, alla fine.1-1 a Lecce, 5-2 in casa col Genoa (uniche due reti di Haris Skoro nel campionato), e sconfitta di misura a Milano con i Rossoneri.Ultimo risultato a parte, segnano un po’ tutti in quel Toro.Segna Lentini, Giorgio Bresciani, Policano…E Muller?Già, la pantera nera con la moglie, la pantera bionda.Muller non c’è più, è tornato in Brasile alla fine dell’anno precedente, eterno incompiuto.E purtroppo con lui in Brasile, è tornata anche la moglie Jussara.Prendi una donna, trattala male…Uno degli esami più noiosi della storia della terra. Almeno mi fosse servito a qualcosa. Avrei lasciato perdere quasi sul filo di lana, ma ancora non lo sapevo.E neanche sapevo che una delle probabili cause era a pochi centimetri da me.Tutti gli esami era la stessa storia. Voglia di suicidarmi la sera prima, convinzione dell’impreparazione, subdola idea di non presentarsi alla sessione, che si insinuava lentamente.Poi, passato l’impegno e l’ansia che lo accompagnava, erano sempre gli stessi sintomi.Mal di testa e male alle gambe. Stranissimo malessere che mi accompagnava, forse per la tensione che andava via.L’esame era finito da dieci minuti e stavo ancora guardando la bacheca, per cercare di capire quale sarebbe il prossimo.Scusa..Quasi non ci feci caso. Così come non prestai attenzione al fatto che tutti stessero guardando nella mia direzione.Scusa…Chissà come mai.Chissà come mai alle volte l’espressione non muta. Forse perché raggelata. Forse per la stanchezza. Forse perché il destino vuole così.Aveva gli occhi grigio chiari, chiarissimi, ed intravidi anche il vestito.Portavo gli occhiali già allora, se guardavo dovevo fissare, e non mi andava.Era in abito corto, cortissimo, una cintura nera in vita. Abbigliamento da serata in qualche locale, non da università.Non feci in tempo a realizzare che fossi la biondona, o la biondazza.Non l’avevo mai vista così da vicino e l’impressione parlava da sola.Scusa, avresti mica gli appunti dell’esame che hai appena dato…Eccola qui, penso. Occhi dolci e voce tenera, vuoi qualcosa in cambio. Poi da uno come me cosa vuoi volere?Congiunzione astrale o altro, non mi sciolsi. La trattai male, quasi da sgarbato. Anzi, non male, con indifferenza, novello Bogart dei noiartri.Il mondo ti tratta bene, bambina mia, pensa quanti devono essere a farlo. Non voglio cadere nel tuo tranello e mi sforzo di trattarti con fintissima indifferenza. Forse sto già giocando.Fu quello il passo decisivo? Cosa sarebbe successo se ti avessi trattato in modo sdolcinato, quel giorno?Mezza Curva.Anche Maradona se ne andò dall’Italia e il Napoli giocò la sua prima partita in Italia privo di lui, contro il Toro. Segnò Policano su rigore, rispose subito Careca e finisce così.E poi? E poi venne il derby di ritorno, che ci vide compatti nella mezza Curva che ci era stata assegnata.Ma la juve champagne, era già soltanto un ricordo.Skoro si mangiò un gol enorme, poi segnò Policano e venne a inginocchiarsi sotto di noi.Nella ripresa pareggiò quel simpaticone di Di Canio, ma su centro di Martin Vasquez, Daniele fortunato spedì nella propria porta per l’1-2 finale.Tornammo a vincere un derby dopo sette anni.Sette lunghi anni senza vincere un derby, Coppa Italia esclusa.Un soffio di vento rispetto ad ora.Da lì in avanti, la strada fu in discesa. Si vinse col Pisa e poi si pareggiò con Parma, Sampdoria, Fiorentina.Eravamo in zona Uefa, ma c’era ancora l’Atalanta, già salva, di mezzo.Meglio festeggiare un quarto o un sesto posto?Torino-Atalanta, una giornata primaverile di bel sole.Con lo 0-0 non festeggiammo soltanto la nostra Uefa, ma soprattutto la juvestellare che non era riuscita a qualificarsi per le coppe europee.Salutammo così quel nuovo stadio, che nel nostro cuore si era dimostrato vecchio, alieno come un parassita che si insinua nell’organismo.Per quanto fosse trascorso un intero campionato, non riuscii mai a farmi piacere quello sgorbio. E ora che lo ricostruiranno mi piacerà ancora meno. Quasi per caso ci ritrovammo, per le vie cittadine a inseguire qualcuno che stava suonando il clacson.- Ma sì, dai, proviamo a seguirlo per due isolati… eccone un altro… e poi un altro ancora.Una colonna di gente si infilava in Piazza Castello passando per i Giardini Reali, proseguendo per via Roma. Bandiere, sciarpe al vento e clacson, quasi a sorpresa.Il passo per posteggiare fu breve, le vie vennero chiuse al traffico e i tifosi si ritrovarono verso piazza San Carlo.Un signore, con la moglie, commise l’errore di fermarmi, per dire ad alta voce “A me sembra esagerato tutto questo…”.Mi beccò nel momento sbagliato. Che nessuno mi rovini le feste.Non stiamo festeggiando per noi. Stiamo festeggiando perché VOI non siete andati in Europa. Noi godiamo quanto voi perdete, ogni vostra sconfitta per noi è un godimento epocale…Pover’uomo. Se ne andò via senza dire nulla.Con gli anni, ripensandoci, mi sono poi pentito di quella risposta acida e sgarbata, ma già allora la prevaricazione e i torti subiti erano stati troppi e ci sembrava davvero di essere sul sentiero della rinascita.Tu devi capire per cosa sei portato…La fine dell’anno accademico arrivò, e con esso qualche esame da archiviare nell’armadio delle cose inutili. In più una serie di pranzi a base di piadina con la biondina, nel frattempo diventata amica. Sembrava stesse sempre aspettando qualcuno, o qualcosa. Non capivo bene chi dovesse incontrare, ma nel frattempo nel tratto di strada che va da Palazzo Nuovo al bar, diventai famoso quanto un attore. Non so di che genere, ma la gente cominciò a farsi strane idee.Stavamo a parlare per due-tre ore, lei puntualmente con i gomiti piantati sul tavolino del bar, la scollatura che più di così non si può e io piffero che fingo di non vedere.Ricordo di aver pensato che il ragazzo di una donna del genere dovesse come minimo avere il transatlantico, non una macchina. Ma io non chiedevo e lei non diceva, lei non chiedeva e io non dicevo.Sarebbero occorsi anni.Anni di caffè e scollature, prima di capire che il mondo aveva deciso di girare al contrario e che anche uno del Toro può avere il suo momento di trionfo glorioso.Ma queste sono storie ancora lontane.Lei era sempre lì, coi gomiti appoggiati sul tavolino e io che, come diceva qualcuno “mi immaginavo tutto”.Dicevo, finì l’anno accademico, io e mio fratello terminammo Monkey Island e per lui si concluse anche l’anno scolastico.Tragicamente.Per il secondo anno di fila, il responso alla prima Ragioneria fu negativo.Quella sera stessa, ospite a casa di mio padre, fui testimone di quest’ultimo che si lanciò in una filippica storica, come solo lui era capace.Il dramma di questo ragazzo qui, sono le vacanze di Natale! Casca maledettamente in una sindrome di quella… maledetta merdona che c’hai di là (il computer, n.d.r.), ma che stasera stessa lo togliamo, anzi, faccio il sacco nero con tutti i dischetti dentro e te li butto via… o lo spacco in due col piede… ecco ridi, poi ce l’hai che non funziona…Ci sarebbe stato da morire dal ridere per una cosa simile, se non fosse stato che, lungimirante, avevo nascosto un registratore sotto il tavolo, che stava immagazzinando l’intera filippica.Mio fratello lo sapeva e, nonostante l’atmosfera, a tutti scappava da ridere. Tu devi capire per cosa sei portato!!! Se una donna è portata per (OMISSIS), fa la (OMISSIS). Tu per che c… (OMISSIS) sei portato? Niente!Parole che avrebbero potuto stroncare un elefante. Il nastro girava e io mi mordevo la lingua per non ridere.Tu vorresti fare l’albanese... arrivi lì, profugo, con gli altri in mezzo alle tende… Io voglio che tu mi dica per cosa sei portato… e fosse anche fare l’astronauta te lo faccio fare… no, no! Non ridere cretino!Il nastro terminò e si sentì un CLICK spaventoso.Colpi di tosse improvvisati, in pieno giugno, coprirono la nostra bravata, conservata per anni come una spassosa reliquia.Amarildo e le bibbieLa formula della Mitropa Cup, che si disputò a Torino tra i granata, Vorwarts S., Veszprem e Pisa fu quanto mai strana.Così come strana era quella Coppa, ora scomparsa, teoricamente destinata alle formazioni vincitrici dei vari campionati cadetti.Tanto per cominciare erano consentiti prestiti provenienti da altre squadre, che potessero rinforzare le rose malridotte di fine campionato.Così i pochi spettatori della Maratona poterono fregiarsi del piacere di rivedere in granata Leo Junior, ormai trentasettenne. Nello stesso tempo, il Cesena ci omaggiò di un simpatico giocatore brasiliano, tale Amarildo, noto per due fatti, nessuno dei quali relativo ai gol.Il primo era che era solito regalare una bibbia a testa agli avversari prima dei match.Il secondo era che invece in campo spesso elargiva testate.Il Toro batté il Vorwarts S nella prima partita grazie ad un gol di Policano, schierato attaccante, e vinse la seconda gara, giocata due giorni dopo, contro il Vesprem (non chiedetemi di quale sperduta Nazione fosse originaria quella squadra), sempre per 1-0, ottenuto grazie ad un autogol all’inizio della ripresa. Bruno si distinse facendosi espellere, Amarildo invece si distinse per i gol sprecati e in breve divenne la barzelletta del torneo. Ad ogni modo il Torino ottenne la qualificazione alla finale, che si sarebbe disputata due giorni dopo, contro il Pisa di Anconetani e Marco Ferrante, partita trasmessa in diretta dalla RAI.Tutto bene o quasi fino all’84 minuto quando un passaggio errato di Junior lanciò il pisano Polidori verso la marcatura dello 0-1. Poco dopo Policano fece le prove generali dell’intervento che fratturò una spalla a Petterson dell’Ajax un anno più tardi.Fece volare un avversario ad un metro e mezzo di altezza con un calcione e nessuno fu sorpreso dell’espulsione.Insomma, tutto si stava mettendo al solito modo, Toro beffato sul filo di lana e Coppa al Pisa.A tempo scaduto, però, un generosissimo rigore, regalò a Martin Vasquez la possibilità di pareggiare.Simoni, il portiere del Pisa, futuro granata, toccò soltanto il pallone, che si insaccò alla sua sinistra.1-1, via ai supplementari e RAI che interruppe il collegamento.A sei minuti dalla fine Leo Junior si riscattò dall’errore, servendo una palla al pallavolista Carillo, soltanto da spingere dentro: 2-1.Prima coppa per il Toro, Anconetani che gridò all’infamia e noi pochi sugli spalti a festeggiare.Ricordo qualcuno che osò addirittura suonare il clacson fuori dal Delle Alpi quel giorno.Epilogo.Che fine hanno fatto i personaggi della nostra storia?Bene, lo scrivente è qui a scrivervi, ma che fine avrà fatto Amarildo, ad esempio?Nel 1992 tornò in Brasile, dopo aver segnato 13 gol (non si sa come) nelle fila dei romagnoli.Di lui si sono perse le tracce.Mio fratello alla fine riuscì a continuare gli studi, superando il dannatissimo scoglio della prima classe.Mio padre non spaccò nessun computer col piede, in compenso la tattica del ghiaccio sull’Amiga ci permise di mistificare i nostri studi ancora a lungo.La registrazione della filippica di mio padre divenne un bootleg internazionale.E’ diventata disco di platino e ha fatto il giro del mondo tre volte, un po’ come la famosa catena.Potete scaricarla su I-Tunes, recentemente è stata remasterizzata e sono state eliminate le madonne.La biondona?E’ una lunga storia, ad ogni modo sul finire degli anni ’90, molto dopo la fine di quello che nel frattempo sarebbe successo, i suoi passaggi in centro non rimanevano certo inosservati.Cosa è rimasto, a parte tutto quello?La sensazione, Toro a parte, che tutto questo sia successo soltanto ieri.Qualcuno ci ha fregato il tempo, ci ha fregato i colori.Venti anni fa, tutti credevamo in quella rinascita.Ora no.Qualcuno, nel frattempo, ci ha fregato il Toro. Mauro Saglietti
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