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mondo granata
Come in tutte le storie d’amore, perché d’amore si tratta, anche quella fra me e il Toro attraversa momenti si e momenti no. Questo è un momento no. Ci sono stati periodi, stagioni in cui mi sono chiesto se l’amore fosse corrisposto. Ad esempio, l’anno dell’ultima retrocessione mi sono sentito come il classico pretendente disposto a tutto in cambio di uno striminzito sorriso. Metti la macchina, carichi gli amici, autostrada, traffico torinese, prima folle folle prima, parcheggio, stomaco regalato al veleno della salsiccia (“andiamo dal lurido”: mai espressione popolare fu più azzeccata), sette otto euro per aver osato aggiungerci una birra, coda, sopportazione dell’immancabile testina che fa il commento razzista sullo steward di colore (mai che venisse da un potenziale ariano: sempre qualche omino che, in regime di selezione razziale, sarebbe il primo a venire gasato: del resto a convincere una nazione che bisognava essere alti e biondi fu un tappo scuro e sfigato), tornello, tifo a prescindere e poi… lo spettacolo di una squadra di calcio che si permetteva di non lottare.E poi ci sono stagioni come questa, in cui il Toro mi sembra guardarmi timidamente in cerca di conferme, e io sono stanco di lui e ho voglia di cambiare aria. Qualche mese fa scrivevo un articolo sul dubbio che avevo: tessera o non tessera. Non l’ho fatta, ma chi pensasse ad un gesto di intransigenza si sbaglierebbe. Non l’ho fatta per nausea, della politica che sta dietro la tessera (interessata o, nel migliore dei casi, incompetente), e per nausea pure di quelli che non me la volevano far fare. Quelli che davano serenamente del “tesserato pezzo di merda” a uno come mio padre che è in curva da quando Bearzot commetteva falli di ingenuità. Il calcio non è la cosa più importante della vita, nemmeno il Toro lo è, e se lo diventa gli facciamo del male. Il Toro ha bisogno non soltanto della nostra passione e del nostro sostegno, ma anche del nostro distacco (almeno, dai, martedì, mercoledì e giovedì), della nostra leggerezza e del nostro divertimento. Soprattutto, dalla nostra ironia. Riversare ogni frustrazione sul Toro dovrebbe essere vietato per gli stessi motivi per cui è non si fuma nei luoghi pubblici e non si gettano le cartacce per terra. Il Toro è di tutti. Quando manca l’ironia, io me la dò a gambe levate ed è quello che sto facendo quest’anno. L’ironia è il grande assente di questa stagione, di questi stadi, di questo Paese. Mi ricordo l’esame orale di maturità: sociologia era la mia seconda materia e non avevo studiato un cazzo, per usare un francesismo. L’insegnante mi chiese cos’erano gli “indicatori sociali” e non lo sapevo. L’adrenalina mi faceva girare la testa a mille e lo capii lì per lì: “gli indicatori sociali sono una specie di termometro per misurare la febbre alla società: ad esempio, le ore di sciopero misurano il conflitto sociale presente delle fabbriche”. Insomma, un po’ artigianale ma andava. Beh, pure l’ironia è un indicatore sociale. Misura la consapevolezza, la maturità, la gentilezza di una società. Quando c’è, la vita è più interessante, eccitante e accogliente. Ultimamente si fa trovare poco in giro. Come avrete capito, oggi scrivo in libertà: Ivan, quel bisontino che ha avuto le prime pagine come nemmeno Elvis, è una specie di metafora. Non riesco a immaginare niente di più noioso. Una roba da sbadigliare da qui all’eternità. Un vuoto mentale in cui si potrebbero organizzare dei maga-raduni, con tanto di posto macchina Eppure i giornali, pur condannando lui e suoi amici, ne hanno parlato in modo sbagliato, gli hanno regalato un’epica. Qualche ragazzo starà certamente sognando di diventare così. E’ un meccanismo della comunicazione che andrebbe conosciuto e ribaltato. Si regala epica al primo che fa la voce grossa, quando bisognerebbe rispondere con una pernacchia (un esempio: Provenzano era chiuso nella sua baracca e l’unica musica che aveva - giuro - era una cassetta dei puffi: ce n’è abbastanza da metterlo in ridicolo davanti a una generazione di siciliani. Invece ne è venuto fuori condannato finchè vuoi, ma pieno di fascino). Ecco, pure la pernacchia è un indicatore sociale, eccellenza italiana al pari del Barolo o del Parmigiano Reggiano, e di cui si stanno perdendo le tracce. Mancano le pernacchie e la goliardia. Potremmo fare la Tessera del tedioso. Tutti quelli che vengono allo stadio come se andassero a lavorare, seri e impettiti e senza voglia di prendersela un po' leggera, dovrebbero fare una tessera con cui poter andare a Le Gru tutti i sabati dalle 13 alle 19.Prima di chiudere, volevo dirvi che le opinioni qui espresse non riflettono necessariamente le mie opinioni, anche perché è troppo presto. Se mi spostano l'invio dell'articolo alle 13, allora sarà tutto un altro paio di maniche. Persino la Redazione e l'Editore potrebbe essere d'accordo con me. Certo, non necessariamente.
Un abbraccio a tutti, Marco
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