mondo granata

Epilogo Toro

Redazione Toro News
di Mauro Saglietti

Dunque la bava di ragno si è spezzata.Forse era già rotta da tempo, ma faceva piacere pensare che una possibilità su un miliardo potesse avverarsi.Invece no, e non ha fatto neanche male più di tanto.Alla fine dell’ennesima partita del Toro più irritante, spocchioso e antipatico della storia, quello che è rimasto, è stato l’abominevole odore di sigaretta dello stadio, non un’emozione.Quell’odore terribile che, chi non è più abituato ai locali fumosi, come il sottoscritto, si porta addosso per giorni, senza riuscire ad eliminarlo, dopo essere stato immerso in quell’odioso inferno di nicotina.Soltanto questo, dopo quella partita.Avremmo potuto appellarci anche al Padreterno in persona, oltre che a Valentino, nella nostro solito e ormai patetico tentativo di logorare un passato lontano, che andrebbe maneggiato con cura, ma anche lui credo ci avrebbe ormai girato le spalle.Basta, basta, basta.

 

Siamo qui, nella polvere, nostra casa abituale, nella quale abbiamo messo le radici.In questi giorni, piovono a raffica le stesse cose già trite e sentite, e ritrite e risentite, pia illusione che le parole possano ancora tenere in piedi un qualcosa di morto.Le leggi su Facebook, oppure le senti sussurrare tra amici al caffè. Oppure in una catena di mail.“Da Madrid come a Licata, bla bla bla”.“Noi del Toro non molliamo mai”.“Indegni”.“Siamo destinati a soffrire”.“Non moriremo mai, Noi siamo il Toro”.Inutile continuare, sapete bene dove voglio andare a parare.Quante volte?Quante volte in questi venti anni, ci siamo detti e ridetti, e stradetti le stesse medesime cose, come se i nostri mantra potessero avere qualche effetto pratico sulla realtà e modificarla?Miliardi di volte.Ora anche queste frasi, come i nostri cori, che hanno venti anni nella migliore delle ipotesi, stanno seguendo la stessa strada che ha intrapreso il mito di Superga e tutto il resto.Ovvero quello dell’usura, dello svuotamento di significato, della lontananza dalla realtà effettiva dei fatti.Sono parole dolorose, lo so, ma le uniche che mi vengono in mente in un’epoca nella quale il nostro linguaggio, non è più adatto ad interpretare la realtà dei fatti.Suoni nei quali abbiamo creduto, grazie ai quali ci siamo illusi, e ora hanno perso il loro contentuto, rimanendo soltanto suoni spesso vuoti.Forse come queste parole.Mi sembra di essere di fronte ad un muro, oltre il quale non è proprio possibile proseguire.Mi sa che è questa volta è proprio finita, ragazzi.Ma suona retorico anche questo.

 

Le prospettive?Siamo seri.Abbiamo pazientato a lungo, molto più di altri, ed il fatto di averci sperato fino all’ultimo è stato spesso favorito dagli estremismi di chi si rendeva alieno dal nostro modo di sentire, nel proprio modo contestatorio.La verità però è lampante.Cairo ha smesso di investire da tempo nel Toro, dopo aver speso sicuramente tanto e molto male nei primi anni.Questa annata è stata la quarta consecutiva nei quali i risultati sono andati in calando.Nel 2007-2008 ci siamo salvati alla penultima giornata.Nel 2008-2009 siamo retrocessi.Nel 2009-2010 abbiamo perso la finale play-off.Nel 2010-2011 ai play-off non ci siamo neanche entrati.Quale sarà il prossimo passo?Una finale di Play-out? Vinta però, in modo da fare il passo graduale?Chi ha voglia di credere e risentire ancora l’ennesima tiritera, fatta di prestiti all’ultimo secondo? Fatta di mentalità che non cambia, di difetti ciclici che si trasmettono, di centrocampi inesistenti, di spocchiosa superficialità, che ci fa puntare ai play-off da ottobre, anziché affrontare una competizione per vincerla.Quanto mi secca dire queste cose.Mi secca veramente da morire.Ma da quel 2005 sono ormai passati sei anni, non più tre.

 

Il futuro di Cairo al Toro credo sia legato al tornaconto che potrà avere da una eventuale (è sempre tutto eventuale) partecipazione alla trasformazione dell’Olimpico.Non faccio i salti di gioia né che lui resti, né che se ne vada.Non c’è più nulla per cui illudersi o fare i salti di gioia.Non ho messo in campo il mio onore personale nella battaglia contro di lui e so bene che chi arriverà, se arriverà, non sarà né più né meno come lui.Fosse esistito qualcuno di serio, si sarebbe già fatto avanti da tempo immemorabile.Invece Boglione, la persona che più si è esposta recentemente, si è affrettato a dire che da solo non avrebbe la forza economica per subentrare, anche preoccupato dal fatto di poter condividere le eventuali contestazioni con qualcun altro, e questa cosa mi ha fatto molto ridere.Quindi cosa facciamo? Ci mettiamo qui ad aspettare, dopo che sono anni che aspettiamo?Ricominciamo la commedia?Magari con le nostre vaccate autorassicuranti con le quali siamo soliti foderarci gli occhi di mortadella per credere di essere ancora unici?Del tipo “Contro il Toro gli altri giocano la partita della vita, perché il Toro è la squadra da battere.Ah sì?Davvero?Perdonatemi, pensavo i tempi si fossero evoluti.Questo ragionamento che già quest’anno ha gridato vendetta al cielo, avrebbe forse potuto essere valido nella stagione 1989-90, l’anno della prima (in realtà seconda) retrocessione.Da allora, casomai ce ne fossimo dimenticati, siamo stati in serie A dal 90 al 96, collezionando campionati importanti fino al 1993. Dal 1996 al 1999 siamo stati in B, siamo ritornati in A per la sola annata 1999-2000. Nuova altalena con campionato di serie B vinto nel 2000-2001, quindi due campionati di serie A, dal 2001 al 2003, tre anni di B dal 2003 al 2006, tre anni di A, dal 2006 al 2009, tre (come minimo anni di B dal 2009 ad oggi),Fanno, dal 1989-90, undici campionati di Serie B, in ventidue anni. Ventitre se contiamo anche il 2012.Dal 1996 invece fanno dieci campionati in quindici anni, sedici contando la prossima annata.Mi scappa da ridere.E noi saremmo la squadra per la quale tutti giocano la partita della vita?No, non è così. Noi siamo la squadra che ormai tutti battono, mentre ci autoilludiamo che questo cavolo di blasone (che sempre in meno ricordano), possa ancora in qualche modo influire.Hai visto cosa se ne è fatto il Padova del nostro blasone e della nostra montagna di retorica!Un boccone.

 

Società, squadra, Toro, ne ho decisamente la nausea.Ultimamente credo che la stessa parola Toro, abbia perso di significato, e forse anche io ho fatto la mia parte per usurarla.Continuo a pensare che sia finita, davvero.Ma finita sul serio, non per finta.

 

Devo confessarvi di avere quasi fatto un ragionamento blasfemo mercoledì mattina, quando una voce amica è stata la prima ad avvisarmi dell’esplodere del calcio scommesse.Per un attimo giuro che ho sperato, senza evidentemente rendermi conto delle conseguenze, che qualcuno dei nostri fosse coinvolto.Forse soltanto in questo modo, tutto avrebbe avuto un senso, compreso anche quanto successo nelle passate stagioni.Esatto, anche quell’alone che imbruttisce chiunque si trovi a passare da queste parti.Invece, fino a questo momento, niente di nuovo.E forse è un bene. Anche se questo tassello si sarebbe incastrato troppo facilmente sullo spettacolo desertico offerto dal paesaggio del Toro di Franco Lerda.Si sarebbe peraltro incastrato alla perfezione con quanto capitò l’anno passato al Cavalieri, episodio mai chiarito, anche se il pissi pissi bau bau dei tifosi ha una opinione assolutamente non riportabile qui, a riguardo.Che mi auguro di cuore non corrisponda alla realtà.

 

Niente di tutto questo dunque, davvero meglio così.Cosa capiterà? Nulla, c’è da scommetterci.In Italia il primo giorno ci si incazza, il secondo ci si pensa distrattamente, il terzo si sbuffa.Cosa pretendiamo da una società nella quale la corruzione è ormai vista quasi bonariamente?Scommettiamo? (ooops). Il “tanto rubavano tutti” tornerà presto di moda.Un ambiente nel quale il più sano ha la rogna, non può far nascere violette al posto di escrementi.Non ce ne stupiamo.Pochi giorni fa, il Presidente di una onlus legata al mondo granata, mi confessava amaramente di aver dovuto sciogliere la società perché qualcuno pensava bene di intascarsi il ricavato.L’ambiente è questo, anche il nostro non fa eccezione e questa è la punta dell’iceberg delle cose che si sanno.

 

Proprio il nostro ambiente.Perché non ci credo più, perché credo che tutto sia finito?Perché noi siamo i primi a non essere più gli stessi.Come detto la scorsa settimana, ognuno è convinto di avere la verità in saccoccia e non esita a disprezzare chi non la pensa come lui, succedaneo di un guerriero di un gioco di ruolo, con tanto di spadone e armatura, piuttosto che fratello.Gli odi tra di noi sono arrivati ad un punto tale che ci vorrebbero dieci anni di successi per spazzarli via.Invece abbiamo giocato, scherzato con le nostre differenze, fino a farli diventare reali.Abbiamo concetti, modi di intendere la vita ormai completamente differenti gli uni dagli altri, separati da generazioni, da culture finanche differenti, separati dai pregiudizi e dal cambiare degli anni.Ci riempiamo la bocca con parole quali onore e dignità (parola abusata ultimamente), forse senza neanche più ricordare ciò che sono. Chi è degno? Chi può giudicare e dire ad un altro di esserlo o non esserlo?E’ tutto un giocare con le parole.Ed è tutto dannatamente inutile.

 

Non ci credete?Allora chiudiamo tutti gli occhi per un attimo, e torniamo indietro negli anni a una mattina anni Settanta.Al senso di fratellanza, all’ironia, a quanto si lavorasse alle coreografie, agli amici che abbiamo conosciuto, alle grasse risate allo stadio, a come eravamo, all’energia che ci pervadeva, al fatto di sentirci rappresentati e di rappresentare a nostra volta, al raccogliere l’energia che ci faceva essere la nostra città, non una squadra di calcio.Non voglio apparire blasfemo dicendo che il Toro, il Torino, ha terminato il suo compito.E sono arciconvinto che lo scudetto granata sia stato il fulcro di un movimento di pensiero, di cultura, di energia, di consapevolezza sociale e di rabbia, di gioia e di amore, partito negli anni Sessanta e sublimatosi come estremo carosello carnevalesco quel giorno di maggio del 1976.L’apertura mentale, musicale e culturale di quegli anni si sublimò con i fuochi d’artificio granata, a chiusura di un qualcosa che sta per essere inghiottita dal riflusso.Quella era la dignità, altro che minchiate, altro che risultati.Era il sapere di essere, di fare parte, di ridere sul e del mondo.E non c’era bisogno di parole Il giorno dopo Pianelli perdette le commesse a Togliattigrad, guarda caso, alla faccia di chi ancora oggi non crede che sia successo veramente.Il riflusso, il nostro riflusso è cominciato da lì.E, come i ragazzi che compravano i dischi del decennio precedente negli anni Ottanta, vivemmo l’onda lunga di quanto successo, fino ad assorbirne l’insegnamento, fino a sostenere con tutte le nostre forze e a qualunque costo, quello che abbiamo sempre creduto come Presente.Le cose, all’inizio degli anni’90 stavano già cambiando, ma i nostri successi ci aiutarono a nascondere la verità a noi stessi.Cambi generazionali, cambi di stadi, società in regresso culturale.Nella stagione 1994-1995 la curva del Delle Alpi presentava già ampi vuoti al terzo anello e si sentiva da più parte dire “Non se ne può più, così non si può andare avanti”.Pensa adesso, dopo sedici anni. Il Toro forse avrebbe potuto ancora salvarsi.Ma preferisco pensare che avesse esaurito il suo compito.Quello di insegnarci qualcosa, forse a veicolare la nostra energia tutti insieme.Non so se abbiamo imparato quella lezione.

 

Quando è definitivamente morto il Toro?Forse quando decisero di costruire il Delle Alpi, stadio maledetto e nefasto.Più probabilmente, se vogliamo parlare di cose tangibili alla metà degli anni ‘90, quando siamo stati messi fuori dal calcio che contava, in un’epoca di trasformazione, nelle quali il distacco tra grandi società e piccole, diventò incolmabile.E fummo messi ai margini per non dare fastidio nella querelle Delle Alpi, che in questi giorni vede la sua tristissima conclusione.Non fummo capaci, esausti come pensavamo di essere dalla gestione Borsano-Goveani, di interpretare la gravità della realtà. Di come noi stessi avessimo lasciato il portone aperto agli sciacalli. Insomma, non fummo in grado di salvare quello che era ancora un barlume di Toro.Da lì in avanti è stato solo il completamento dell’opera, fallimento incluso.Ma diventa anacronistico parlare anche di questo.

 

Lo spirito di quello che era, si è perso e non da ieri, e ormai da decenni stiamo recitando una commedia narcotizzata, con pochi sprazzi di reali risvegli..Quando tireremo giù le impalcature, fatte dalla nostra retorica, dalle frasi fatte, dagli sms auto consolatori, dalla sensazione intimista che “Noi siamo il Toro”, ci ritroveremo tutti qui.Estranei gli uni agli altri.In una città che non è più la stessa, dove comunque hanno vinto gli altri.Forse più di così non abbiamo potuto fare.Chissà se non è stato tutto per niente, oppure la nostra memoria si è persa lontano e sulla maglietta non è rimasto altro che un terribile e nauseabondo odore di sigaretta?

 

Due parole sul capro espiatorio Bianchi.Mi auguro di cuore che vada via lontano da Torino.Per lui e per la sua carriera.E che possa un giorno tornare dopo che noi avremo fatto l’ennesimo paragone in negativo, deliziati dalle gesta del Pellicori di turno, magari applauditissimo perché “ci mette l’anima”.Anche se non tocca biglia.E quel giorno saranno in tanti i coccodrilli a spellarsi le mani di rimpianto, negando di averlo mai fischiato.Del resto, conoscete qualcuno che abbia mai fischiato Ferrante?Ricordate, quello che “bruciava” gli attaccanti, quello che aveva segnato quasi 200 gol ma non “tornava ad aiutare la difesa”.Quello fischiato dalla sua tifoseria mentre tirava il rigore contro il Siena.Nessuno, ve lo garantisco, erano tutti fantasmi.Negli insulti al giocatore più forte (ormai è una costante di questo ambiente, si passa anche per Rosina), c’è tutta la cancrenite di questo ambiente e una buona dose di rabbia per il personaggio di turno diventato idolo.Come ti permetti, in questo ambiente di rabbia, di essere così amato?Non vali un cavolo, pum pum.Sgrigna, che ha passeggiato per buona parte del campionato. non ha preso a momenti neanche un fischio, ma Bianchi è diventato il prevedibile capro espiatorioE intanto noi, stagione dopo stagione, andiamo sempre più giù.Addio Rolando, un abbraccio sincero.E credo che in questo abbraccio possano unirsi tutte le persone che ti hanno sinceramente voluto bene in questi anni.

 

Per quanto riguarda questa rubrica, abbiamo in sospeso la parte finale di “Bella Sarai” il nostro viaggio negli anni Settanta, ma credo che dalla prossima settimana pubblicherò alcuni dei racconti che sono stati scritti in questi anni, dedicandomi anima e corpo al completamento del mio libro, che da troppo tempo aspetta. Salvo novità particolarmente importanti, naturalmente.Un abbraccio a tutti voi. Nessuno escluso.

Mauro Saglietti