Ciao amici, in ISTANTENEE ESTATE - scritte da voi trova meritato spazio anche un racconto di Francesco Cuzzi, che ci parla di quei giorni del '76 e... arrivate fino in fondo. Capirete. Un abbraccio a tutti. Ciao, Mauro
mondo granata
Fede Granata
Fede Granata di FRANCESCO CUZZI
25/05/1976Adesso che il Torino ha vinto lo Scudetto, l’esserne tifoso può sembrare un vanto scontato. Ma non lo è per tutti quelli come noi che l’abbiamo seguito con inalterata fede nel lungo e gramo periodo seguente alla tragedia di Superga, anche nel campionato 1959 – 60 quando eravamo in serie B.Fu l’entusiasmo dei tifosi che riempivano domenicalmente la vecchia fossa dei leoni di via Filadelfia, più numerosi di quelli di molte squadre di serie A, a riportare il Torino nella massima divisione.
Gli scudetti in serie della juventus non bastavano per riuscire a strappare una buona parte di folla da quel campo. Esso, assieme alla Basilica di Superga, era ed è rimasto il simbolo del mitico grande Torino.La Torino operaia e piemontese era ed è rimasta quasi tutta lì.
Ventisette anni di amarezze avrebbero fiaccato la pazienza di chiunque, ma non del tifoso del Torino. Esso non è lo juventino che va allo stadio uscendo da un aristocratico salotto, o appena immigrato. E’ il cultore di una fede ragionata, un innamorato irriducibile.Quali origini e quali motivazioni ha questa fede?
Anzitutto è una vecchia tradizione popolare innata da decenni nei rioni popolari di Torino, restii al sapore troppo borghese dei colori bianconeri. Poi c’è stata la leggenda del Grande Torino, rimasto nel cuore non solo per le sue imprese sportive, , ma quale emblema; emblema dell’Italia che almeno sportivamente risorgeva dalla miseria della guerra; poi, dopo la funesta sera del 4 maggio 1949, ancora attaccamento quale reazione disperata al destino crudele; e l’attesa per un nuovo scudetto, protrattasi oltre ogni limite, non ha fatto che cementare maggiormente l’attaccamento alla squadra.
E così che alla vigilia di uno scudetto quasi certo, ma sottolineo il quasi, nei rioni popolari di Torino si respirava un’aria di attesa spasmodica, di frenesia indicibile, di tensione quasi angosciosa.E’ cosi che prima lo stadio e poi la città alla sera sono esplosi.Ma non era un carnevale di Rio, né una Fuorigrotta, ma qualcosa che, pur in un clima festoso, non era ciecamente vulcanico. Era una gioia sviluppata su radici profonde, fatte dei motivi che ho detto e che solo la lunga attesa ha fatto esplodere.
Guarda caso lo stesso scudetto è giunto all’ultima giornata, tanto meritatamente quanto faticosamente, tanto bramato quanto sofferto e incerto sino all’ultimo.Il 16 maggio 1976 passa alla storia del calcio come un simbolo; ogni casa della periferia di Torino ha almeno una bandiera granata, la folla che dilaga in corteo per la città, i balli al vecchio campo di via Filadelfia, la gente festante ed addobbata che sbuca da ogni via anche su jeep e camion stracolmi, quasi un secondo 25 aprile 1945.Un tripudio indescrivibile, eppure l’aspetto più significativo di questo scudetto non l’ho colto per le strade esultanti della città il 16 maggio, l’ho colto il giorno dopo, sui tornanti del colle di Superga, con l’euforia un po’ contenuta, ma la fede più viva che mai. Cinquantamila persone o forse più, salivano illuminate da torce alla Basilica, molte in contrasto con la loro età o prestanza fisica. Richiami religiosi non avrebbero ottenuto tanto, la fede granata sì.La felicità era tanta che la fatica al confronto era nulla, il minimo dovere da compiere per ripagare lo scudetto, per rendere omaggio ai leggendari caduti di Superga e per molti anche per rispettare un voto fatto chissà quanti anni prima.
Alle undici di sera la gente sale ancora, una fiumana interminabile, oserei dire quasi biblica.Sul volto dei padri che portano sulle spalle i figlioletti, sul volto dei vecchi, sul volto delle donne, qualcuno potrebbe impersonificare il fanatismo, ma l’osservatore più attento no.C’è una fede che entro certi limiti può essere tale anche se circoscritta dal solo fattore sportivo. Quando la passione sportiva è genuina e non porta a deplorevoli azioni, quando il calcio è una sana e tradizione popolare svicolata da torbide granata, quando in esso si riconosce un sano simbolo, quando la tua vita e quella di una città specchiano in esso uno dei loro aspetti e tu vi ritrovi una parte di te stesso, perché mai si dovrebbe scavare per trovare elementi di biasimo?Anzi, è proprio sulla strada di Superga che, in una stupenda serata di primavera, in un corteo di luci che dominavano quelle lontane della città, ho ritrovato nel calcio l’aspetto che dovrebbe essere fondamentale: quello umano, fatto di gente semplice che sentiva di avere vinto lei uno scudetto, trascinando con la propria fede alla vittoria una squadra tra l’altro costruita più con sana politica che con mecenatismo.
E’ l’aspetto umano di questo Torino, la squadra più amata di una città che è nel suo cuore nettamente granata.L’ho notato ancor di più quando, su un camion che saliva a Superga, ho visto in piedi, mescolati ai capi della tifoseria, alcuni dei primi protagonisti di questo scudetto: i giocatori, proprio loro, commossi ed entusiasti. Finalmente niente divismo ma solo umana passione.
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L'autore di questo toccante e sincero momento di vita granata, non è più con noi. Ci ha lasciati in giovane età, venti anni fa esatti.
Era uno scrittore che sapeva toccare l'anima, i suoi racconti sono pieni di sentimenti genuini, non solo quelli che hanno il Toro come protagonista.
Francesco non ha avuto il tempo di vedere pubblicati i suoi lavori, queste pagine mi sono state inviate dal figlio Marco.
Sono fiero di poter pubblicare questi passi. Alle volte un desiderio non ha tempo e spero serva ad aprire un sorriso granata lassù, dove qualcuno ci ama davvero. Mauro Saglietti
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