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Fuerza Aerea Uruguaya

Fuerza Aerea Uruguaya - immagine 1
di Mauro Saglietti
Redazione Toro News

Da tempo ho in mente di raccontarvi una storia vera.Non c’è un pallone che rotola.Non c’è la Curva Maratona.Non c’è Rosina, non c’è Cairo.E soprattutto non ci sono motivi per scannarci.Un’inezia: c’è tanto Toro.Interessa ancora?

 

A dire la verità un pallone c’è. Ma non è sferico, è ovale. Quello che viene usato per giocare a rugby.La nostra storia ha inizio in Sud America, più precisamente in Uruguay.E’ l’ottobre del 1972.

 

Carrasco è un quartiere prestigioso di Montevideo.Lì ha sede l’istituto privato “Stella Maris”, di ispirazione cattolica, una sorta di campus.La squadra di rugby dell’istituto è quella dei “Vecchi Cristiani” ed il trifoglio sulle maglie ricorda le origini irlandesi dei fondatori della scuola.I suoi componenti sono tutti studenti, e provengono da famiglie benestanti della zona.

 

Questa è una storia di amici.Fa uno strano effetto rivedere le loro foto sgranate, scattate poco prima di una partita, oppure all’aeroporto di Mendoza, dove il loro aereo avrebbe fatto uno scalo non programmato, in occasione del loro viaggio verso il Cile.Ad esempio ci sono Fernando Parrado e Panchito Abal.Un ragazzone goffo e impacciato con le ragazze il primo, di successo e disinvolto il secondo, 22 e 21 anni.Più in là c’è Roberto Canessa, un giovane studente di Medicina dal profilo aguzzo, c’è Gustavo Zerbino, anche lui studente nei corsi di medicina, c’è Vizintin, un ragazzo ben piantato, c’è il baffuto Numa Turcatti.Quello che sembra un po’ remissivo, dalla folta chioma, è Bobby François. Quello più magro invece si chiama Roy Harley. Ci sono i cugini Eduardo e Fito Strauch, ci sono Daniel Fernández, Pancho Delgado, Alvaro Mangino e molti altri.E poi c’è Marcelo Perez.Marcelo è il loro capitano.Tutti si fermano ad ascoltarlo, quando parla e rispettano la sua autorità.Il viaggio in Cile è un premio per quegli amici, che ancora non sanno quanto lo possano essere veramente.Giocheranno a Santiago contro gli Old Boys.Un’occasione di vita per quei ragazzi, la cui età media è di poco superiore ai vent’anni.

 

L’aereo che li attende sulla pista dell’aeroporto di Carrasco quella mattina di ottobre è un Fokker “Fairchild” F-571 è un aereo bimotore turboelica, con le ali posizionate sopra la fusoliera.Non è un aereo enorme, ma neppure piccolo come un velivolo da turismo.Può contenere fino a 52 persone e può volare fino a poco meno di settemila metri.E’ un aereo bicolore bianco-grigio, acquistato due anni prima dall’aviazione uruguayana.Sulle due fiancate campeggia, in grandi caratteri neri, la scritta FUERZA AEREA URUGUAYA.

 

Il dodici ottobre del 1972, alle ore 8:05 il Fairchild si solleva in volo con 45 persone a bordo, ai comandi del tenente colonnello Julio César Ferradás e del co-pilota Tenente Colonnello Dante Hector Lagurara.C’è una chitarra, c’è qualche genitore e qualche amico.C’è molta gioia, c’è l’attesa febbrile che precede un lieto evento.Via, in volo verso la vita.

 

Il viaggio da Montevideo a Santiago è calcolato in quattro ore, linea retta verso Ovest.Il Fairchild non può volare direttamente sopra la Cordillera delle Ande, in quanto la sua quota di crociera è di poco superiore a quella delle montagne più alte.Inoltre la catena montuosa si presenta in pessime condizioni atmosferiche, ed il Comandante Ferradás, benché abbia sorvolato le Ande per ventinove volte, non se la sente di rischiare.L‘aereo quindi fa scalo a Mendoza in Argentina, dove i passeggeri trascorreranno la giornata e pernotteranno, in attesa che il tempo migliori.

 

Il Fairchild riparte da Mendoza alle 14.12 del giorno 13 ottobre.Le condizioni meteo sono migliori, ma parte della Cordillera è ancora invasa dalle nubi.Per superare le Ande, è necessario attraversarle in un punto che permetta il passaggio del Fairchild, precisamente il passo del Planchòn.Da Mendoza quindi i due piloti si dirigeranno a Sud, verso Malargue, quindi vireranno a Ovest e supereranno la catena nei pressi di questo passo. Una volta giunti a Curicò, in territorio cileno, il Fairchild farà rotta a Nord, per la discesa su Santiago.Sembra ordinaria amministrazione.

 

Nell’aereo c’è chi scherza, c’è ci canta, c’è chi scatta foto.C’è un pallone da rugby che vola lungo la fusoliera.L’atmosfera è quella di una gita scolastica.Fernando “Nando” Parrado ha portato con sé la mamma e la sorella Susaňa, dai capelli lisci e dai dolci lineamenti. Sono sedute nella stessa coppia di sedili, mentre Nando e seduto al fianco del suo amico, Panchito Abal, col quale si scambia quasi inavvertitamente di posto.

 

Alle 15.21 Lagurara comunica alla Torre di Santiago di essere sopra il passo del Planchòn. Stima che occorreranno altri dodici minuti per arrivare a Curicò.Alle 15.24, lo stesso co-pilota avvisa Santiago di aver già raggiunto la cittadina cilena e di essere pronto a scendere verso la Capitale.Nessuno si accorge della stranezza e viene dato l’ok.Il Fairchild vira verso nord e si getta tra le nubi.

 

L’aereo scendendo si ritrova tra le nuvole.Viene sballottato da improvvise e impreviste turbolenze.Perde quota bruscamente per centinaia di metri.Qualcosa non va.Non va per nulla.I sorrisi muoiono sulle labbra dei passeggeri, ora c’è solo tensione.Poi l’aereo, scendendo, esce dalle nubi.Qualcuno vede dai finestrini la terra lì, a pochi metri.No, non è la terra… E’ la montagna.Le ali sono a pochi metri da montagne altissime.E’ troppo tardi.

 

Nessuno parla più all’interno della fusoliera. Molti pregano, altri si stringono le mani.I motori vanno al massimo, nel disperato tentativo dei due piloti di uscire dalla conca nella quale sono finiti.Il rombo è disperato, il muso dell’aereo si solleva.Ma è davvero troppo tardi.L’ala destra tocca contro la montagna.Il metallo si strappa con un colpo che non lascia scampo.In una frazione di secondo l’ala si ripiega sulla coda, strappandola via dalla fusoliera.Con essa volano via alcuni passeggeri e lo steward di bordo.In un infinitesimo attimo di terrore che sa di ghiaccio, l’elica del motore si abbatte contro il lato destro della fusoliera, squarciandola e ferendo chi si trova seduto su quel lato.L’aereo va giù, abbassa il muso.Una frazione di secondo più tardi, anche l’altra ala sbatte contro la roccia e si separa dal velivolo.La fusoliera è un moncone sfrangiato che plana giù per l’altro versante della montagna, dopo aver sbattuto violentemente sulla superficie innevata.La fusoliera scivola.Chi è ancora cosciente e vivo, tra spruzzi di neve e aria gelida, attende l’urto finale.Una roccia, o forse un precipizio.La neve fa da attrito, la decelerazione è brusca tremenda.Il muso della fusoliera si infila nella neve, si deforma, il metallo si contorce.I sedili si inclinano, i corpi sono compressi.Poi, l’aereo, improvvisamente, si schiaccia contro un muro di neve al termine del pendio.I sedili si staccano definitivamente, i passeggeri volano via, o vengono schiacciati gli uni sugli altri, feriti dalle lamiere che si contorcono, intrappolati contro i sedili da una forza immensa che li spinge contro la parete del vano bagagli anteriore, abbattendolo, nonostante l’aereo sia ormai fermo.Poi tutto quello che rimane è silenzio e gelo.Sono le 15:30 del 13 ottobre 1972.

 

L’aereo della squadra dei Vecchi Cristiani è precipitato nel cuore delle Ande, nei pressi del vulcano Tinguiririca, ad un’altezza di oltre 3600 metri.La fusoliera è schiacciata nella parte anteriore, inclinata di 20° gradi e sfilacciata lungo la sua lunghezza.“Siamo sopra Curicò ” ha comunicato Lagurara alle 15.24.In realtà l’aereo non è mai arrivato sulla cittadina cilena.Un errore di calcolo dei piloti ha fatto sì che essi virassero a Nord e cominciassero la discesa quando erano ancora nel pieno delle Ande.

 

Forse il forte vento contrario in direzione Est ha ingannato, Lagurara facendogli credere che la velocità di crociera del Fairchild fosse maggiore, forse è stato il fatto che sotto l’aereo ci fossero le nubi, e non fossero disponibili riferimenti visivi. O forse ancora è stato un guasto alla strumentazione VOR.Alle 15.21, quando Lagurara comunica di essere sopra il passo, il Fairchild in realtà è ancora molto più indietro.Alle 15.24, quando avviene la comunicazione riguardante Curicò, l’aereo è appena sopra il passo del Planchòn.Un errore fatale.L’allarme scatta quasi subito.I soccorritori intuiscono l’errore dei piloti.Ma il moncone della fusoliera è un puntino bianco adagiato sopra la neve, lungo un declivio che sembra sterminato.

 

L’aereo è nella nebbia, tra fiocchi di gelo.C’è il risveglio, c’è lo shock. Ci sono i lamenti, ci sono i feriti.Dove siamo? Che è successo? Avete visto il mio amico? Parla! Perché non parli?C’è chi urla, che chi piange, c’è chi si lamenta, c’è chi ha lo sguardo sbarrato.C’è l’alta quota che fa perdere coscienza, c’è un freddo intenso, terribile che penetra nelle ossa.Quando qualcuno riprende lucidità, si rende conto che bisogna organizzarsi, aiutare i feriti.Fa un freddo terribile. In molti indossano le maglie pesanti delle tenute da rugby, sempre che non siano andate perdute tra i bagagli spersi per la montagna.Dodici persone sono morte nell’impatto o risucchiate fuori nel distacco della coda.C’è la mamma di Nando Parrado, c’è il suo miglior amico, Panchito Abal. Ci sono alcuni ragazzi della squadra che erano seduti in coda al Fairchild.Nando ha sbattuto violentemente la testa, viene creduto morto dai compagni.Sua sorella Susaňa invece è ferita molto gravemente.Si cerca di liberare la fusoliera dai sedili che si sono staccati, si cerca di stendere i feriti.C’è solo la neve gelida che possa recare sollievo a chi ha arti fratturati.Si immagina che da Santiago siano sicuramente già partiti i soccorsi, che però non potranno certo arrivare quel giorno, che volge già velocemente al termine.Si erge una fragile barriera contro il freddo con le valigie e ci si prepara, tra cure mediche improvvisate, a trascorrere la prima notte sulla montagna, i corpi stesi gli uni contro gli altri per trovare un poco di tepore.- Abbiamo superato Curicò… - si lamenta Lagurara dal suo posto di pilotaggio. E il solo pilota ancora in vita, ma ha la cloches dei comandi che gli sfonda la cassa toracica. I ragazzi non riescono ad estrarlo per alleviare le sue sofferenze.Chiede la pistola che è nella sua valigia. I giovani non la trovano. E anche se la trovassero non gliela darebbero. Morirà nel mezzodì del giorno dopo.In quella prima notte, altre quattro persone, ferite gravemente, lasceranno la loro vita sulla montagna.

 

Il giorno seguente appare chiaro che i soccorsi potrebbero impiegare giorni per arrivare.Si cerca di mettere in funzione la radio di bordo, che tuttavia non dà segnali.Il meccanico di bordo, sopravvissuto allo schianto, è in stato confusionale, ma riesce a rivelare che per far funzionare la radio occorrono le batterie, che davano energia a tutto l’aereo.Le batterie però sono nella sezione di coda, che è volata via nello schianto.

 

L’aereo si trova in una conca tra montagne altissime. Il riverbero del sole sulla neve rischia di bruciare gli occhi. Chi può si ripara con occhiali scuri. Il sole reca conforto di giorno, ma c’è il gelo che tormenta la notte, quando la temperatura scende a trenta gradi sotto lo zero.Occorre cercare di sopravvivere, in qualche modo.Per bere i sopravvissuti sciolgono la neve, mentre i pochi viveri (qualche tavoletta di cioccolato e una bottiglia di liquore) vengono razionati con cura dal capitano della squadra, Marcelo Perez. Si riesce a camminare nella neve senza affondare, appoggiandosi ai cuscini dei sedili, i cui rivestimenti offrono ai piedi una tenue protezione contro il gelo.

 

I ragazzi sanno che le operazioni di soccorso stanno avendo luogo, lo hanno sentito da una piccola radiolina a transistors che è il loro unico contatto col mondo.Nei primi giorni successivi allo schianto, vengono intravisti tre aerei volare sulla zona del disastro.Poi uno più vicino.I ragazzi si sbracciano, urlano, riflettono verso il sole le lastre di alluminio estratte dai sedili.L’aereo inclina le ali, come un segnale.Poi se ne va.I ragazzi sono convinti di essere stati individuati.Ci sono scene di gioia.Esauriscono i pochi viveri in quegli attimi, convinti che i soccorsi stiano ormai per arrivare.Ma l’aereo non li ha visti.Quei soccorsi non arriveranno mai.

 

In quei primi giorni, quattro ragazzi Carlitos Páez, Numa Turcatti, Roberto Canessa e Fito Strauch, abbozzano una prima spedizione esplorativa per risalire la montagna e tentare di guardare al di là delle montagne. E nello stesso tempo di cercare la coda dell’aereo, con le preziose batterie.Le distanze però sono ingannevoli e a quasi 4000 metri ogni passo è un macigno.Ritornano in breve all’aereo, distrutti.

 

Nando Parrado, dato per morto, riprende conoscenza un paio di giorni dopo l’incidente.Chiede della madre. Scopre la verità.Chiede della sorella Susaňa, gravemente ferita.La terrà vicino a sé per giorni, senza muoversi dalla fusoliera.Lei morirà lì, tra le sue braccia.E’ sabato 21 ottobre 1972, sono trascorsi otto giorni dallo schianto.

 

La sera seguente, Domenica 22 ottobre i superstiti sono all’interno della fusoliera.Sono deboli, stremati, denutriti, feriti.Non c’è più nulla da mangiare.La decisione, che molti di voi conosceranno, viene presa in quegli istanti.Canessa è il primo.Da quel momento in avanti, i ragazzi non hanno altra scelta, per sopravvivere, se non quella di cibarsi dei corpi dei loro compagni morti.Preso in un contesto isolato, potrebbe essere un elemento di orrore.Ma questa è una storia di amicizia, una delle più grandi che siano mai state scritte.Ed in questo contesto, quello che capitò, fu soltanto un elemento di amore.

 

Nessuno parla più sul declivio inondato di sole.Solo in pochi si abbandonano a scene di disperazione. Qualcuno piange di un pianto senza lacrime.La radio ha appena annunciato che i soccorsi sono stati interrotti. Si crede che nessuno possa sopravvivere per un tempo così lungo a quelle temperature.Nando Parrado è l’unico dei ragazzi a vedere in quella notizia sconfortante un risvolto di ottimismo.Nessuno li verrà a cercare.Quindi dovranno andarsene da soli. E questo, da lì in avanti, sarà il suo unico pensiero.E’ lunedì 23 ottobre 1972.

 

Lo stesso giorno una nuova spedizione, composta da Turcatti, Maspons e Zerbino si avventura su per la montagna. I tre decidono di trascorrere la notte all’addiaccio, avvolti in un sacco a pelo di fortuna. Trascorrono la nottata a percuotersi per far circolare il sangue. Il sole del mattino li trova a un passo dall’assideramento. Ritornano all’aereo senza forze.E senza notizie della coda dell’aereo.La montagna tiene tutti prigionieri.

 

Tutto sembra tranquillo nel Fairchild.I pensieri si concentrano, si accavallano nei minuti che precedono il sonno.Disperazione, speranza, angoscia e amore si mischiano, nel timido tepore dei corpi compressi gli uni contro gli altri per combattere il gelo.E’ un’altra notte sulla montagna.E’ il 29 ottobre 1972.

 

Dapprima è solo una vibrazione.In pochi la percepiscono, qualcuno dorme già.E’ una vibrazione ostile e aliena che si avvicina e sussurra parole di morte.E’ un lontano scossone che scivola come un serpente, insidiosa e sempre più veloce.La fusoliera è al buio, non ci sono luci.E il buio amplifica la paura dell’uomo contro la natura che gli si infrange contro, mentre la vibrazione diventa tuono.Qualcuno capisce, comprende.C’è solo il tempo di sollevarsi leggermente.Per qualcuno quella presa di coscienza sarà la salvezza.Poi la cosa che ha strisciato, violenta e infida, si abbatte sul muro di valigie e lo spazza via.E c’è solo più una cosa bianca e gelida, che ti avvolge e ti fa mancare l’aria.

 

Nella notte del 29 ottobre, una valanga si staccò dalla montagna che sovrastava la fusoliera.Era lo stesso pendio sul quale il Fairchild era planato poco più di due settimane prima.Il lato che la fusoliera prestò al muro di neve, fu proprio quello tronco e aperto, protetto soltanto dall’improvvisato muro di valigie.

 

Immaginiamo la fusoliera di un aereo. Leggermente inclinata su di un lato.Una distesa di neve che la penetra e la riempie in un istante, portando via quello che trova e inondando di sé ogni interstizio.E’ una cosa spaventosa solo a pensarla. Immaginiamo tutto questo nel buio.La testa è fuori per miracolo dalla neve, il respiro è affannoso.Quanto spazio rimane tra le neve e il tetto della fusoliera? 30? 40 centimetri?Via, le mani via per prima cosa. Le mani che liberano il resto del corpo.E poi i pensieri che ancora non si rendono conto di cosa sia successo, mentre tutto intorno è solo silenzio e qualche valigia sulla superficie.Un accendino, sì, quello nella tasca! Una debole luce.E qualche gemito lontano.Gli amici… gli amici sono lì sotto e stanno morendo!Allora imprechi contro un Dio che non conosci più e mulinelli le mani per liberare chi ancora è vivo, chi ha trattenuto il fiato, chi ha i polmoni che stanno esplodendo.Via, uno via l’altro… forza… qui c’era Nando… dov’è Roberto?Questa, ragazzi, è una storia di una lotta immane.E' la storia di uomini che, come compagna, hanno solo più la disperazione.

 

La valanga quella notte si porta via altre 8 persone.Nella disperazione, c’è un ultimo grande dolore che cala sui sopravvissuti tremanti.Marcelo Perez, il loro capitano, non c’è più.

 

Il mattino dopo imperversa il mal tempo.I 19 uomini restano bloccati nella loro casa, che è diventata una trappola, fino a mercoledì primo novembre, quando riescono, con strumenti improvvisati, a rimuovere la neve dall’interno della fusoliera e ad adagiare i corpi dei compagni morti all’esterno, insieme agli altri.Questa non è una fiaba, ragazzi.Non c’è pallone che rotola, lo abbiamo detto.Questa è una storia vera, di amicizia, di vita.Ma purtroppo, anche di morte.

 

Nando è stato uno degli ultimi ad essere estratto dalla neve, quando la valanga si è abbattuta.Ormai non ha altri pensieri che non siano quelli di andarsene da quel posto che gli sta portando via la vita. Saranno lui e Roberto Canessa a far parte della spedizione che, inevitabilmente cercherà di raggiungere il Cile. Sono in forma per quanto diverse settimane di stenti lo possano permettere.Ma sono determinati, molto determinati. Parrado in particolare preme perché si parta subito.Si cerca un terzo uomo per la spedizione, viene individuato in Vizintin.Canessa però vuole aspettare il disgelo per partire. Sa bene che trascorrere più notti all’addiaccio significherebbe morte certa.

I giorni scorrono e le persone continuano a morire sulla montagna. Il 15 novembre Arturo Nogueira, rimasto ferito alle gambe nello schianto, muore.Non c’è più tempo.

 

Il gruppo formato da Parrado, Canessa e Vizintin parte Venerdì 17 novembre in direzione Cile.Non lo troveranno.Troveranno la coda.

 

La loro felicità è enorme. Ritrovano vestiti, sigarette, poco cibo.E soprattutto le batterie.Trascorrono la notte nella coda, in spazi più ampi.Ma le batterie sono troppo pesanti da spostare.Ritornano all’aereo e scoprono che un altro ragazzo, Rafael Echevarren, se ne è andato.Tutti sanno che è un macabro balletto destinato a continuare, se non se ne andranno di lì. E’ domenica 19 novembre 1972.

 

Roy Harley è l’unico ad avere nozioni di elettronica.La loro salvezza passa dalla radio, un appello disperato molto più efficace che una spedizione verso il nulla.Se le batterie sono troppo pesanti per essere trasportate, allora non resta che smontare la radio e portarla su alla sezione di coda. La radio viene rimossa dalla consolle del Fairchild e l’operazione porta via tempo.Poi Harley, Parrado, Canessa e Vizintin si avviano su per la montagna, tra l’euforia dei superstiti, il 24 novembre.Portano con loro la radio.La speranza.Rimarranno nella sezione di coda per cinque giorni. Parrado e Vizintin andranno e torneranno alla fusoliera per recuperare altri viveri.Ma sarà tutto inutile.Loro non lo sanno, ma la radio non potrà mai funzionare.Le batterie forniscono corrente continua, la radio ha bisogno di corrente alternata, fornita appunto dagli alternatori dell’aereo.I quattro tornano sconfitti alla fusoliera e per Harley, molto debole, quel breve tragitto è un calvario.E’ mercoledì 29 novembre 1972.

 

Lo sconforto ha la meglio su tutto.Nando pressa Canessa da vicino.Bisogna andarsene o saranno presto troppo deboli anche solo per respirare.E’ la morte per stenti di Numa Turcatti a farli decidere.Sono rimasti in 16.L’ultima spedizione parte il 12 dicembre, quasi a due mesi dalla sciagura.I ragazzi si salutano con abbracci e con la tristezza negli occhi.Lassù. Hanno deciso di seguire l’istinto che dice che il Cile a Ovest.Valicheranno quella montagna altissima, che ora incombe su di loro a Nord-Ovest.Parrado, Vanessa e Vizintin portano con sé un sacco a pelo formato dai rivestimenti dei sedili e dalle maglie di gioco, legate insieme. Oltre alle razioni di cibo, ovviamente.La montagna sembra lì.Loro invece impiegano tre giorni invece per salire, dormendo in ripari di fortuna.Sono atleti, ma sono debilitati da due mesi di stenti.Ogni passo a quella quota è un macigno.Nel corso della lenta salita, la fusoliera del Fairchild diventa sempre più un puntino bianco indistinto.Come poteva essere individuata dagli aerei? Si chiedono i ragazzi.I compagni dal basso, invece, guardano quei puntini scuri perplessi. Come mai impiegano così tanto a salire?

 

Il valico della montagna è vicino.Le forze sembrano venire meno.E’ Parrado a raggiungerlo per primo.Canessa non sale subito.Non ha altri occhi che per una linea di terra che vede stagliarsi tra le montagne opposte rispetto alla loro posizione. Una strada… la salvezza potrebbe essere così vicina, e potrebbe essere dall’altra parte.Ad Est.Anziché Ovest.Canessa sale da Parrado.Quando spunta sul fazzoletto di terra a disposizione sulla cima, si inginocchia e sgrana gli occhi disperato.Dall’altra parte della Montagna ci sono altre cime altissime.Cime a perdita d’occhio.

 

Ancora una volta fu l’errore originale del pilota a confondere i ragazzi, che credettero alle ultime parole di Lagurara… “…abbiamo superato Curicò”.I sopravvissuti credevano di essere precipitati sugli ultimi contrafforti delle Ande in territorio cileno (in questo erroneamente fuorviati dall’altimetro guastatosi nell’urto, che segnalava 2300 metri, quando invece la fusoliera si era fermata a quota 3600), mentre invece erano ancora di gran lunga in territorio argentino.Canessa aveva ragione, a soli dieci chilometri ad Est dal punto dello schianto del Fairchild, si trovava un rifugio-albergo, chiuso nella stagione invernale, ma comunque accessibile e provvisto di viveri.La strada in realtà non esisteva, si suppone che Canessa avesse individuato un rilievo geologico su un versante della montagna.Il Cile è a Ovest aveva detto Parrado, l’unica loro certezza.Ma il Cile sembra così distante…

 

E’ il momento dell’uomo contro l’immensità.Solo montagne di fronte a loro, verso Est.Si torna a discutere di fronte a quell’infinito ghiacciato.Canessa vorrebbe tornare sui suoi passi e tentare la via della strada. Parrado non vuole sentire ragioni.Tra tutto l’arco di montagne che si sono parate di fronte a loro, una volta arrivati in cima a quella che hanno appena scalato, ne individuano due alla loro estrema sinistra, la cui sommità non è coperta di neve.Sembra una pazzia, una disperata pazzia.Se ci sono montagne non coperte di neve, allora quella potrebbe essere la strada che porta alla libertà.Sì, ma se si trattasse soltanto di una valle interna, senza sbocco? Come quella che si apriva oltre il pendio sul quale era precipitato il Fairchild?- Il Cile è a Ovest – ripete Nando. Il loro viaggio verso la vita durerà altri sette giorni.

 

Viene deciso che Vizintin torni alla fusoliera dell’aereo, il viaggio potrebbe durare ancora troppo e le provviste potrebbero non bastare.Il compagno consegna i suoi viveri. I tre si abbracciano come se sapessero che potrebbe essere l’ultima volta. Poi Vizintin torna giù per la montagna, lasciandosi scivolare sui cuscini dell’aereo.Impiegherà pochissimo a ritornare.Meno di un’ora.A lui toccherà spiegare ai superstiti le decisioni di Nando e Canessa.E soprattutto dir loro cosa c’è oltre le montagne.

 

La discesa per l’altro versante della montagna è spaventosa, è una cosa da pazzi.E’ una cosa dettata dalla disperazione che solo uomini che non hanno più nulla da perdere possono rischiare. O che hanno tutto da perdere.Eppure Nando e Roberto scendono. Si tengono tra loro con le cinture dei pantaloni usate come corde, scivolano sui cuscini come se fossero slitte, raggiungendo velocità che li atterriscono.Ma scendono.E’ sabato 16 dicembre 1972.

 

Il mondo continua a vivere e si prepara alle feste natalizie come se nulla fosse.Ormai in molti hanno dimenticato all’aereo scomparso come un fantasma tra le Ande oltre due mesi prima.In molti ma non tutti.I familiari non si sono mai rassegnati.Alcuni di loro si sono trasferiti in Cile, altri hanno tentato di fare pressione perché le ricerche non venissero interrotte.E’ stata persino contattata una sensitiva, che ha comunque affermato che l’aereo si trova altrove, non nella zona dei soccorsi.Nessuno sa dei due punti minuscoli immersi nella neve fino alle ginocchia che avanzano lentamente.

 

Un pezzetto di muschio che emerge dalla neve.Qualche austero filo d’Erba.Canessa li stacca e li mangia, prima di proseguire, mentre i giorni passano.Il ritorno alla civiltà di Parrado e Canessa è sfogliare le pagine di un libro che prende colore.Gli occhi bruciati dal riverbero intuiscono il lento dissolversi della neve e l’emergere delle rocce.La stessa emozione di un bambino che vede il mondo per la prima volta.I rivoli d’acqua che scorrono e si trasformano in ruscello che scende dalla montagna…E poi in torrente.

 

Nando vorrebbe mangiarsi la terra che scende giù dalla valle, tanta è la voglia di vedere oltre.Canessa però è stanco, prega che l’amico lo lasci lì dov’è.E’ stremato, ha i piedi che ormai non lo reggono più, preda di dolori e congelamento.Nando lo sprona, lo insulta alle volte, pur di farlo reagire.E ogni passo è essere più vicini a casa.Finché i due non si imbattono in una sorpresa.Una lattina arrugginita.Un fiume, animali.La salvezza non è lontana, la salvezza non può essere lontana!E’ martedì 19 dicembre 1972.

 

La corsa continua. Lo stomaco di Canessa è preda di crampi terribili, Nando porta anche il suo zaino. Sembra acquisire energia passo dopo passo.Il fiume, si allarga, si interseca con un altro. La valle scende, deve essere questione di poco ormai.Lì, dall’altra parte del fiume… un uomo a cavallo!E’ solo un attimo, il frastuono del fiume rende tutto irreale. E’ stato solo un miraggio o… no! Laggiù! L’uomo di prima con altri due, a cavallo!Nando e Canessa urlano disperati, gesticolano, ma non ottengono attenzione.Fino a quando gli uomini non si accorgono di loro.I due ragazzi si inginocchiano, pregano… ottengono una parola di risposta, l’unica che riescono a percepire in mezzo al rombo dell’acqua.Tomorrow.Domani.Poi i tre uomini si allontanano.La salvezza è domani.Sarà vero?E’ mercoledì 20 dicembre 1972.

 

Il mattino seguente i tre uomini sono di nuovo dall’altra parte del fiume.Nando e Canessa gridano di nuovo.Uno di loro scaglia verso di loro un sasso con un pezzo di carta avviluppato intorno.L’uomo dice che ha mandato un amico a risalire il fiume più giù, in modo da raggiungerli.Nando usa lo stesso foglio per scrivere. Utilizza il rossetto col quale si è protetto le labbra per due mesi.

 

Vengo da un aereo che si è schiantato tra le montagne. Sono uruguayano. Camminiamo da dieci giorni. Qui con me c’è un amico ferito. Nell’aeroplano ci sono ancora 14 persone che hanno bisogno di cure. Dobbiamo andarcene di qui velocemente e non sappiamo come. Non abbiamo cibo. Siamo deboli. Quando ci salverete? Per favore. Non possiamo camminare. Dove siamo? SOS.”

 

L’uomo fa segno di sì. Ha compreso. Lancia ai due uomini alcune pagnotte.Poche ore più tardi un altro uomo li raggiunge sulla riva giusta del fiume. Porta loro del cibo e ascolta la loro storia. Poi li conduce ad una capanna, dove trovano altro cibo.L’altro uomo, quello che ha raccolto il loro messaggio, si chiama Sergio Catalàn ed è andato a cercare soccorsi.Arriverà dopo poco, con alcuni componenti della Polizia locale.I due amici si abbracciano.E’ finita, sono salvi.Ma lassù sulla montagna ci sono ancora 14 persone da salvare.La notizia del salvataggio dei due ragazzi, fa il giro del mondo in poche ore.Va distante, torna indietro, portata dalle onde.E finalmente viene captata anche dall’antenna della radiolina a transistor dei ragazzi nella fusoliera.Si piange di gioia nel Fairchild.Ancora una notte ragazzi.Solo più una notte.E’ giovedì 21 dicembre 1972

 

Al mattino Parrado e Canessa trovano i giornalisti ad accoglierli. Gli elicotteri arrivano da Santiago nel mezzogiorno. Nando si offre personalmente di guidare i soccorritori nel luogo del disastro, mentre Canessa viene condotto in ospedale.Nel pomeriggio le montagne sono preda di forti correnti, il comandante in capo alla spedizione non riesce a capire come i due ragazzi siano potuti scendere da quella montagna così alta.Gli elicotteri sobbalzano, occorre tutta la maestria dei piloti perché valichino la montagna.Poi si affacciano sulla valle del Fairchild.I sopravvissuti escono dalla fusoliera e si abbracciano di gioia.Le loro foto faranno il giro del mondo.E’ davvero finita, ragazzi.E’ venerdì 22 dicembre 1972.

 

I sopravvissuti, tranne i più gravi, si raduneranno all’Hotel Sheraton di San Cristobal per festeggiare la Vigilia e il Natale.Vengono i momenti di gioia di chi aveva perso la speranza e ritrova un figlio che credeva morto.Vengono i momenti di dolore per chi ha sempre sperato, è stato illuso dalla notizia dl salvataggio, e invece riceve una notizia tragica e beffarda.Viene il momento di gioia e di disperazione per chi, come il padre di Nando, ritrova un figlio e nello stesso tempo sa di aver perso la moglie e una figlia.Verrà il momento in cui qualche voce ipocrita si levi a condanna di quello che i ragazzi hanno fatto sulla montagna per rimanere vivi.Ma sono voci che si levano sempre.Raramente c’è qualcuno che si risparmia il piacere di dire idiozie.

 

Questa era la storia di Nando e Roberto, che insegnarono al mondo quanto valesse la pena di rimanere aggrappati alla vita, anche solo con le unghie.E quanto fosse bello e disperato, sfidare il mondo arrampicandosi sulla punta di una montagna, per poi scoprire che oltre c’erano montagne ancora più alte da scalare.

 

Nando Parrado è stato ed è considerato, un eroe.Ma lui rifugge questa definizione.- Non voglio essere chiamato eroe. Io non volevo che mia madre e mia sorella morissero su quella montagna. Volevo solo andarmene via da lì e tornare da mio padre. Se questo significa essere eroi… bé, io non voglio essere chiamato così.

 

Due uomini sfidarono l’immensità per tornare alla vita e ridarla ai compagni che avevano lasciato sulla montagna.Come si fa semplicemente a non chinare la testa e a tacere, di fronte a una vicenda del genere?

 

Non c’è la palla che rotola, in questa vicenda.Non c’è il gol.Non c’è la Curva Maratona.Non c’è Rosina.Non c’è Cairo.E soprattutto non ci sono elementi per scannarsi o insultarsi, o sfogare le proprie frustrazioni, come sempre più tristemente avviene nei commenti carichi di odio che ultimamente compaiono in calce a molti articoli, commenti che appestano l’ambiente e fanno sinceramente venir voglia di veleggiare altrove.No, non c’è tutto questo.C’è qualcosa invece che si chiama voglia di vivere e amicizia, nonostante tutto.Due cose che ci sono state insegnate dal fatto di essere del Toro.Due cose nelle quali il Toro stesso forse si è ormai trasformato. Probabilmente senza che noi ce ne siamo neanche accorti.

 

Fernando Parrado è diventato un importante commentatore televisivo, ha rilasciato più volte testimonianze su quanto avvenuto in quei giorni drammatici e pochi anni fa ha scritto la sua testimonianza.Roberto Canessa è diventato uno stimato medico e ha anche concorso per l’elezione alla presidenza dell’Uruguay.Nonostante siano trascorsi molti anni, ormai, la storia del Miracolo di Natale e dei sopravvissuti delle Ande continua ad emozionare e commuovere persone in tutto il mondo.L’anno seguente a quello della tragedia venne pubblicato il famoso libro di Piers Paul Read, Tabù.Sono stati poi realizzati due film e alcuni documentari, il più famoso dei quali è sicuramente “Alive, sopravvissuti”, del 1992, dalla trama abbastanza fedele al libro di Read. Buon prodotto al quale si possono perdonare piccoli scivoloni Hollywoodiani, quali un Ethan Hawke con la barba sempre curata.Internet ha poi spalancato la porta alle testimonianze dei sopravvissuti, molte delle quali sono reperibili su YouTube. Mauro Saglietti

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