Gianfelice Facchetti è un attore, uno scrittore, un regista teatrale: un intellettuale a tutto tondo. Grande tifoso dell'Inter, sull'onda nerazzurra della leggenda dell'Inter del padre Giacinto, ma vuole anche molto bene al Toro, con cui ha sempre avuto un legame speciale. Nella sua vita sono stati tanti gli intrecci con il Torino: è cresciuto a Cassano d'Adda, il paese di Mazzola la cui squadra aveva la maglia granata, il suo padrino di battesimo è stato Giovanni Arpino e poi la visita al Museo del Grande Torino e della Leggenda Granata in occasione di una mostra sul suo papà. Toro News l'ha intervistato perché da poco è uscito un podcast, prodotto da Rai Play Sound, realizzato da lui e da Gipo Gurrado, sul Grande Torino. È un racconto sincero ed autentico in cinque episodi in cui narra, dalle voci di molti protagonisti, il significato di quella squadra di ieri, ma ancora viva oggi, anche nel mondo dei più giovani.
le voci
Gianfelice Facchetti a TN: “La storia del Torino è di legami forti, di sangue”
Buongiorno Gianfelice, il podcast sembra quasi fatto da un tifoso del Toro. "Innanzitutto, questo è un bel complimento, credo che non ci possa essere complimento migliore per una persona che prova a realizzare una cosa del genere. Devo dire che sono cresciuto, da tifoso dell'Inter come si sa, ma sempre con molto affetto e rispetto nei confronti del Toro. Faccio qualche riferimento autobiografico: sono cresciuto a Cassano d'Adda. Sono del '74, all'epoca dei miei primi calci c'era il Football Club Cassano, che adesso è stato sostituito dallo Sporting Club Valentino Mazzola, e la maglia era granata. Io giocavo in porta. La maglia del portiere era identica a quella del portiere del Toro. All'epoca Cassano era un paese con una colonia di tifosi granata abbastanza nutrita perché lo scudetto era stato vinto da poco e poi era il paese di Valentino. Poi, mio papà è cresciuto con quei miti lì: per un bimbo del '42, appassionato di calcio, il Grande Torino era la cosa più bella che potesse esserci. Quand'ero piccolino giocavamo insieme: io in porta e lui a calciare. Mi chiamava Bacigalupo. Per me c'era familiarità con il Toro. E nel tempo, crescendo, il Toro è ritornato: il mio padrino di battesimo è stato Giovanni Arpino, che ha scritto la poesia più bella sul Grande Torino. Nel 2004, poi, ho avuto la fortuna di recitare come Bacigalupo nella fiction Rai".
Traspare un garbo particolare, si nota uno studio profondo e un rispetto particolare per le persone intervistate e per il Torino. "Ho avuto sempre rispetto e affetto per il Toro: è impossibile non averne. Non si poteva non sentire e non essere fedeli a questi due sentimenti di fronte agli interlocutori. Parli di garbo e una cosa che ho evidenziato nel diario di bordo, che scrivevo man mano, erano le parole delle persone intervistate: come parlavano della loro fede calcistica per il Toro, anche la gentilezza d'animo con cui si rapportavano con noi. Avevo conosciuto Franco Ossola un anno e mezzo fa e quando lo chiamai per fissare l'intervista, lui mi salutò dicendo: "Ciao, una carezza". Da quanto tempo non mi capitava di sentire uno che mi salutava così? Siamo entrati, io e Gipo, in un mondo di nobiltà d'animo, di cose che sembrano desuete rispetto alla quotidianità. Il lavoro da fare era cercare di essere fedeli a questo e non tradirlo. Se ci siamo riusciti, siamo felicissimi".
Com'è nata l'idea del podcast? "Visto che il Grande Torino me lo sono sempre portato dietro, mi sarebbe piaciuto voler fare qualcosa di mio: su cosa ha rappresentato quella storia per me e cosa mi ha lasciato da italiano e da amante dello sport. Più di un anno e mezzo fa, avevo deciso di fare un podcast. Cominciai a cercare di raggiungere chi nella Rai si occupava dei podcast per sondare il terreno. Feci diverse proposte, ma il responsabile mi disse: "Quello sul Torino lo facciamo sicuro". Da lì, ad avere la commissione del lavoro, è passato del tempo. Però io mi ero convinto di voler fare questa cosa, o da solo o con la Rai, ma l'avrei fatta. L'anno scorso da solo andai a Superga il 4 maggio per la prima volta. Arrivai al mattino presto: volevo vedere la processione di gente e cosa rappresentasse questo 4 maggio. Ho registrato la lettura dei nomi di Buongiorno e mi sono detto che avremmo avuto la prima traccia. Poi, sono passati dei mesi e nel frattempo ho scritto un libro che si chiama "Capitani", che ho appena pubblicato. È la storia della fascia del capitano, attraverso le biografie dei capitani più importanti nella storia del calcio. E anche qui ho trovato una storia legata al Toro: la fascia del capitano compare fisicamente nella stagione dopo Superga e non è casuale. Intanto portavo avanti la mia ricerca sul Grande Torino, cominciai a comprare dei libri. Ho una libreria con molto nerazzurra, ma un ripiano sta diventando sempre più granata".
Come descriverebbe questi cinque episodi? "Ho iniziato a scegliere i temi, il filo rosso della narrazione e poi gli interlocutori. Abbiamo cercato di mettere nero su bianco questi cinque blocchi, con la consapevolezza che è una storia talmente ricca di tantissima umanità e valori, di risvolti sconosciuti, che non basta un podcast a contenerla. Però volevo dare un senso di compiutezza, sapendo che tanto si sarebbe potuto aggiungere. Abbiamo scelto di puntare sul Museo, un luogo che già avevo conosciuto, in occasione della mostra per mio papà. Ero rimasto folgorato da quello che c'era dentro, ma soprattutto dai tifosi che si sono fatti portatori della memoria e custodi dell'eredità. Il Filadelfia, come lo definisce Arpino, era il segreto sportivo di questa squadra. Da lì siamo andati a parlare del conte Marone di Cinzano e dell'avanguardia di questo stadio degli anni '20, che diventò inviolabile e custode delle vittorie. Abbiamo deciso di dedicare una parte dell'eredità al presente, di come oggi i tifosi vivono la squadra. Questi sono alcuni dei temi".
Una cosa che lega le storie è il legame di famiglia: i racconti di papà Giacinto, Susanna Egri e il suo papà, Motto e suo padre che si mette a produrre le maglie per il Torino e la Nazionale..."Ad un certo punto Carlo Rivetti, presidente del Modena, che è uno dei nipoti diretti del conte Enrico Marone di Cinzano dice: "La Storia del Torino è di sangue, di dolore". Parla del lutto del Grande Torino, di Gigi Meroni, di Giorgio Ferrini. Però, io credo che sia anche una storia di sangue, intesa come una storia di legami forti. Questa cosa la si può toccare con mano. Io ho intervistato Motto che racconta, con una lucidità disarmante per un uomo di quasi 94 anni, la sua esperienza come capitano di quella squadra per quattro partite, con un peso gigantesco e disumano. Smise, poi, di giocare a calcio molto presto perché aveva un'azienda da portare avanti, al tempo più importante che giocare a calcio. Rimase, comunque, legato al Toro come dirigente: è lui che andò a Trieste a prendere un giovane Giorgio Ferrini. Lo tenne controllato, lo fece lavorare al mattino in azienda e poi lo riportava a mangiare a casa. Sono storie con legami forti, di sangue, e ancora oggi Ferrini è il giocatore con più presenze nel Toro".
Forse il momento migliore del podcast è quando chiede a Motto se sognasse ancora gli Invincibili. "Si, commovente. All'ingresso di casa sua, c'è un tavolino con le foto della moglie, con cui ha condiviso la vita intera. Lui racconta del rapporto con questi ragazzi con cui era vicino: erano amici fondamentalmente. Mi è venuto inevitabile il tema del sogno, uno dei più vicini a noi umani. Ero curioso di sapere se una persona della sua età, che aveva vissuto quei momenti di storia, avesse un dialogo con quei campioni attraverso il sogno. E lui mi rispose: "Si, ma li sogno sempre male, con qualcosa fuori posto. Mi piacerebbe sognarli meglio". Dice una cosa così ed è stato molto molto toccante, un bellissimo momento".
Papà Giacinto c'è nei sogni? "Da giocatore no, da papà ogni tanto. Mi piacerebbe sognarlo più spesso perché quando succede è un attimo in cui si polverizza la distanza e il tempo. I sogni hanno un potere curativo incredibile. Io ho la fortuna che la sua memoria da parte dei tifosi è ancora molto viva. Mi capita tante volte nella quotidianità qualcuno che mi ferma per strada e mi dice qualcosa su di lui, condivide un pensiero o un'immagine. Me lo rendono presente, è una sorta di sogni ad occhi aperti. Sono passati vent'anni da quando è mancato e sentire che la gente gli vuole ancora bene e che lo ricorda, anche in questo mese dei festeggiamenti, è molto prezioso per me. È comunque un modo di sognare ad occhi aperti".
La presenza di un torinese granata, Buongiorno, che torna a leggere i nomi dei Campioni è stato per il popolo granata un grande momento di orgoglio. "Auguro ai tifosi del Toro che ci sia una base solida in cui trovare la propria identità. Buongiorno, per vissuto suo famigliare (ci ha raccontato di quando andava con la famiglia in gita a Superga) testimonia questo. In quel momento ha fatto rivivere quel legame con la storia. Spero ed auguro di veder rivivere quel tremendismo granata di cui abbiamo sentito tante volte parlare".
Quest'anno invece sono usciti dei commenti deludenti da parte dei giocatori sul pullman a Superga. "È stato un episodio sgradevole che non so come descrivere. Parla del vuoto storico affettivo in cui crescono i calciatori di oggi, sebbene non tutti. Non bisogna generalizzare. Non si può mescolare i fischi allo stadio del giorno precedente con la commemorazione più importante per una tifoseria, che abbraccia un pezzo di storia di Italia. C'è proprio un'ignoranza, che è storica, ma anche emotiva. Vuol dire non avere elementi di base per stare lì. Quando non si è all'altezza di fare certe cose, bisogna defilarsi. In un'epoca in cui si fanno le cose di facciata, il rischio dello scivolone è dietro l'angolo. Basti pensare a quel minuto di silenzio per Gigi Riva in Arabia. Non c'è la cura necessaria per affrontare la storia. Considero molto tutto ciò che è storico, che si parli di calcio o democrazia. Le commemorazioni non vanno fatte per dovere, piuttosto reputo che sia più saggio evitarle per tutelare chi non c'è più. O siamo all'altezza di quello che ci hanno lasciato o è meglio farsi da parte":
Una domanda sull'attualità: com'è andato il Toro quest'anno? "Il Toro ha un suo consolidamento in classifica. Sono anni che gode di una certa stabilità, che magari in altri tempi non c'era. Adesso, servirebbe qualche innesto per mettere una marcia in più. Se pensiamo che negli ultimi dieci anni il Sassuolo è arrivato in Europa League, che l'Atalanta vive l'Europa tutti gli anni e ha vinto un'Europa League, che il Bologna è arrivato in Champions... Penso che il Torino, per la propria storia, possa ambire a ritagliarsi uno spazio non da meno di questi club. Il blasone e il passato dicono che il Toro è il Toro. Se si è stati grandi, si è destinati a ritornarlo, di questo ne sono convinto. È un augurio che faccio. Non mi stupirei nel vedere il Toro nelle prime sei posizioni e fare uno scarto verso i piani alti. Quest'anno con un po' di fortuna in più e qualche gol in più avrebbe potuto farcela. La combinazione con la Fiorentina non ha portato bene, purtroppo. La storia non si ripete, ma ha un significato e non si può ingannare, quello che è stato tornerà. Io son convinto che il Toro tornerà grande".
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