Non avevo più pensato ai giorni di Gino il Maggiolino fino a quel pomeriggio di autunno, quando mi ritrovai a percorrere a piedi il vecchio ponte, che non avevo più frequentato da tempo.Fu lì che vidi qualcosa alla base della struttura, che attirò la mia attenzione, come una calamita.
mondo granata
Gino il Maggiolino
Corsi giù, fino allo sfasciacarrozze che si trovava sotto il ponteEro incredulo. L’intera carcassa era accartocciata su se stessa. Un qualcosa di terribile doveva aver sfondato la fiancata con potenza devastante. I vetri erano un ricordo in frantumi lasciato sui sedili divelti, I fanali orbite vuote, il motore uno spazio vuoto.La scritta “Jeans” era scomparsa da una delle fiancate, la ruggine aveva devastato i parafanghi.Fu proprio il cuor, che batteva all’impazzata, a dirmi che poteva essere… C’era un solo modo per saperlo!Introdussi la testa all’interno della carcassa. Mi ricordavo della vecchia ammaccatura sul vano portaoggetti, spalancato.- E’ ammaccato… - mormorai…
- E ammaccato – disse il Pirata- ma è l’unica parte di questa macchina che non va. Credetemi, è un vero g ioiellino. E poi con le ragazze farai un figurone - mi strizzò l’occhio.Era una balla. Già allora le ragazze guardavano ben altro, ma finsi di fare il pollo perché desideravo troppo quella macchina.Era il 1987, ero neopatentato e avevo molti amici strani, una ragazza nel cuore, benché lei non lo sapesse, e una nonna segaligna e pluriottantenne, perennemente armata di bastone, che mi adorava come un figlio e che quel giorno mi aveva accompagnato dal Pirata.Il Pirata era il ragazzo che avevamo di fronte, tatuaggi, capelli lunghi e bandana. Avevo intravisto il cartello “vendesi” transitando sul bus, pochi giorni prima. Una vecchia Volksvagen maggiolino gialla limone, modello Jeans, datata 1974. Per uno studente per il quale le lezioni di ripetizione erano l’unico introito, un qualunque carciofo di macchina sarebbe stato un miraggio. Ma un maggiolino, per giunta giallo, era stato il mio sogno sin da quando ero piccolino.
Non era stato facile convincere mia nonna.- Sai nonna? Ho visto una macchina che mi piace tanto… - Fatla caté da quaichedun aut che mi ‘t la catu nen!- Ma nonna…
- Daté da fé, alura. Quandi l’acqua a toca el daré, a s’ampara a noè.Mia nonna parlava per proverbi e il più delle volte era inamovibile.- Ma è una macchina piccola nonna, non una Mercedes…- Mi saj gnanca lon ca l’è ‘na Mercedes…- Insomma, non è una macchina grossa.- L’hai dite no! - E’ gialla!- Che schor!- Costa poco…- NO!- E’ vecchia…- Brau! Se a l’è veja alura a funsiuna nen.- Anche tu sei vecchia, però funzioni bene…- Ti preocupte nen. - Ma tutti i miei amici hanno una macchina…- Quandi el borgno a porta la bandiera, guai a chi ch’ai va darera!- Insomma, nonna! Potrei portare a spasso una ragazza che mi piace…- Ti?- Sì, mi! Se riesco ad uscirci te la faccio conoscere… insomma, se non hai una macchina con cui andare in giro, le ragazze ti lasciano e vanno con un altro…- Ti ‘t vole mac andè a ciulé.- Nonna! Insomma, è una ragazza carina.- Vaire ca custa?- Chi, la ragazza?- No, mia surela! La macchina, gadan! Fa nen el fol che ‘tlas capì fin trop bin.
Così, miracolosamente, ci eravamo recati dal Pirata, che aveva tentato di imbonire mia nonna, intuendone la capacità economica.- Allora, nonnina, come andiamo?- Dì, guarda ed fe nen tant el furb che mi ‘t cicu! - aveva risposto l’anziana donna brandendo il bastone - Chiel lì a l’è stait cagà dal diav quand ca l’avia mal’d pansa! – mi aveva sussurrato.Era stata l’anticamera di un duro mercanteggiare, nel quale io ero stato povero testimone. Il risultato di quella serena compravendita fu che il Pirata, terrorizzato, aveva acconsentito ad abbassare il prezzo dalle 500000 lire iniziali alle 150000 finali me felice come una pasqua.- E ades pja la macchina e port’me a ca!Era delizioso vedere in azione quella donna, credetemi.
Così divenni proprietario del maggiolino Giallo, col quale ebbi subito un rapporto molto speciale.In breve lo umanizzai fino a farlo diventare “Gino il Maggiolino”.Il Pirata era stato un furbacchione, Gino era veramente mal ridotto. Ero costretto a portarlo dal meccanico tre giorni la settimana su sette, con gran sbraitare di mia nonna che alla fine era costretta a mercanteggiare, bastone alla mano, come sempre.Gino era diventato la mia vita.Al mattino mi svegliavo col terrore che fosse stato rubato nottetempo, talvolta mi catapultavo giù dal letto a ore impensabili e sbirciavo dai vetri per vedere se il mio amico ci fosse ancora.In breve io e Gino diventammo inseparabili e, dapprima quasi di sfuggita, e poi sempre più frequentemente, cominciai ad accorgermi che c’era qualcosa di strano in quella macchinaAll’inizio era una sgasata senza che io avessi premuto l’acceleratore, poi poteva essere il clacson che suonava da solo, poi la radio che cambiava stazione da sola.Ebbi come l’impressione che Gino il maggiolino fosse “abitato” da qualche intelligenza briccona e che fosse stato risvegliato dalle mie amorevoli cure, ma sapevo che queste potevano essere suggestioni derivate dai film di Walt Disney e le letture Kingiane.Una notte però, prima di coricarmi, lo scorsi dalla finestra, parcheggiato sotto casa e mormorai, quasi per un riflesso:- Buonanotte, Gino.- Honk Honk - rispose.
Allora. Io capisco che una Volkswagen dotata di anima propria non sia il massimo dell’originalità, ma questo fu esattamente quanto successe.Riuscii a percepire che Gino capiva la mia voce e forse persino i miei desideri.Ne ebbi la riprova una domenica, nella quale mi trovai a transitare casualmente nei pressi dello stadio Comunale, quando poteva ancora essere definito stadio.Quel giorno vidi esseri informi e bizzarri che uscivano dai cancelli.Erano gobbi, mandrie di gobbi.La juventus aveva perso in casa e la mandria sembrava decisamente di cattivo umore.Ci arrestammo all’incrocio tra Via Filadelfia e Corso Agnelli, mentre la mandria stava attraversando..- Guarda che gentaglia – dissi a bassa voce - meglio che leviamo le tende… Po-ti Po-ti!Raggelai. Era il clacson di Gino.Po-ti Po-ti Po-ti Po-ti Po-ti Po-ti po’!La mandria si fermò nel mezzo della strada, indispettita dal clacson festante.- Gino! Sei matto? Per la miseria, che stai combinando? Questi ci massacrano, per la mise…Po-ti Po-ti Po-ti Po-ti Po-ti Po-ti Po-ti Po-ti po’!!!Il branco assunse l’assetto di guerra e si preparò all’attacco.- Gunga Gunga! Min-ghia-gggiuve–fac-ci-un-goals-zzzzioffffa!- Unga Tunga! Min-ghia-gggiuve –fac-ci-un-goals-zzzzioffffa!Misi la prima e sollevai la frizione, per tentare un’improbabile fuga, ma Gino non si mosse.- Gino! Ginooooo! Ginooooo!Mi vidi spacciato. I gunga-gunga-zzzio-fa si scagliarono verso di noi, e fu solo allora che la macchina sgasò sgommando e si infilò, impennando leggermente, tra la marmaglia gobba, inondandola di fumo e olio, scomparendo lungo il corso ad una velocità che credevo inaudita per quella macchina.- Minghia... ggjuve… goals... coff…- udii le urla di rabbia della mandria in lontananza, poi forse svenni.Quando ripresi conoscenza, ero ancora a bordo di Gino, tranquillamente posteggiato sotto casa.
Non tardai a capire che in Gino si nascondeva la personalità di un bambino giocoso e dispettoso.Il mio amico tra l’altro, come scoprii quasi per caso, era ghiotto di zucchero.Una zolletta nel serbatoio e Gino si sarebbe preso una bella sbornia tale da farlo dormire per ore!Quando telefonai al Pirata per avere spiegazioni, ebbi come sonora risposta una grassa risata. Quella macchina, mi disse, gli aveva procurato una montagna di guai, e la sua vendita era stata una benedizione.Non dissi a nessuno di quella macchina.Ne parlai solo con Clea.Quando fui in grado di uscirci.
Clea, il nome di uno shampoo.Aveva un anno più di me, era banalmente stupenda ed era una ex compagna di scuola, che ora frequentava l’università. Per anni l’avevo ammirata silente (io, non lei) nei corridoi della scuola, con espressioni da ebete paralizzato. Non avevo possibilità alcuna, benché due mesi prima prima fossi riuscito finalmente a conoscerla in seguito ad un provvidenziale guasto del pullman sul quale ci trovavamo entrambi.Una volta in possesso di Gino, ottenni un appuntamento serale che aveva del miracoloso.Mi preparai con cura maniacale e feci un bel discorsetto al mio amico.- Ti prego, Gino: ha detto che le piacciono i ragazzi che sanno stare al loro posto, le persone romantiche che non vanno subito al sodo…, non i cafoni rumorosi e gli zozzoni… ti prego, non farmi fare figuracce, ok? Cerchiamo di comportarci con classe…- Honk! - mi assicurò lui.
L’appuntamento era sotto casa sua, lei si fece trovare già in strada.Accostai delicatamente, ma in quel momento mi resi conto che i comandi non rispondevano.- Hey, Gino… Gino!!!La Volkswagen accelerò e poi sterzò bruscamente, suonando il clacson all’impazzata. Le ruote fischiarono per la sgommata protratta e si misero a fumare, mentre Gino girava su se stesso in mezzo alla strada.- Ginooo… Ginoooo! - urlavo, ma nessuno poteva fermare quella macchina indemoniata.Quando Clea salì, tra fumo e puzzo di gomma bruciata, centinaia di persone erano affacciate ai balconi e lei aveva una faccia omicida.- Dove mi porti? - Mi chiese gelida.- Da Maxim – dissi gongolando. Era il ristorante più caro della città. Avevo prenotato, friggendo letteralmente anni di ripetizioni di inglese, per fare colpo su di lei.- Stai facendo un giro lungo per andare da Maxim… - disse Clea dopo qualche minuto di gelo al confronto del quale la Groenlandia era il Sahara.- Eh sì… volevo farti provare la macchina…Finsi sicurezza, ma sudavo freddo. Da qualche minuto Gino il Maggiolino non rispondeva più ai comandi. Ci stava portando dove voleva lui e la colina si avvicinava inesorabile.Mi arrabattai sui comandi fingendo di assecondarlo, tentando disperatamente di cambiare direzione.- Disgraziato… non mi giocare scherzi. Torna indietro! dobbiamo andare da Maxim, disgraziatooo! – bofonchiai tra i denti.Gino, mascalzone imperterrito, fece quello che temevo. Salì fino a Superga, poi imboccò la Strada Panoramica, negli anni ottanta e novanta noto luogo di rifugio per coppiette ciuloire sprovviste di casa libera.- Voglio sapere dove mi stai portando! – Clea furente, cercò di gettarsi sul volante per invertire la rotta e solo allora si rese conto che il volante andava per i fatti suoi.- Ahhhh! Questa macchina è stregata! – gridò.Gino affrontò le curve in derapata, con potenza devastante, incurante delle urla mie e di Clea. Poi inchiodò e si infilò in una piazzola isolata.- Voglio scendere! Subito! Adesso! Ora! – gridò la mia amica, ma la porta dal suo lato rifiutò di aprirsi.Cercai di placarla. Le spiegai quello che non avevo detto a nessuno. Le parlai di Gino, della sua sensibilità. - Bene! Perché allora ci ha portati qui, se è cosi sensibile? – disse.- Giusto, Gino – chiesi – cosa dobbiamo fare?Fu un attimo. Il sedile di Clea si reclinò con un botto (e con relativo urlo della ragazza), da sotto il mio avvertii una spinta laterale, che mi fece planare proprio addosso a lei, e come se non bastasse la Volkswagen si mise a saltellare su e giù sulle sospensioni. - Sei un porcooooo! – ricordo solo le grida di Clea ed io che tentavo di difendermi dai suoi ceffoni.
Dopo quello scherzetto, involontario, Clea non mi volle più vedere per due settimane. Poi, come per miracolo, acconsentii di nuovo a incontrarmi.Feci un altro bel discorso a Gino, il Maggiolino birichino, quando uscimmo, quella sera.Quando Gino la macchina imboccò la Panoramica, a tarda ora, Clea mi chiese se fosse nuovamente lui ad aver scelto la direzione.- No – risposi – questa volta sono io.
Il proprietario dello sfasciacarrozze non credette ai propri occhi e pensò a uno scherzo.Non era possibile che qualcuno fosse interessato a quell’ammasso di ferraglia, che arrugginiva da anni nel suo cortile.Conclusi in fretta la trattativa e feci trainare la Volkswagen nell’officina di un amico.Tenni nascosto l’affare a mia moglie e, quasi giornalmente mi recai a trovare il mio amico. Ripensai a quei giorni e mi chiesi tante cose. Il libretto di circolazione diceva che io ero stato l’ultimo proprietario.Ma allora… cos’era successo?
Vi ho parlato di Clea, ma non dei miei due amici, che parteciparono agli avvenimenti incredibili di quei giorni.Flipper (così soprannominato per le palle perennemente in giostra) era una di quelle persone baciate da sfortuna conclamata.Eravamo stati compagni di scuola e sapevo bene che quello che toccava, da oro si trasformava in sostanza organica. La giornata di sole con lui diventava di pioggia, la facile partita del Toro si trasformava in un rovescio inaspettato, la giornata serena, diventava irta di contrattempi.- S’ai dan aj brut, chiel aj ciapa subit! – diceva mia nonna di lui, riferendosi al suo aspetto buffo e disarmonico.Il problema più grande di Flipper però non era la sfiga. Era la madre.Con il padre rockstar sempre in giro per il mondo, la madre esercitava sul figlio un’influenza da arpia. Era ossessionata dalla possibilità che Flipper incontrasse una ragazzina che lo portasse lontano dal suo controllo e soprattutto dalla sua occupazione principe: lo studio!- Io conosco quelle sgualdrine che ti vogliono portare via! Ma tu resterai qui a studiare Latino! E dovrai rientrare massimo alle 11:30. Mi hai capito? E poi studierai Italiano!Poco importava che il Liceo fosse terminato da tempo. Flipper, che da poco frequentava segretamente una ragazzina diciottenne che aveva subito preso in uggia la possibile suocera, era costretto a sottostare alle angherie più nere e alle punizioni corporali da parte della donna, proporzionate ai minuti di ritardo al momento di rincasare.Flipper e la madre-mostro comunque, erano carichi di soldi.La specialità della madre era accudire qualche lontano parente in fin di vita, per poter poi figurare tra i possibili papabili ad ereditare l’alloggio del malcapitato e così facendo avevano accumulato una piccola fortuna.
Andrea invece non aveva problemi di madri, ed era uno dei miei amici più cari.Il suo problema era l’inattendibilità e la sregolatezza Poniamo il caso avesse un appuntamento con noi alle 19.Usciva di casa alle 18:55. Si dirigeva alla macchina, ma Fufi, il cane molosso che aveva in giardino, lo trascinava a fare una passeggiata. Rientrava in casa e si beccava una padellata dalla madre, alla quale aveva promesso, dimenticandosene, di accompagnarla ad un ipermercato. Si cambiava, riusciva e si beccava un’altra padellata. Avviava la macchina. Si rendeva conto di essere a secco. Si fermava al distributore. Si accorgeva di essere senza soldi. Rimontava in macchina e si recava al bancomat. Prelevava. Si recava al distributore. Una volta arrivato lì, si accorgeva di avere dimenticato la macchina al bancomat. Ritornava al bancomat. Esauriva la benzina per strada. Tornava al distributore e inseriva i soldi, ma si rendeva conto di non avere un contenitore per la benzina. Si versava 10000 lire di carburante sulle mani messe a coppa e correva verso la macchina. Per aprire il tappo versava il poco carburante rimasto tra le mani. Tornava al distributore di nuovo senza soldi. Ricorreva al bancomat. Riprelevava ma il bancomat gli mangiava la tessera.Correva a casa. Si dimenticava dalla madre e si beccava un’altra padellata. Si rimedicava, ricambiava, prendeva i soldi, un’altra padellata in fronte e usciva, ma veniva di nuovo intercettato da Fufi, che lo riportava in giro.Alla fine, quando tornava alla macchina, si accorgeva di aver posteggiato sui binari del treno e che un Intercity se l’era portata via.
Questo era il nostro universo.Andammo avanti così per anni. Flipper con la sua amichetta nascosta e con le frustate materne, Andrea in loop a rincorrere se stesso, io Clea e Gino il Maggiolino e il nostro segreto.Spesso allo stadio insieme.Eravamo giovani e felici, fu uno dei momenti più felici della mia vita.
- Non posso uscire con te… Sto per sposarmi.- Eh? - Sì, mi sposo domenica.- Ma che c… dici? Hai bevuto?Clea si decise a spiattellarmi la verità, nuda e cruda, una domenica pomeriggio della primavera 1982, a bordo di Gino.- Io ti amo… ma…La verità era peggiore di quanto temessi.Il padre, proprietario di una piccola officina, era diventato preda degli usurai. Per risolvere la questione, il poveruomo si era rivolto nientemeno che al temutissimo boss della zona, il famigerato Don Gobbuto, la cui parola preferita era “Bastaddi!”.Costui aveva tirato fuori l’uomo dai debiti, ma in cambio aveva preteso la mano della bella figliola.Non si poteva dire di No a Don Gobbuto, che, aiutato dai luogotenenti Don Gobbinchia e Don Gobberda, era a capo di una delle famiglie mafiose più potenti di Torino.Di Don Gobbuto si diceva che avesse la faccia di imbuto.Di Don Gobbinchia si diceva che avesse la faccia di un altro tipo.E di Don Gobberda di un altro tipo ancora.Era già tutto stabilito, il matrimonio si sarebbe tenuto nel Duomo, alla presenza delle Autorità più alte. Potenza della Mafia.Io caddi prima dal pero, e poi nella disperazione più nera.La maledissi, col cuore infranto e giurai che non l’avrei rivista mai più.
Il giorno del matrimonio decisi di partire per un viaggio fuori città, con Andrea e FlipperNon mi sarei più fatto trovare, non ci sarei più stato per lei.Flipper mise a disposizione una delle numerose case arraffate dalla madre Arpia. Andrea disse che avrebbe portato una bottiglia di Brandy di Andorra, nel quale ci saremmo affogati di fronte al lago.Dovevamo partire alle 7:00. Lui arrivò alle 11:00, dopo essere partito, aver dimenticato i soldi a casa, essere rimasto senza benzina, essere tornato indietro per aver dimenticato la bottiglia a casa, aver dovuto portar fuori il cane, essere ripartito senza bottiglia, essersi ricordato di aver dimenticato il portafoglio al self-service, aver inseguito la sua macchina, lasciata in discesa senza freno a mano.Alle 11:00 dunque arrivò la sua macchina, con lui dietro a inseguirla. Ovviamente senza bottiglia.Lo insultammo a sangue, balzammo su Gino (sperando che la presenza nefasta di Flipper non provocasse guasti e disastri) e partimmo verso il lago.Partimmo un corno.Gino sgommò rabbioso e prese la strada del centro, mettendosi anche su due ruote.I miei amici urlavano e mi imploravano di frenare, ma io non potevo fare nulla, nulla!Gino era scatenato, evitammo tram, pedoni, ciclisti e un vigile, che provò a pararsi di fronte a noi, dovette cercare rifugio su un lampione. Gino raggiunse la sua destinazione, dove si arrestò, continuando a rombare.Avevo temuto. Avevo temuto che ci saremmo fermati lì.
- Gino, ascoltami, ti prego, che cosa vuoi fare? Andiamocene da qui, è pericoloso…Il mio amico non ascoltava, Rombava rabbioso, come un animale che sta per gettarsi sulla propria preda. Le portiere erano bloccate e i miei due amici, che non sapevano nulla della macchina e della sua magia, erano terrorizzati.Il Duomo era circondato da Buick nere degli anni 30, a fianco di inquietanti personaggi vestiti di nero, con garofani all’occhiello e cappelli a tesa larga. Al matrimonio erano stati invitati anche i Clan delle famigghie amiche, quelle di Don juventuzzo (metà gobbo e metà truzzo) e di Don Coniglione (che in parte era coniglio e in parte...).La cerimonia doveva essere arrivata già al momento topico.- Santo cielo, Gino! Andiamocene di qui…La radio però si accese da sola e dagli altoparlanti fuoriuscirono note familiari:
Hello darkness my old friend,I've come to talk with you againBecause a vision softly creeping left its seeds while I was sleeping And the vision that was planted in my brainstill remains, within the sounds of silence…
Erano Simon & Garfunkel.- Oh no…! – mormorai terrorizzato – Oh no! Tu vuoi rifare la scena del Laureato!!! Oddio, Gino... Ti prego…!La Volkswagen scattò in avanti, facendoci capitombolare sui sedili.Aggirò con uno scatto le Buick posteggiate di fronte alla chiesa, prendendo di sorpresa gli sgherri di guardia e si gettò, di lato sulla lunga scalinata.Gino s’inerpicò sugli scalini rimbalzando sugli scalini, continuando a salire verso la sommità della chiesa, mentre noi, all’interno, rotolavamo disperati, tra un boing e l’altro, supplicando la vettura affinché si fermasse.La vettura giunse quasi in cima. Vedemmo il terrore negli occhi di Don Gobberda e Don Gobbinchia, di guardia all’ingresso principale, che invece di sparare, si scansarono.Gino il Maggiolino entrò rombando in chiesa.
- Don Gobbuto! - disse il sacerdote - Vuoi tu prendere come tua legittima sposa la qui presente Clea…Nell’aria si levò un rumore estraneo alla quiete di un luogo sacro.- Bastaddi… disse Don Gobbuto.- Bastaddi? – domandò il sacerdoteTutti si girarono verso il rumore incomprensibile. Si udirono delle urla.- Insomma! Chi è che fa questo fumo? – sbraitò il Sacerdote.Gino aveva percorso la navata laterale destra a tutta velocità, terrorizzando i convenuti mafiosi, giunto all’angolo, sgommò e si gettò lateralmente di fronte all’altare.Don Gobbuto e i testimoni, terrorizzati si lanciarono ai lati.Gino rallentò di fronte a Clea, abbassò il muso e la fece sedere sul cofano. Poi ripartì.- Bastaddi! – gridò Don Gobbuto.Gino sgommò ancora e si gettò nella navata sinistra, verso l’uscita, inseguita da Don Gobbuto, dai mafiosi e persino dai chierichetti.- Pagheremo tutto, padre! – gridai dal finestrino in quella scena surreale, con Clea, in abito bianco svolazzante, terrorizzata sul cofano, Andrea e Flipper svenuti all’interno ed il sottoscritto che pregava che la morte fosse celere.Usciti fuori, Gino si avviò giù dalla scalinata ballonzolando, con Clea che prendeva delle sederate mostruose sulla lamiera.Don Gobberda, Don Gobbinchia e gli altri sicari erano però schierati e cominciarono a fare fuoco.Gino però era una macchina magica, credo lo abbiate capito e forse quello che accadde fu merito suo.- Fate fuoco! Morire devono!Dai mitra delle varie famigghie, anziché proiettili, uscirono come per magia mele pere, banane, prugne, kiwi, fragole e ciliegie e carote (quante carote!)Gino fuggi via, mentre dietro di lui caddero le prime gocce di un temporale, che avrebbe trasformato il piazzale del Duomo in una enorme macedonia.Un vigile tentò di fermare Gino, mentre scappavamo, lungo via XX settembre, con strascico svolazzante, ma lui, con un altro colpo di genio, fece ruotare la propria targa.Conoscevo le altre targhe segrete, in stile inglese, di Gino. C’erano JV-M-RD, GN-M-RD e BLGN-C1, ma quella volta comparve la scritta NA, seguita da cifre a caso.Il vigile disse - Ah! Allora in questo caso fate pure…Ci allontanammo sgommando con Gino che faceva Honk Honk felice, mentre alzava il cofano posteriore, dal quale erano fuoriusciti alcuni barattoli legati con lo spago e la scritta JUST MARRIED.- Bastaddi! – disse Don Gobbuto dalla soglia del Duomo.
Ci rifugiammo nel garage a casa di Andrea, protetti dal Cane Fufi.Alla fine fui costretto rivelare la verità anche a Flipper ed Andrea, che peraltro avevano già ampiamente intuito.Dove saremmo potuti scappare? In lontananza udivamo il rumore delle Buick che ci cercavano e sicuramente avremmo potuto tornare a casa solo col favore delle tenebre.- Perché non andiamo ad Amsterdam? – disse Andrea.Nessuno ci aveva pensato. Il Toro avrebbe giocato la finale di ritorno della Coppa UEFA, pochi giorni più tardi ed Amsterdam avrebbe potuto rappresentare l’occasione giusta per acquattarsi un pochino.- E come ci andiamo? In aereo? – domandò Flipper.- HONK! – rispose Gino agitandosi sulle sospensioni.A parte il fatto che nessuno di noi avrebbe preso volentieri un aereo con Flipper, la risposta apparve chiara a tutti.Ci mettemmo d’accordo entusiasti, saremmo partiti l’indomani a bordo di Gino.Ma…C’era un MA grande come una casa da superare...
- Signora… - Andrea ed io scuotemmo la testa, sul pianerottolo di fronte alla porta di casa di Flipper. La madre ci guardava severa e sospettosa.- Dov’è mio figlio?! Cosa avete in quella scatola?- Signora… - continuammo a scuotere la testa guardando verso il basso, con le mani dietro la schiena.- Ma insomma, cosa c’è? Dov’è mio figlio? E’ ancora con quella sgualdr…- No… signora… no….- E allora dov’è? – la donna prese ad allarmarsi.- Noi gliel’avevamo detto, signora… - dissi.- Noi gliel’avevamo detto di stare distante da quel passaggio a livello… - rincarò la dose Andrea.- Oddio…! Mio figlio…!- Non abbiamo potuto far niente signora….- ODDIO! – Si mise ad urlare l’invasata – Mio figlio! Sta male?!!! E’ FERITO???? - Ma no, signora… - dicemmo in gospel sorridendo, come se avesse sparato una castroneria. - Ah… - la donna parve alleviata dallo spavento.- Signora, suo figlio non è ferito... – dissi.- E’ morto! – aggiunse Andrea.La donna ebbe un singulto e spalancò gli occhi. Ma prima che potesse piombare a terra, giocammo l’asso finale.- Però guardi, signora! – indicai la scatola che Andrea teneva in mano.- Siamo riusciti a recuperare questo… la testa! – Andrea sollevò la testa ricciuta e sanguinolenta per i capelli.- AAAAAAAAAAAAAAAAGGGGGGGGGGHHHHHHHH….
Il tonfo dell’arpia fu avvertito in tutto l’isolato.- Presto! – dissi ad Andrea, scendendo le scale di corsa – Flipper aveva ragione, non avrebbe resistito. Abbiamo poco tempo prima che rinvenga e si accorga che è tutta una balla. Mezz’ora forse.- Oh cavoli!!! Ho dimenticato la testa di cera sul pianerottolo…. – Andrea si fermò battendosi una mano in fronte.- Non importa! – dissi continuando a correre – Dobbiamo sbrigarci. Vi aspetto all’imbocco dell’autostrada. Sarò lì con Clea e Gino. Muovetevi!Sapevo che Flipper stava attendendo in zona di sicurezza, a casa di Andrea, a Settimo Torinese, lontano da quelle che avrebbero potuto essere le grinfie della madre. Andrea avrebbe dovuto soltanto raggiungerlo, caricare lui e… e raggiungerci Già. Facile a dirsi.
Andrea si mise a correre in direzione di casa, fatto qualche chilometro, però, si accorse che stava correndo a piedi e aveva lasciato la macchina sotto casa della madre di Flipper. Tornò indietro, sudato e accaldato, recuperò la macchina, ma a metà strada rimase senza benzina. Andò allora al distributore e si accorse di essere senza soldi, corse al bancomat, prese i soldi e tornò al distributore. Mise i soldi nell’impianto ma si accorse di non avere un contenitore per la benzina. Corse alla macchina, recuperò un secchiello, tornò al distributore ma si accorse di non avere più soldi, ricorse al bancomat, riprelevò, tornò al distributore ma si accorse di avere dimenticato il secchiello al bancomat.Quando, mezz’ora dopo, giunse alla vettura, quest’ultima non c’era più. Andrea l’aveva posteggiata in discesa ed era già quasi arrivata a Settimo da sola Quel ritardo fu fatale.
La scena mi fu raccontata, ma non ho motivo di dubitare che sia capitata veramente.Flipper attendeva il ritorno di Andrea, nella sua casa, e non trovò niente di meglio che ingannare il tempo facendo una scappatina in bagno. Mentre era comodamente seduto sulla proverbiale tazza, udì un colpo secco. Non ebbe neanche il tempo di accorgersene, che la parete prospiciente franò, spinta dalla pala di acciaio di una ruspa.- Disgraziatoooo! - gridò la madre di Flipper, alla guida della ruspa. La pala meccanica penetrò all’interno della costruzione e asportò il pavimento proprio sotto la tazza, sulla quale era rimasto seduto il povero Flipper.- Aiutoooo! Urlava il ragazzo, ancora tristemente con le braghe calate, mentre la madre indirizzava la ruspa, col braccio alzato e col figlio sulla tazza, in direzione di casa, e la gente scappava urlando da quella scena apocalittica.- Devi studiare Latinoooooo! Ti porto via io da quelle donnacce!Un sobbalzo della strada, però, fece traballare la pala meccanica. La tazza si inclinò, poi precipitò giù dalla benna, rimbalzando più volte sul manto stradale, andando a finire proprio sul cofano della macchina di Andrea, che stava sopraggiungendo- Cosa combini lì sopra? - disse quest’ultimo inviperito - Mi hai ammaccato tutta la macchina!- Non c’è tempo, dobbiamo scappare… - la madre stava tornando alla carica con la ruspa.- Togliti da quella tazza, allora, esibizionista coprofago!- Non posso! Mi sono incastrato… scappiamo!- Mamma mia, che schifo… - disse Andrea – La casa distrutta, la macchina bombata e pure questo qui seduto sulla tazza di fronte al parabrezza…
- Attento, Andrea – A sinistra! Ora a destra! Attento al pullman! Oh misericordia!- Non vedo! Ti dico che non vedo! Ci sei tu davanti!La macchina di Andrea procedeva a zig-zag, seminando terrore e distruzione, nella sua fuga verso l’imbocco dell’autostrada, con Flipper sempre saldamente incastrato sulla tazza, a sua volta incastrata sul cofano.- Più a destra… attento! C’è un pulmino di suore! Diamine, le hai mandate fuori strada… Attento… a destra… a destra!!!- Cos’è stato questo colpo?- Un vigile, Andrea, ora non c’è più, poverino. In compenso c’è il pulmino di suore che ci sta inseguendo. Attento Andrea, non di qui… questo è l’autolavaggio… l’autolavaggioooo…!!! SPLUT… dannazione!- Tutto bene?- No, sono tutto insaponato! Ora a sinistra… misericordia, Andrea, c’è la processione! Frena, per la miseria. Frena! La processione!!!Andrea udì delle urla dalla sua postazione.- Tutto bene?- No Andrea, ora oltre al pulmino di suore c’è anche il vigile a piedi e la gente della processione che ci insegue…- Hey! Ma qualcuno sta sparando! Questi sono colpi di mitra…- Si mette male, Andrea. Ci siamo dimenticati di Don Gobbuto… è pieno di Buick nere che ci inseguono…- Bastaddi! – Gridò Don Gobbuto dal finestrino di una delle Buick.- Poveri noi, siamo fregati! – esclamò Andrea, continuando a guidare alla cieca.- A sinistra, Andrea. Ora a destra! Oh Signore, il semaforo! Non di lì, quello è il fiume! Accelera che ci stanno raggiungendo!- Ti risulta che Don Gobbuto sia anche alla guida di un Junkers Stuka della Seconda Guerra Mondiale? – Andrea fissava lo specchietto retrovisore con ansia.- No… perché?- Temo di sapere chi è lì sopra.
La madre di Flipper spinse in avanti la leva della picchiata. Una volta perso il contatto con il figlio degenere e fuggitivo, si era recata in un vicino aeroporto ed aveva noleggiato il noto bombardiere tedesco. Che nessuno provasse a torcere un capello al suo adorato figliolo. Solo lei doveva incaricarsi della inesorabile e tremenda punizione per aver messo in scena la propria morte.La donna partì in picchiata e sganciò una bomba su una delle Buick di Don Gobbuto!- Ci bombaddano! – disse Don Gobberda- Bastaddi! – mormorò Don Gobbuto.In breve, la zona che conduceva all’autostrada diventò un macello. Il conflitto si estese inesorabile. Processioni allo sbando, vigili sanguinari incazzati, mafiosi che sparavano contro aerei tedeschi della Seconda Guerra Mondiale, suore assatanate barricate in trincea col coltello tra i denti, bombe che esplodevano. Alla fine un’esplosione poco distante, fece saltare via la tazza del Water, con Flipper incastrato sopra e lo fece terminare a bordo strada, mentre Andrea, rimasto senza benzina, correva di corsa ad un bancomat per poter prelevare, entrando così nei suoi proverbiali loop.Flipper venne prelevato da un camion della spazzatura e portato alla discarica delle basse di Stura. La madre lo recuperò in serata e lo portò finalmente a casa per punirlo.
Intravedemmo fumo ed esplosioni in lontananza e capimmo che i nostri amici non ce l’avevano fatta. Un po’ mi fa tenerezza quel ragazzo – disse Clea, riferendosi a Flipper.Prima o poi troverà la forza di separarsi dalla madre arpia – osservai – Con tutti i soldi e le proprietà che ha intestate, ce la farà sicuramente. Gli manca solo qualcuno che gli dia la spinta.Misi in moto e Gino imboccò l’autostrada a tutta birra.Amsterdaaaam, Amsterdaaam… - cantavamo felici - ce ne andiamo, ce ne andiamo, ce ne andiamo ce ne andiamo ad Amsterdaaaam.Io, Gino e Clea ad Amsterdam. Furono i giorni più belli della mia vita.L’inquadratura della nostra storia si fermò, mentre Gino scompariva in lontananza.
Forse fu perché le storie belle non durano in eterno.Forse per dare un senso a quello che era stato.Qualche mese dopo persi Gino.E’ una storia che non vorrei raccontarvi.Una mattina di inverno mi svegliai e scesi per andare a fare qualche compera di Natale, ma Gino non era più al suo posto.Era sparito, senza una sola traccia. Sporsi denuncia, sparsi dello zucchero in giro per la città, sperando di vederlo rispuntare, ma non lo vidi mai più. Vagai per giorni, per settimane forse, sempre più disperato.Sì, perché nel frattempo avevo perso anche Clea.
Capitò tre giorni dopo Gino. Fu un altro fulmine a ciel sereno, anche se un sesto senso mi avvertiva che qualcosa non quadrava. Si mascherò dietro frasi fatte e luoghi comuni ed io non provai nemmeno a trattenerla. Credo che sotto sotto provasse una sorta di sollievo nel sapere che Gino non era più in circolazione, ma non approfondii mai questo fatto.Feci finta di nulla, ma in realtà sotto sotto patii enormemente e in silenzio.Mia nonna, che lo sapeva, cercava di rassicurarmi con i suoi proverbi:- Mej ‘mpicà che mal marià – mi diceva e io sorridevo alle sue massime.Per lungo tempo furono il mio unico conforto. Poi anche lei, un giorno di primavera se ne volò lontano. Lasciò il suo bastone nodoso accanto al letto, non ne avrebbe avuto bisogno, lassù dove era diretta. Per molti anni ricordai i suoi saggi proverbi, e a dire la verità, ogni tanto mi sembra ancora di sentire la sua voce che mi consiglia e che mi guida..Non rividi mai più Clea, né la cercai mai. Poco alla volta persi i contatti anche con Flipper. A quanto venni a sapere scappò via dalla madre, che non perse mai la speranza di ritrovarlo e di punirlo.Ma queste sono storie di seconda mano. Più avanti negli anni incontrai una ragazza che è poi diventata mia moglie. Abbiamo avuto due bambini ed io ho inventato per loro una storia fantastica e incredibile che si intitola “Gino il Maggiolino”, modificando ovviamente il finale.In quanto a Don Gobbuto, venne arrestato con tutta la famiglia pochi mesi dopo gli eventi narrati.Come spesso avviene in Italia, ora è un personaggio idolatrato, temuto e riverito. Ha partecipato a un reality, fa l’opinionista in tv ed ha scritto un libro.Dal titolo “Bastaddi”.Rimasi in contatto con Andrea e alle volte ci piace ancora incontrarci e ricordare i vecchi tempi di fronte a una bella birra.Quando non si dimentica di venire agli appuntamenti, ovvio.Non pensai più a Gino e a quei giorni.Fino a quando, un po’ di tempo fa, non mi trovai, come vi ho detto, a sporgermi alla balaustra di un ponte, guardando lo sfasciacarrozze alla sua base.
Quando i lavori di restauro su Gino furono completati, ero emozionato come un bimbo la notte di Natale. Era nuovo, perfetto. Mi era costato un patrimonio, ma non potevano esserci soldi meglio spesi. Non gli avevo fatto mancare nulla, ora Gino era dotato anche di navigatore satellitare e telefono con connessione Blue Tooth.Mi sedetti al volante col cuore in gola. Quanti anni erano passati.Girai la chiavetta e misi in moto con cautela. Il rumore era il suo. Mi avviai lentamente fuori dall’officina Mi sembrò che gli anni non fossero mai trascorsi, e la macchina si riempì di ombre. Mi parve che Clea fosse ancora seduta al mio fianco e attesi che Gino prendesse il controllo di se stesse.Ma non lo fece.Nonostante mi aspettassi una brutta sterzata o una sgommata improvvisa, Gino non ritornò quello che era stato. Lo portai in pista, in collina, in montagna, ma non ci fu niente da fare. Quello che doveva essergli successo e che lo aveva ridotto in quello stato, doveva avere anche ucciso la sua piccola anima.Un giorno, quando ormai dentro di me si era fatta larga la rassegnazione, mi trovai a transitare di fronte allo stadio Olimpico, una volta Comunale, una volta Stadio.Destino volle che proprio quel giorno, una mandria di tifosi bianconeri incarogniti, stesse uscendo dalla partita, dopo una sonora sconfitta interna. Io e Gino eravamo fermi allo stesso semaforo dove oltre venti anni prima avevamo vissuto una scena simile.Non feci in tempo a pensare.- Honk! -fece la macchina all’indirizzo della mandria che stava attraversando la strada.- Gino! - mormorai a metà tra il felice e il terrorizzato.- Honk Honk! Po-ti-po-ti-po-ti-po-ti-po’!- Unga Tunga! Unga Tunga! Min-ghia gggjuve… fac-ci un goals! - fece la mandria invelenita.Non ci fu più tempo per nulla. Gino scattò in avanti come ai bei tempi e inondò di fumo e olio i malcapitati.- Unga Tunga! Minghia… gjuve… goals…Saltavo e ridevo come un bambino, mentre correvamo lungo Corso Sebastopoli.- Sei tornato, amico mio! Sei tornato! - quasi mi sembrò di vedere me stesso ringiovanito di 20 anni nello specchietto retrovisore.
Fu così che ritrovai Gino il Maggiolino.Trascorremmo il tempo libero insieme e io impiegai giorni per raccontargli della mia famiglia e di tutto quanto avessi combinato in quel tempo.In fondo al cuore però rimaneva sempre un’ombra di tristezza perché su quel sedile vuoto, un tempo c’era stata Clea e tutto attorno gli altri amici.Un sabato mattina però, Gino invece di svoltare a destra, andò dalla parte opposta.Non mi opposi. Sapevo che tra me e lui c’erano delle storie non dette e mi lasciai guidare. Quello era il suo modo di parlare e credo che il mistero sul suo passato fosse vicino alla soluzione.Uscimmo dalla città, entrammo in campagna, viaggiammo per più di un’ora.Poi Gino si fermò all’esterno di una villetta malandata. Tutto era disordine nel giardino, una grondaia pendeva dal detto, le erbacce avevano invaso buona parte dello spazio.Sul retro, della proprietà, giaceva un trattore ormai in disuso. Gino ebbe un rombo di rabbia e la verità, triste e amara, cominciò a farsi largo in me.- E’ stato quello? Ti hanno lanciato quel trattore addosso? Ti hanno addormentato con lo zucchero… ti hanno portato via da me… e poi ti hanno ridotto a una carcassa con quel trattore… vero?- Honk!!! - suonò Gino.Il clacson della macchina richiamò gli occupanti della casa. La porta si aprì, ma sapevo già tristemente quello che avrei visto.Alzai gli occhi e non feci caso allo strano strano rumore di ferraglia che si avvicinava minaccioso.Lei aveva i capelli ingrigiti innanzi tempo, lo sguardo incattivito e gli angoli della bocca ripiegati in una smorfia. Lui aveva perso tutti i capelli, e le cose non gli erano certo andate bene.Impallidirono quando videro Gino con me all’interno. Credo che capissero che era suonata l’ora della vendetta. Non la mia, quella di Gino.Clea, Clea, tutti i soldi che aveva spillato da parenti e conoscenti, non ti hanno regalato la sicurezza che volevi, ma ti hanno portato la sua sfortuna anonima.Mia nonna diceva sempre che A chi nas sfortunà, a piev ‘n sel darè anche se sun setà. - A chi nasce sfortunato, piove sul sedere anche se è seduto. Aveva ragione.Rimasi a guardarli. Clea e l’uomo con cui mi aveva tradito.Flipper.Un po’ mi fa tenerezza quel ragazzoNon potevano farcela da soli. Sapevano che Gino non avrebbe mai permesso una cosa simile.Per questo tentarono di eliminarlo.Non c’era tempo per le amarezze. Il rumore di ferraglia si abbatté improvviso. Clea e Flipper se ne accorsero soltanto alla fine.
La pala meccanica scese sul tetto della casa, squarciandolo. Poi si alzò e mise al tappeto un muro.- Disgraziatooooo! Devi studiare Latinooooo! - gridò la vecchia donna alla guida della ruspa, mentre tutto diventava polvere.Riuscii ad intravedere soltanto due figure senza più dimora che scappavano in direzioni separate per i campi, mentre la furia omicida della donna devastava quello che era stato il loro nascondiglio sfortunato.- Sei stato tu ad avvisarla, vero? - Col Blue Tooh… - chiesi incredulo a Gino - Ci ha seguito fino a qui…- Poti-no… Poti-sì! - disse vergognosamente il mio piccolo amico.Misi la retromarcia e ce ne andammo.
Passarono un paio di anni ed il mio amico divenne mio compagno inseparabile.Spesso partivamo per andare a scorazzare insieme sulle montagne, oppure scivolavamo sull’autostrada del mare, lasciando a casa mia moglie, che era venuta a sapere di quella macchina, da lei frettolosamente catalogata come “hobby mangiasoldi”.Trascorremmo giornate meravigliose, ricordando i tempi andati senza mai parlarci, o attendendo che l’ultimo raggio di sole si spegnesse nel mare di fronte a noi.Un giorno però, mi accorsi che il mio amico era stanco.Forse lo avevo sempre saputo e avevo fatto finta di non vedere.La sua ripresa era lenta, il suono del suo clacson gracile, la luce dei suoi fanali un po’ debole.Lui non si sarebbe mai ribellato, ma sapevo che il mio vecchio amico era triste.In fondo lo sapevo, certi maggiolini non sono fatti per stare al chiuso di un garage, o per fare il giro dell’isolato e hanno bisogno di respirare lo stesso spirito di avventura per il quale erano stati creati.Soffrii molto per la decisione che stavo per prendere, ma mi resi conto che era l’unica possibile perché non fosse lui a soffrire.Così, un sabato mattina, salii a bordo, uscimmo dal garage e gli dissi:- Andiamo dove sai, amico mio…- Honk? – fu la sua incerta risposta- Hai capito… - gli dissi - Non aver paura, andiamo lì…Partì e ci allontanammo dalla città.Avevo sentito dire che nel mondo c’è un posto nel mondo dove vanno tutti i maggiolini, quando hanno terminato il loro compito con i loro amici sulle strade normali.Anche se credevo fosse solo una leggenda, si diceva fosse un posto bellissimo, dove i maggiolini potevano scorazzare e giocare con gli altri maggiolini in libertà, ricongiungendosi con i maggiolini dai quali discendono.Mi lasciai guidare da lui, viaggiammo per giorni, attraversando paesi e foreste, finché giungemmo a una enorme radura illuminata dal sole, nel quale si apriva l’ingresso di un Ranch.All’interno della proprietà si intravedevano tanti maggiolini colorati, che rombavano, si rincorrevano e giocavano felici.Scesi per l’ultima volta dalla mia macchina adorata e vidi che un fattore, con un ampio cappello di paglia mi venne incontro sorridente e mi tese la mano.Non c’era bisogno di parlare, sapeva bene come mi sentivo.Poco di fianco a lui si avvicinò una vecchia Volkswagen maggiolino di colore blu, del 1961.- Honk! – fece debolmente- Honk Honk! – rispose Gino festante.- E’ la tua mamma, quella? – gli chiesi dolcemente – Vai, su. Ti sta aspettando.Gino fece un paio di metri, poi si fermò.- Hooonk… Poti… – disse tristemente.- Non aver paura per me. Tornerò spesso qui a trovarti… - accarezzai la sua carrozzeria un'ultima volta e gli dissi - Vai ora…Lo vidi andare via saltellando sfumacchiante e contento con la sua mamma, lungo i prati di quella radura che sembrava infinita.Piangevo come un bambino quando me ne andai quel giorno, separandomi dal mio caro amico.Alle volte dobbiamo essere fieri di avere conosciuto i nostri piccoli amici, anche se non possono continuare il nostro viaggio nella nostra stessa corsia dell’autostrada della vita.E forse, quel senso di amarezza che si trova alla fine della viaggio, è la cosa che riempie di significato e bellezza la strada che hai percorso.Spesso mi sono ripromesso di andarlo a trovare, di passare un po’ di tempo con lui e prima o poi lo farò, con i miei bambini.Ma alle volte mi piace anche soltanto pensarlo lassù, che scorazza e corre felice e libero, insieme ai suoi amici maggiolini.
Era la storia di Gino il Maggiolino, amici, la vettura che mi permise di vedere un mondo migliore attraverso i suo cristalli, e che mi insegnò il valore della parola “amicizia”. Spero che a voi abbia fatto piacere leggerla, quanto io sono stato fiero di viverla e di ricordare quel tempo che vivemmo insieme. Mauro Saglietti
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