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Giocatori granata salite a Superga

Redazione Toro News

Ieri era una bella giornata, che faceva venire voglia di uscire. Era già da qualche giorno che stavo pensando di fare una passeggiata in salita, per allenarmi in vista del mio prossimo viaggio in giro per il mondo; e...

Ieri era una bella giornata, che faceva venire voglia di uscire. Era già da qualche giorno che stavo pensando di fare una passeggiata in salita, per allenarmi in vista del mio prossimo viaggio in giro per il mondo; e visto che la montagna è ancora impraticabile per neve, mi ero orientato verso la collina. Ma poi, dopo una partita come quella di sabato pomeriggio, mi è venuto naturale salire a Superga.Una salita a Superga può avvenire in tanti modi. Ci si può andare in auto, una sera d'estate, a suonare la chitarra sul piazzale con gli amici; oppure una domenica con la dentiera, per vedere il panorama. Ci si può andare in bici, per un voto fatto; o anche tutti insieme, camminando per la strada, con una fiaccola in mano in una sera di luglio. Io ho scelto la strada più lunga, da solo a piedi per il bosco.Lasciata la macchina a Sassi, dopo venti minuti di salita ripida sui marciapiedi della strada, incomincia il sentiero vero e proprio (numero 28 della carta dei sentieri della collina torinese). Bisogna superare la sbarra abusiva di una villa, lasciandosi alle spalle, dietro una rete, il solito cane da guardia con la bava alla bocca, gobbo e dopato; e si è subito soli in mezzo alle sterpaglie. Per circa un'ora il percorso si snoda tra larghe carrabili a mezza costa, solo ogni tanto ostruite da qualche albero caduto, e qualche improvviso taglio verticale che mette a dura prova il fiato. Il bosco in questo periodo è affascinante, con il terreno coperto di foglie secche rimaste lì dall'autunno, frollate dalla neve e poi dal suo scioglimento; e con il terreno molle, spesso fangoso, e in certi rari tratti ancora coperto di neve.Si arriva così a Pian Gambino (il termine “Pian” è decisamente ironico, vista la pendenza), dove un qualche ente pubblico ha appena rasato il bosco, facendolo assomigliare ai giardinetti della Maddalena. Lì si incontra di nuovo la dentiera, facendo ciao ai turisti che ti guardano un po' stupiti dai finestrini; e pare di essere arrivati. In realtà, manca ancora mezz'ora buona di salita dura, fino ai vecchi tornanti, residui d'Ottocento, che portano alla stazione della funicolare e di lì al piazzale della Basilica.Io ho fatto il percorso pensando ai fatti miei, ma anche al Toro. Nel tratto più solitario ho pensato di sentirmi come devono sentirsi ora Cairo e De Biasi, soli nel silenzio circostante, persi su un lungo sentiero in salita in mezzo ai rovi e alle sterpaglie, in cui è difficile distinguere l'alto dal basso, la sinistra dalla destra, l'avanti dall'indietro; e non si sa bene se alla fine del sentiero si troverà Superga, oppure ci si ritroverà inaspettatamente di nuovo in fondo alla valle.E così, ogni tanto, fermandomi per riprendere fiato, declinavo una stazione della nostra via crucis, cercando di incitare i vari giocatori: Taibi, impara ad uscire; Orfei, impara a marcare; Stellone, impara a mirare; Fantini, impara a passare la palla (almeno una volta ogni tanto, e dai!). Del resto non si può tifare Toro senza essere un po' masochisti, senza provare il piacere della fatica e l'abitudine a farne il triplo degli altri; e senza infilarsi almeno tre volte, con tutto il cuore e in perfetta buona fede, sul sentiero sbagliato, magari dietro una guida di quelle che perdono il controllo della situazione e poi, a difesa della propria autostima, anche il contatto con la realtà; che continueranno fino all'ultimo a dire “ma no, là in fondo intravvedo un pezzetto di cielo, bisogna solo insistere”, e non ammetteranno mai di essersi perdute.In cima alla salita – prima di una meravigliosa discesa col sole al tramonto, piena di luci fantastiche che filtravano tra gli alberi – non ho potuto non fermarmi davanti alla lapide, e poi al Museo del Grande Torino (tra l'altro, in tutto il piazzale non vi è una sola indicazione della sua esistenza nè di quella della lapide, bisogna sapere che esistono e un turista qualsiasi potrebbe tranquillamente non scoprirli). L'affluenza al museo, che è aperto solo nel weekend e solo al pomeriggio, era talmente elevata che hanno dovuto dividerci in gruppetti e farci visitare le tre stanzette di corsa. Ugualmente, l'effetto di vedere i grandi del passato che ci aspettano in cima alla salita è stato forte; il contrasto con il calcio di oggi è stridente.Forse, anche i nostri confusi giocatori troverebbero la strada e la forza di reagire, se provassero per una volta l'esperienza di salire a piedi a Superga.

Vittorio Bertola