mondo granata

Ho fatto sei! – 1)

Redazione Toro News
di Mauro Saglietti

Cari amici, si chiude un'altra stagione di Istantanee. Non oggi, perché questo racconto è a puntate e durante le ferie la rubrica proseguirà come sempre con Istantanee estate, racconti che mi sono stati spediti e che ritengo degni di menzione. Dal momento però che in molti si stanno facendo i saluti, mi unisco al coro. Desidero ringraziare ancora una volta voi, cari amici, che siete lì dietro quel monitor, magari in ufficio, e con la vostra partecipazione avete reso possibili tanti racconti di questa rubrica, che ha sempre avuto lo scopo principale di estraniarsi, per quanto possibile, dagli isterismi del presente. Ringrazio tutti gli amici di Redazione, Arcitoro, preciso e minuzioso commentatore dalla penna affilata come una scimitarra, la Silvia per i suoi incoraggiamenti, gli amici Lucio e Beatrice, Walter Panero, Marco Ravera, Alberto Lovisolo, Valerio Russo, Paola Cantone, Giovanni Tarantino, Angelo Scalia, Robert Farrugia da Malta e Josè Francisco dal Costa Rica per la passione e le tante belle parole di incoraggiamento.E poi un grazie a Pacione Ale74, 31 Marco, CorvoGranata, Morrovalle, Cuccufane, Skoro 62, only_you, codywankenoby, lo Svizzer, jeremy69, V.G, Puliciclone69 e tanti altri ai quali chiedo anticipatamente scusa per la mancata citazione.Un appello infine.La nostra tifoseria si trova in uno dei momenti più confusi, pericolosi e rischiosi della sua storia.Invece che un solo ideale, siamo diventati mille schegge impazzite, ognuno con la sua verità ritenuta unica ed essenziale.Vi prego di cuore. Il Toro è unione, non è particolarità.Quando diventa egoismo, e arroganza, diventa juve.Salviamoci, almeno noi.Un abbraccio, ci si vede a Settembre!Mauro

 

Anacleto fece ritorno a casa, come tutte le sere.L’odore di cibo cinese aggredì il suo monolocale con meno violenza di quanto fatto in precedenza con la sua vettura. Buona parte di esso si era infradiciato nel puntualissimo nubifragio estivo, che si stava abbattendo con chirurgica violenza proprio in quell’istante. Ma andava bene così. Si sarebbe stupito se fosse stato diverso.Evitò gli scatoloni post-divorzio che da anni rifiutava di disfare, gettò il sacchetto col tavolo, poi si lanciò all’esterno per prendere il computer portatile dalla sua vecchia Uno, accostata contro il muro. La pioggia era un torrente scatenato che rendeva impossibile la vista. Non riuscì ad avvicinarsi.La MTO rossa, quella di Kevin Giumurro. Posteggiata in seconda fila, proprio attaccata alla sua macchina.Lo spazio per accedere al sedile di guida era di due o tre centimetri. Anacleto si lasciò sfuggire un improperio fradicio, ucciso dalla pioggia torrenziale.Aveva bisogno del suo PC aziendale, il contenitore temerario delle poesie, che chissà se sarebbe mai riuscito a pubblicare, o a far leggere, senza che qualcuno gli ridesse in faccia.Corse su per la scaletta dell’alloggio adiacente al suo. Uno stabile di edilizia popolare che aveva visto giorni migliori, e si attaccò a un campanello.Dopo un paio di minuti uscì Kevin Giumurro.

 

- Che minchia vuoi, zecca? - La tua macchina. E’ davanti alla mia, non riesco ad entrare.- E allora? – Kevin Giumurro lo guardò strafottente. Da dentro la casa arrivavano le risatine dell’ignorantella incatramata di trucco che lo frequentava.Chi si somiglia si piglia – pensò Anacleto.- Devo chiamare i Vigili? – disse sospirando.- Tu chiamali – rispose il ragazzotto dai capelli a punta e dai basettoni – e poi non ti lamentare se il tuo cesso di macchina ha di nuovo le gomme tagliate. – Kevin Giumurro sbatté la porta e dall’interno dell’appartamento giunse la risatina ammirata dell’ignorantella, tutta fiera del suo gorilla.

 

Da quando era stato costretto a trasferirsi in quel quartiere, che odiava, Anacleto era stato in guerra costante con Kevin Giumurro. Era un giovane strafottente della peggior specie: di quelli talmente ignoranti da essere convinti di essere Dei scesi in terra.Se la tirava e si dava importanza, quando in realtà rappresentava la peggiore omologazione alla massa. Uno di quelli per qui bisognava assolutamente “trasgredire”. E trasgredire significava ovviamente partecipare in massa, e incolonnati, alla movida, andare in giro con la bottiglia di Vodka per farsi ammirare, e naturalmente ubriacarsi ed imbottirsi di coca per fottersi quei quattro soldi che il lavoro gli forniva.Oppure indebitarsi per comprarsi la MTO rossa dai vetri scuri, sgasante e rombante di stupidità, per poi lasciarla provocatoriamente di fronte alla sua.Guerra totale. Stereo a tutto volume, televisione sintonizzata sui canali schifidi fino alle ore tarde. Un essere del genere non poteva che essere juventino, e da quando aveva saputo che Anacleto era del Toro era stato un continuo provocare e la retrocessione certo non aveva aiutato.Provocare, ovvio. In modo tale da cercare costantemente la rissa ed ottenere l’ammirazione della sua ignorantella rotondetta, che in pochi anni sarebbe esplosa nel suo lardume senza speranza.Il fatto era – pensava Anacleto con tristezza – che certa gente viveva bene così, beandosi della propria ignoranza.

 

Anacleto tornò in casa e si asciugò di fronte allo specchio. Se avesse avuto un pelo di coraggio, avrebbe raccolto una spranga e avrebbe contrassegnato Kevin Giumurro con il marchio della colpa. Ma lui non era mai stato coraggioso. Era stato semmai un artista, un poeta fallito. Non un gangster.Avesse avuto la possibilità di vendicarsi in maniera… artistica…Si guardò e si sentì un fallito ancora prima di vedere la propria immagine riflessa.I capelli se ne stavano andando di gran carriera e la pancetta per un uomo sulla cinquantina non era certo più un abbozzo.La vita ti mette al muro. Era più che una riflessione.Lasciò ammuffire il suo cibo sul tavolo Mise uno dei suoi vecchi vinili sul piatto, poi, senza accorgersi di non averlo fatto partire, e accese la televisione a volume zero, dopo essersi sdraiato sul divano.Il video ondeggiava sotto le palpebre bagnate e avvilite. I numeri delle estrazioni del lotto volteggiavano confusi. Gli tornò in mente la schedina che teneva nel portafoglio. Giocava da qualche anno, dal momento della separazione, gli stessi numeri. Il 5 di Junior, il 10 di Valentino, l’11 di Pulici, il 49 per ovvi motivi, il 67, l’anno della morte di Meroni, il 76  l’anno dello Scudetto.Quanti erano? Più di 110 milioni di Euro? Cosa avrebbe fatto con quella cifra? I soldi volteggiavano come farfalle, un tempo sarebbero state pecore che saltavano la staccionata.Si assopì di un sogno senza sogni.Quando riaprì gli occhi doveva essere notte fonda.Si alzò con un balzo doloroso dal divano. Si era completamente dimenticato del computer.Scese in strada. La MTO rossa di Kevin Giumurro non c’era più.Non c’era più neanche il suo portatile. Qualcuno aveva forzato la serratura e l’aveva portato via dall’auto.Le palpebre erano ancora gonfie, non c’era possibilità di lacrime ulteriori.Era stato avventato a parlarne.Non poteva che essere stata una sola persona.

 

- Chissà chi è il fortunello? – disse uno dei colleghi dell’open space.- Voi cosa fareste con quella cifra? Io per prima cosa comprerei un’amaca e mi piazzerei qui di fronte alla ditta. Vi aspetterei ogni giorno all’uscita lì sdraiato – esclamò uno di loro. Tutti riseroIl sei del Superenalotto aveva reso iper-mega-multi-milionario qualche sconosciuto di Torino, ma Anacleto non si era neanche ricordato di controllare la schedina.- Io mi comprerei direttamente un negozio di Gucci e ci vivrei dentro… e poi non avrei neanche il tempo di spendere quella cifra.In parecchi risero, per pura ruffianeria, tranne Anacleto. Era stata Aperitiva a parlare. Aperitiva era il soprannome della belloccia dell’ufficio. La bellocceria non fine a se stessa, ma che deve arrivare da qualche parte. La supponenza di chi crede che basti raccontare le proprie mirabolanti imprese per darsi un tono e valicare così i confini della propria pochezza. Una shampista con la voglia di arrivare, che trascorreva le pause caffé a parlare, senza che le fosse stato richiesto, di sé e di quello che aveva fatto nel week-end e dei negozi che aveva visitato. Il suo vuoto nascondeva però una certa scaltrezza e un po’ di furbacceria, che però non le impediva che tutti sapessero che si infilava nello stesso letto del Responsabile, peraltro ampiamente sposato, il cui soprannome silenzioso era “Aperitivo”. Tanto per dirla tutta.Chi si somiglia si piglia, ripensò Anacleto.Aperitiva odiava Anacleto, perché non sorrideva compiacente e compiaciuto ai suoi racconti, fatti di lampade abbronzanti e campi da golf. E poi lui non faceva parte della generazione-slide, di quelli convinti e impomatati, padroni del loro tempo. Gli era stata affiancata nel lavoro dal coscienzioso capo, ma lui sapeva benissimo che il fine ultimo di quella mossa era metterlo in un angolo.Qualche anno prima inoltre si era vociferato che Anacleto portasse sfortuna, all’incirca nel periodo in cui si era separato dalla moglie. In un ambiente meschino e ottuso, aveva dovuto combattere contro la stupidità di chi non gli rivolgeva più la parola, per paura di incorrere in qualche fantomatica sciagura. Da allora, la sua vita lavorativa ne era stata comunque segnataEra stato considerato un ramo secco, in particolare da quando si era saputo che scriveva poesie, attività risibile nei confronti di una produttività che vedeva come negativa ogni singolarità, anche al di fuori dell’ambito lavorativo.La perdita del pc aziendale, sul quale scioccamente aveva salvato l’archivio delle sue poesie, delle quali per pigrizia non era mai riuscito a fare una copia, fu la chiave di volta che Aperitivo, il suo Responsabile, attendeva da tempo per scardinarlo dalla sua scrivania.Lo mandò a chiamare quel giorno stesso.Sorrideva da lontano e lui non ebbe bisogno di troppo tempo per capire.Gli disse che la Ditta era sinceramente preoccupata per lui…- Sei distratto ultimamente… forse avresti bisogno di un periodo di riposo, non sei più un giovincello… Noi teniamo molto a te e la tua esperienza è preziosa. Ma la perdita di dati aziendali e inammissibile! La tua mansione richiede una maggiore flessibilità e dinamicità e…- La stessa flessibilità e dinamicità che ha la belloccia quando te la porti a letto? Ti parla di marche e di griffe anche quando fate l’amore?Il capo Aperitivo sbiancò.- Come osi? Non ti permetto di fare simili illazioni! Io sono un uomo sposato e…Sarebbe stato solo questione di tempo, Anacleto lo sapeva bene. Quello che ottenne fu anticipare il suo trasferimento in una guardiola, dove essere mobbizzato, in attesa che l’inevitabille ristrutturazione aziendale cancellasse le sue tracce.

 

Villa dei Glicini non era una casa di riposo.Era una topaia.L’unico tocco di interesse era una cascatella d’acqua inserita nell’ambiente architettonico della saletta di ingresso. Oltre a quello, era soltanto l’odore di disinfettante misto a urina di un luogo dove gli anziani, in triste circolo a fissarsi, attendevano rassegnati il momento di andarsene.L’ex moglie di Anacleto, anni prima non aveva voluto farsi carico di sua suocera e aveva costretto il marito ad una scelta drammatica.Quando era subentrato il tempestato divorzio, Anacleto non aveva trovato di meglio che Villa dei glicini, una struttura cadente, diretta da una scaltra psicopatica che aveva odiato dal primo istante.- Ti porterò via da qui. Comprerò una casa al mare e potrai passare gli inverni lì, invece che in questa topaia…La mamma di Anacleto era rannicchiata contro la parete, seduta sulla sedia a rotelle. Era molto indebolita rispetto all’ultima volta che l’aveva vista.- Sì… lo farai, ne sono sicura. Quando farai pubblicare il tuo libro di poesie?Anacleto sospirò. La voce della mamma era diventata una cantilena. Le aveva sempre raccontato tutto, confidando nella sua lucidità mentale.- Ti trovi bene, qui, mamma? – sussurrò- Certo che mi trovo bene. Solo ogni tanto… ogni tanto mi portano in cantina, quando mi lamento per il mal di schiena…- Come dici?!  Ti portano in cantina?! – Anacleto scattò in piedi.- Sì… mi portano in cantina… io ho paura del buio… Ma tu non dirlo alla Direttrice… lei si arrabbia così tanto… Mi porterai davvero via, Anacleto caro? Farai in tempo? Mi piace tanto il mare…Un groppo strinse la gola di Anacleto. Era la prima volta che la vedeva in quelle condizioni e probabilmente era stata rintronata con i farmaci.Corse nello squallido ufficio e si scagliò contro la Direttrice, la sottoressa Bernuffia, chiedendole spiegazioni.Con tutta calma, la donna, nascosta sotto un freddo e prevedibile paio di occhiali, gli rispose che i fondi per la casa di riposo erano venuti a scarseggiare, e giocoforza gli operatori erano stati costretti ad utilizzare spazi solitamente destinati ad altro utilizzo, per placare i pazienti più agitati…- Io vi denuncio, vi mando l’Ispettorato del lavoro, l’Ufficio d’Igiene…!- Faccia pure – disse la Dottoressa Bernuffia con un sorrisetto malizioso da persona inevitabilmente disonesta. - In tal caso però sono obbligato a ricordarle che le ultime due rate della retta non sono state pagate, e, come Clinica, non possiamo garantire la completa sicurezza delle pazienti…Anacleto le aveva scaraventato dei fogli in faccia.Non era mai stato un violento.Stava degenerando e una strana idea tornò a turbinargli in testa.Avrebbe fatto ancora un tentativo, dopodichè, se era destino che sprofondasse all’inferno, avrebbe trascinato tutti con sé.Salì sulla sua vecchia Uno e sgommò verso casa della moglie.La casa dell’Avvocato.

 

Non ne era più innamorato da tanto tempo.Non poteva, dopo quanto era successo, provare ancora qualcosa.Lei lo odiava, aveva tentato di cancellarlo dalla sua vita in ogni modo.E soprattutto aveva tentato di impedirgli di vedere loro figlio.Tomino, per lui era sempre e solo rimasto Tomino, il suo piccolo.Non aveva potuto vederlo per molti anni, se non da lontano o di nascosto, schiacciato dalle menzogne infamanti della moglie e dal preciso e potente lavoro del meticoloso Avvocato.Il suo amante prima, il suo uomo poi.Da quando era successo quello che era successo, lei aveva provato a cancellare quella parte della loro vita fatta di stenti, conti da pagare e bollette scadute, elevandosi a una nuova realtà, che non prevedeva neanche il ricordo di quello che era stato.Solo un padre poteva sapere quanto fosse profondo il dolore per la lontananza, o per non poter vedere un figlio.Ora Anacleto stava guidando verso la loro nuova elegante abitazione, la casa di lei e dell’avvocato, senza una vera ragione. Avrebbe voluto chiederle istintivamente aiuto per togliere la madre da Villa dei Glicini, ma sapeva benissimo che non sarebbe riuscito ad umiliarsi fino a quel punto.Fece il giro dell’isolato attorno alla villetta. Quando stava per tornare indietro, vide una figura e inchiodò.Suo figlio, sedici anni per un metro e settantacinque di magrezza, più altri cinque di capelli sparati a punta. abbracciato a una biondina ancheggiante. Cercò di contrastare la morsa del cuore, che gli faceva tornare alla mente i primi anni felici con lui. E quelli che gli erano stati negati da sette anni a quella parte.Tomino camminava sottobraccio alla sua ragazza, dal tatuaggio tribale sopra le chiappe.Si guardava attorno piena di pose. Per vedere se qualcuno dei rari passanti la stesse osservando e ammirando. Pessimo segnale- Tomino, ehi, Tomino… sono papà… disse sporgendosi dal finestrino della sua Uno disastrata.Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e mormorò - …E’ mio padre - come se dovesse giustificarsi con la bambolotta.- Tomino, vieni qui. Come stai? Ho bisogno di parlarti…- Mamma non vuole che ti parli, lo sai! – rispose il ragazzo infuriato - Dice che sei un fallito. E poi non chiamarmi con quel nome ridicolo. E poi con quello che hai fatto…!- Io non ho fatto nulla e non sono un fallito. Vieni qui che ti devo parlare…Tomino non rispose più. Salì il vialetto che conduceva alla villetta senza più voltarsi. Probabilmente aveva progetti imminenti ben più interessanti.Anacleto lo guardò. Gli sembrò un estraneo, sepolto sotto una valanga di bugie.Sembrava uno dei tanti ragazzotti della sua età. La moda non risparmiava proprio nessuno.Guai in vista – pensò Anacleto – osservando la ragazza ancheggiante. Suo figlio poteva anche pensare che lui fosse un fallito. Ma lui non voleva vederlo soffrire..Ingranò la marcia della Uno e partì.

 

Aveva sempre pensato che prima o poi avrebbe acquistato una pistola.Lo fece quella sera stessa, sapeva come fare passando per le vie spicce.Una volta, prima di adagiarsi ed essere vinto, era stato un tipo svelto.Poggiò la pistola sul tavolino di casa.Quello che sarebbe stato, sarebbe stato.

 

La radio di Giumurro trapanava i muri.La cena della sera prima era diventata rancida.Le immagini mute della televisione, inquadravano luoghi familiari.La pistola era appoggiata al tavolino.Anacleto Strinse tra le mani una foto di Tomino da piccolo.Era così bello, paffuto e sorridente.La gioia della sua  vita, che gli avevano portato via.Luoghi familiari sul video. Il suo tabaccaio…! Che ci faceva in televisione?Si riscosse dal torpore suicida per un istante. Cercò il telecomando, che trovò quando ormai il servizio del Tg era agli sgoccioli.- No… non ho idea di chi possa essere, Da queste parti passa molta gente. Spero sia una persona che ne ha veramente bisogno…Le parole del tabaccaio sembrarono bucare il video ed essere indirizzate direttamente a lui.Si ricordò dei discorsi in Ufficio, quella stessa mattina.Per scrupolo controllò la schedina che teneva nel portafoglio, posizionando il televideo sulla pagina del lotto.5-10-11-49-67-76.Molti sarebbero svenuti. Altri morti.5-10-11-49-67-76. Tutti e sei.Erano usciti tutti e sei.Fissò l’immagine di Tomino e si mise a piangere a dirotto.

 

Era diventato ricchissimo.Occorsero ore perché se ne rendesse conto.Il primo giorno fu terribile.Si mise in mutua e fu terrorizzato dal pensiero di perdere quel tagliando, oppure che Kevin Giumurro potesse intuire qualcosa e lo venisse a sapere.Non mangiò e non si lavo per non perdere di vista la schedina.Quasi pensò di distruggerla, perché fosse riscaraventato in un universo conosciuto, per quanto miserevole.Fu tentato di prolungare la mutua, ma il pensiero che la sua assenza potesse essere associata alla vincita milionaria, gli fece cambiare idea.Passarono giorni, settimane intere, senza che lui facesse nulla per riscuotere la vincita.La notte dormiva con la matrice della giocata sotto il cuscino, impossibilitato a prendere sonno non solo per la musica sparata dal fastidioso vicino.Cosa fare di quella schedina? Che cosa sarebbe successo?Lasciò passare altro tempo tempo. Forse troppoSentiva gli occhi di tutti addosso. Si comportava da preda nei confronti di Kevin Giumurro, che gli chiese più volte cosa avesse da nascondere.- Sei tu quello che ha vinto al Superenalotto, zecca?Alla fine si decise. Avrebbe dovuto pensarci subito.Si ricordò di uno dei suoi amici.Quelli dei vent’anni, quelli “per tutta la vita”.Acido. All’epoca era “Acido”, ora era diventato un promotore finanziario. Lui lo avrebbe messo in comunicazione con un notaio.

 

La vincita arrivò dopo parecchio tempo e fu ridistribuita su diversi conti, a seconda dei consigli del notaio e di Acido. Il notaio si tenne una parte esosa, ma questa era cosa notain partenza. Acido inoltre, avrebbe dovuto avere la vita sistemata, secondo i piani di Anacleto.Certo, ci sarebbe stati immobili da comprare, investimenti sicuri da intraprendere.Ogni cosa a suo tempo però.Quando Anacleto capì veramente di essere diventato ricco sfondato, ebbe soltanto in mente una casa al mare da acquistare.

 

Quel giorno stesso corse verso Villa dei Glicini, con sguardo deciso e occhiali scuri.Entrò attraverso la porta a vetri e puntò deciso verso la Dottoressa Bernuffia, che in quel momento stazionava nella saletta principale.- Sono venuto a portare via mia madre. Subito. – disse Anacleto, mentre l’odore di cloroformio gli si posava addosso come una mosca fastidiosa. La donna lo guardò con una punta di sorpresa e divertita tristezza. – Ma… le hanno già telefonato?Un’ombra si parò sul viso ruvido di Anacleto.- In che senso? Telefonato? Per cosa?La direttrice Bernuffia gli posò una mano fintamente compassionevole sul braccio.- Oh… davvero? Oh.. che terribile coincidenza… la signora… venti minuti fa… Noi del resto avevamo sempre sostenuto che occorressero cure specifiche…La cascatella dell’ingresso di Villa dei Glicini in quel momento si ghiacciò e qualcosa fece CRACK per sempre all’interno del cuore di Anacleto.

 

Si dice che ai funerali alle volte scenda la pioggia perché le lacrime degli uomini non bastano.La pioggia di settembre era generosa, e sapeva di terra bagnata.Al funerale della mamma di Anacleto erano presenti soltanto, un’anziana amica della mamma, Acido, Spino, l’altro suo grande amico, compagno delle avventure vecchie quasi trent’anni, e Tomino, pietosamente incaricato dalla madre di presenziare malvolentieri al funerale della nonna.Anacleto aveva optato per la cremazione, rispettando il desiderio della defunta.Poco prima della cerimonia, si era chinato sul feretro e aveva sussurrato piangendo. - Non ho fatto in tempo… Sono stato un vigliacco… Ti avrei comprato una bella casa al mare…La funzione prevedeva che fosse possibile scegliere un brano che accompagnasse la cerimonia.Scelse “L’ultima neve di primavera”, di Franco Micalizzi un brano meraviglioso e straziante, che avrebbe fatto piangere anche i sassi.Con la coda dell’occhio si accorse delle lacrime negli occhi di Tomino.Non lo conosceva più. Non sapeva più cosa provasse suo figlio, che gli era stato negato per così tanto tempo.Potevano essere lacrime per la nonna, che non aveva più visto da anni, come invece poteva essere che quella musica struggente avesse scatenato un’emozione trattenuta a stento.Portarono la donna in un piccolo cimitero di collina, dove lei aveva vissuto gli anni dell’infanzia.Era elegante, curato, con una piccola guardiola all’ingresso, che tenesse lontano vandali e curiosi.Venne deposta nella tomba di una fila di quattro. Le altre tre erano tutte curiosamente vuote.- Vuota il sacco – Anacleto chiese al figlio – quando furono fuori dal cimitero. Gli amici lo aspettavano poco distante.- Cosa? Io non…- Vuota il sacco. Che cos’hai? Lo so, ti vedo.- Io… io non dovrei neanche parlarti. Tu… In fondo cosa puoi sapere di me? – gli disse con tono di sfida.- E’ la belloccia, vero? Quella con la quale ti ho visto l’ultima volta…Gli occhi di Tomino vacillarono. Anacleto colse la familiarità di un’emozione dolorosa che si stava dispiegando. Le palpebre fluttuanti gli riportarono alla mente le sue di trenta anni prima.- Rispondimi… è stata lei, vero?- Deborah… si chiama Deborah.- Con l’”h”? – chiese Anacleto. Brutto segno, davvero brutto segno.- Sì… è andata in vacanza al mare e… - bofonchiò Tomino nascondendo lo sguardo.E ha trovato un altro – aggiunse mestamente Anacleto – E’ una tua compagna di classe?- Ora basta, portami a casa! Non so perché sto parlando di queste cose con te! – sibilò il ragazzo.Acido e Spino guardarono la scena da lontano e incrociarono lo sguardo di Anacleto, silenziosi.

 

Due mesi dopo

- Alla fine ce l’hanno fatta. Maledetti. - Era destino. Era quello che avevano sempre voluto- Schifosi…ai miei tempi non l’avremmo permesso…Alcuni vecchietti passeggiavano attorno al cantiere che era diventato lo Stadio Filadelfia.Poche settimane prima la giunta aveva definitivamente deliberato sulla costruzione di un ipermercato, nel luogo dove il Grande Torino aveva mietuto i suoi successi.A nulla erano servite le manifestazioni, i sit-in di protesta, le persone che si erano incatenate a quanto rimaneva della vecchia balaustra, o che avevano tentato di buttarsi sotto le ruspe.Presto o tardi il volere dei poteri forti ed edilizi della città aveva ingoiato anche questo pezzo di storia. Ed ora il Filadelfia era tutto un contenitore, all’interno del quale non si poteva scorgere assolutamente nulla del veloce incedere della costruzione.Una Porsche nera partì a razzo da un posteggio nelle vicinanze, facendo fischiare le ruote.Qualcuno dei tifosi che passeggiavano nelle vicinanze vide il bolide e mormorò. - Chissà quello lì quanti soldi ha! Non poteva essere lui, a costruire il Filadelfia?I vecchietti se ne andarono brontolando, persino loro lontani dai loro ricordi.

Cosa è successo realmente allo Stadio Filadelfia? E chi era a bordo di quella Porsche nera? Cosa farà Anacleto con i milioni della vincita? Che ne sarà, di Kevin Giumurro, della dottoressa Bernuffia, di Aperitivo e Aperitiva? E soprattutto, riuscirà Anacleto a riavvicinare il figlio?Lo saprete, se avrete la voglia e la bontà di seguire questa storia, nella prossima puntata. Mauro Saglietti