mondo granata

I campi di Athenry

Redazione Toro News
di Mauro Saglietti

(racconto pubblicato il 2 ottobre 2009)

Non lo fare, Michael, te ne prego… Non lo fare.L’uomo prese tra le mani il viso bianco ed emaciato della giovane donna. La piccola creatura si era finalmente addormentata, ma sapevano entrambi che sarebbe stato per poco.- Devo farlo… non possiamo lasciare che muoia così… solo un sacco. Non se ne accorgeranno neanche…La donna lo vide andare via, con il sacco di iuta in spalla in piena notte.- Non lo fare Michael… - sussurrò - Ti prego…

 

Qualcuno di voi ricorda il fatto che il Toro giocò un paio di amichevoli in terra d’Irlanda? Capitò nel 1976, quando la nostra squadra, fresca Campione d’Italia, era volata nell’Isola Verde per disputare alcune amichevoli internazionali, in preparazione della Coppa dei Campioni.Furono due 0-0, con un gol annullato a Pulici nella prima.Quanto fui sorpreso di ricordami ancora di quelle vecchie partite, quando mi imbattei nei tabellini, spulciando tra i siti. Da tempo bighellonavo attorno al romanzo che avrei dovuto scrivere. Quando l’Editore mi disse che avrei dovuto terminare il libro entro venti giorni al massimo o sarei stato fuori, non trovai di meglio da fare che avventurarmi alla ricerca di notizie su quelle due gare, e scrivere una storia che parlasse sì di calcio, ma fosse legata anche ad emozioni ed avventure.Del resto quante volte il Toro era stato l’enzima che aveva incollato tutte le esperienze della mia vita!Fu così che tutto ebbe inizio.O forse no. Quella del romanzo e delle partite fu soltanto una scusa con la quale mentirmi.Forse tutto nacque con due bambini che correvano, inseguendo le farfalle, lungo prati cintati da muretti a secco.In un tempo lontano, dai colori pieni e non sfocati, colti in un’istantanea di gioia.Forse capitò proprio così.

 

Il nostro fu un incontro a tre di solitudini.Sì, perché di triangolo si trattò sin dall’inizio.Venivo dai giorni forse più tormentati della mia vita e l’ipotesi di affrontare un viaggio da solo non mi aveva affatto spaventato.Desideravo gli spazi solitari, i paesaggi sconfinati, il tempo per sentirsi se stessi di fronte all’Oceano e per sentirsi piccoli e grandi, nello stesso incommensurabile momento.Mi ero fatto faticosamente elargire un piccolo anticipo dall’Editore, ed ero arrivato fin lì con la mia vettura, come molti anni prima, avendo sempre avuto paura di volare.Ma questa volta da solo, senza rimpianti, senza ricordi da inseguire. Avevo seguito un itinerario classico: Glendalough, Waterford, la costa del Sud. Mi ero fermato a Kinsale, per ammirare lo spettacolo delle vele sulla baia, disteso sui prati del vecchio forte inglese, mentre le nuvole mi risparmiavano gli scrosci, ignaro di essere pilotato incontro al mio destino. Io, me stesso, il cielo e il mio portatile, dove scrivevo il canovaccio del mio romanzo, mentre i giorni scorrevano quieti.Poi una rapida occhiata a Cork, dove avevo cercato di ricavare informazioni su di una delle due partite, senza ricavare un ragno dal buco. Nessuno ricordava nulla.Quindi Blarney, la Beara Peninsula, Mizen Head, chiacchierando col vento senza parlare, le pagine che crescevano senza troppa convinzione.La tormentata pace dei luoghi ispirava grandi e inconfessate passioni. Cominciai a pensare a due personaggi e al loro incontro casuale. Alla voglia di amare e al loro amaro cinismo, ma qualcosa mancava per dare una spruzzata di magia a quella trama.Non mi spaventava il fatto che avrei dovuto intrecciare una storia d’amore l’amore con una partita del Toro, spesso le cose sono conseguenti.Di sera mi concedevo lunghe soste nei pub, appartato. La gente mi guardava incuriosita ed io guardavo loro. Mi piaceva ascoltare la loro musica e le canzoni della tradizione, anche se spesso potevo soltanto intuire gli argomenti.Fu proprio durante una di quelle serate piene e rilassate che la ascoltai per la prima volta.Mi colpì la sua orgogliosa tristezza. Non era famosa come il Danny Boy di Derry, o la Sweet Rose of Allendale, o ancora come la Galway Bay.Eppure, mentre l‘uomo con la chitarra la cantava, gli occhi di quella strana e unica gente, si riempivano di orgoglio e commozione.

 

By a lonely prison wall. I heard a young girl calling…

 

Pernottavo nei Bed & Breakfast, dove persone ospitali e talvolta semplicemente taciturne mi facevano trovare ogni ben di Dio di fritture al mio risveglio. Il mio fegato ringraziava.Sarei dovuto dirigermi a Dublino, lì di sicuro avrei reperito archivi cartacei che mi potessero aiutare a scrivere qualcosa sulle due partite fantasma e sulle persone che ne avevano sfiorato il corso.Decisi invece di dirigermi a Nord, verso Killarney, soltanto per qualche giorno, per visitare la cittadina che avevo amato così tanto, prima di far rotta a Est.Mentivo a me stesso, sapevo troppo bene che avrei trascorso il resto dei giorni a disposizione sulle rive dei tre laghi, o sui prati della Muckross House, o ancora avventurandomi nella circumnavigazione di un lago, immerso nei boschi usciti da una favola.

 

Fu a Killarney che la incontrai, quella sera stessa.- Sei italiano, vero?Non avevo parlato per tutta la sera e non mi ero accorto di loro. Era una compagnia di persone eterogenee.Mi sembrarono quasi tutti stranieri, ma il mio intuito era andato a dormire con le galline irlandesi.Qualcuno di loro era italiano, e mi apparve subito chiaro che non fossero lì per ragioni di piacere, nonostante l’apparente spensieratezza.La donna che aveva parlato doveva essere prossima ai quaranta, poco meno di me. Aveva occhi chiari, canoniche lentiggini e deliziose rughe che cominciavano a formarsi ai lati degli occhi.Sorrideva divertita - Allora, sei italiano?- Si vede tanto? - risposi imbarazzato. Parlava un italiano fluentissimo, benché non lo fosse per nulla. Anche l’uomo dai capelli brizzolati, al suo fianco, accennò ad un sorriso.- E’ raro vedere un italiano silenzioso, è da un po’ che ti guardiamo. Bevi con noi? - poi mi porse la mano – Sally, piacere!Avevo voglia, almeno per una sera, di bere un po’ più lentamente, di lasciarmi andare.E lei… lei non mi era stata certo indifferente, nonostante le mie inutili difese.Una ventaglio di molti paesi, una bellezza consapevole del tempo che cominciava a passare.Facevano parte di una troupe televisiva, che stava girando un documentario per un notissimo network.Cameraman, tecnici audio, video, ricercatori, sceneggiatori, c’era un piccolo universo in quel Pub.In breve io, lei e l’altro, ci separammo dal resto del gruppo e continuammo a parlare, la birra che fluiva facile.Come vi ho detto, fu un triangolo fin dall’inizio.Patrick, chiamiamolo così in onore del santo più famoso d’Irlanda, anche se il suo nome era un altro, arrivava dalla Nuova Zelanda, o giù di lì, ed era il produttore del documentario. Era grande e grosso, con qualche anno in più di Miss Lentiggini, riservato e dai lineamenti aspri.I suoi occhi seguivano Sally anche quando lei guardava altrove.Mi chiesi se ci fosse del tenero, se ci sarebbe stato, o se ci fosse stato, e la mia curiosità non avrebbe tardato a farsi esaudire. Parlavamo da qualche minuto, quando improvvisamente Sally ci fece cenno di tacere con un gesto della mano.Era interessata ad una canzone, interpretata da un colorito signore, che si accompagnava a una chitarra, in un angolo del pub.Riconobbi immediatamente le note della melodia che mi aveva toccato qualche sera prima.

 

By a lonely prison wall, I heard a young girl calling…Michael, they have taken you away…

 

Trascorremmo una piacevole serata e parlai a lungo con lei.Aveva girato il mondo ed era originaria di Manchester, benché l’aspetto facesse pensare al continente.Era la sceneggiatrice del documentario, un filmato turistico promozionale, destinato a mozzare il fiato a migliaia di persone che non avevano idea di cosa fosse l’Isola Verde.Le riprese erano agli sgoccioli. La troupe si sarebbe trattenuta ancora per qualche giorno a Killarney, dopo aver dipinto con immagini le bellezze del Connemara e dell’Oceano visto dalla Sky Road di Clifden.Quella sera persi la nozione del tempo.Il suo tono di voce non aveva bisogno di urla per sovrastare quanto c’era intorno a noi. Talvolta capita di imbattersi in persone che ti fanno sentire a casa semplicemente con due parole.Anche se tu non vuoi. A fine serata ci salutammo e ci dicemmo addio, sotto il peso delle nostre birre.Alle volte le cose finiscono. Altre volte no.

 

La incontrai di nuovo nel primo pomeriggio seguente, per caso.Il vento stava soffiando deciso e le nuvole correvano più veloci del solitoStavo passeggiando di fronte alla Muckross House, nel Killarney National Park, beandomi dei prati rasati di fronte al lago, sperando segretamente che il cielo facesse cambiare i colori al paesaggio.La vidi poco discosta da una telecamera e lei alzò una mano per salutarmi.Anche Patrick mi vide, dopo qualche istante e fece un veloce cenno di saluto.- Ciao! - disse lei raggiante, nella pausa tra una ripresa e l’altra - Sei venuto a vedere i nostri progressi?Sorrisi imbarazzato. In fondo avevo sperato di incontrarla.- Vedi quella ragazza su quella panchina? - mi disse - E mia figlia… non è grazioso?- Ehm… graziosa, la corressi.- Ooops, scusa! - arrossì confusa. Vidi una ragazza sui sedici, diciassette anni, che sarebbe stata considerata carina non solo nel Regno Unito, impegnata a inviare sms. Un visino senza traccia della frequente volgarità adolescenziale moderna, teneva d’occhio qualcuno nella troupe, ma non feci caso a chi.- Susan è in viaggio premio - mi spiegò - alle volte la tratto un po’ come un pacco postale, su e giù per il mondo…Fui tentato di chiederle se esistesse un Mister lentiggini, da qualche parte sul suolo europeo, ma avevo lasciato a casa la faccia tosta.Alzai lo sguardo verso la troupe. Patrick il tenebroso, dai lineamenti aspri, ci teneva d’occhio.

 

Quella sera stessa ci demmo appuntamento in un altro chiassoso pub di Killarney, la solita tavolata, con me e Sally a un lato e Patrick poco più in là, a fissare la nostra crescente ed ingenua simpatia.Un cantante, con chitarra, tastiere e fisarmonica, intratteneva gli avventori.- Chi è quel ragazzino? - chiesi indicando un ragazzo riccioluto alto e magro, che mi ricordò con nostalgia l‘ingenuità dei miei vent‘anni. Il suo sguardo affondava nella Coca Cola che aveva di fronte, unica consolazione ad una legislazione alcoolica implacabile verso i minori. - E’ Victor, il figlio di Patrick. Ma tu cosa fai nella vita? - mi domandò - Vivi di rendita?- No… - risi - Faccio lo scrittore.Scoppiò a ridere. Mi domandai cosa ci fosse di così buffo.- Anche tu, anche tu! E magari hai un libro da terminare, vero?Le spiegai imbarazzatissimo di cosa mi occupassi, delle ricerche che ero venuto a fare in Irlanda. Le parlai della mia squadra e di un romanzo sfuggente, per il quale il tempo stava scivolando via.- Anche io scrivo… - disse continuando a ridere - Sto cercando di finire un libro da un anno… mi manca l’ultimo capitolo e… sono nei guai.- Un libro? E su cosa?La vidi distrarsi e perdere la concentrazione.Poi sorrise maliziosamente e mi fece segno cortesemente di tacere.In quel momento il pub si riempì delle note della ballata che ormai era la colonna sonora del mio tempo in Irlanda.Quando il brano, che buona parte del pub cantò all’unisono con il musicista, terminò, Sally si rivolse a me e mi disse.- Questa canzone è il mio ultimo capitolo…

 

Il giorno seguente, stavamo camminando lungo le rive del Middle Lake, nel Killarney National Park.Le riprese erano quasi ultimate, così Sally aveva proposto una passeggiata da soli in quel luogo incantato, dopo aver affidato la figlia a Victor e Patrick, non certo felice di vedermi nuovamente intorno.In breve perdemmo il senso del tempo, lungo la strada che sembrava uscita da un libro di elfi, gnomi e fate.- Si chiama The fields of Athenry - I campi di Athenry - spiegò. E’ una canzone terribilmente commovente, scritta all’inizio degli anni ‘70, che è diventata popolare quasi quanto Volare da voi.Feci spallucce. Volare non mi era mai piaciuta più di tanto.- Parla della Grande Carestia irlandese del XIX secolo, ed è divisa in tre strofe, le prime due narrate in terza persona da attraverso la testimonianza di un prigioniero. Egli ascolta un disperato dialogo tra una ragazza e il suo giovane sposo, incarcerato per aver rubato del cibo da dare al loro piccolo bambino. Secondo la terribile legislazione dell’epoca, il giovane sta per essere deportato nella colonia penale di Botany Bay, Australia…. Ti interessa, ti annoio?- Tutt’altro, continua… - Ero incuriosito dal seguito di quella triste storia.- Il ritornello fa pensare alla gioventù dei due protagonisti, quando correvano liberi e felici lungo i campi di Athenry, un paesino vicino a Galway. Nella seconda strofa - proseguì Sally - il giovane uomo parla dolcemente alla sua amata dalla finestra del carcere. Le dice che dovrà allevare il loro bambino con dignità… Nella terza strofa non ci sono dialoghi. La giovane donna guarda la nave prigione scomparire all’orizzonte, fino a che l’ultima luce non scompare, quasi come una stella cadente. L’ultimo verso della canzone dice che lei piangerà e penserà al suo amore lontano per tutta la vita.

 

Ci fu un attimo di silenzio che sembrò interminabile, mentre continuavamo a camminare.Avevo un groppo in gola e non me ne ero neanche accorto.- E una storia tristissima… - dissi - Stai scrivendo un libro su questa canzone?- Sto scrivendo un libro su tutte le più famose canzoni irlandesi. E questa è l’ultima che manca. Vorrei intitolarlo… aspetta, vediamo come suona nella tua lingua…? Ecco… “Grida di libertà”.Sorrise, ma si ritrasse vedendo che mi ero fermato sbalordito.- Che c’è? Che ho detto? - mi era impossibile nascondere quel sentimento di sorpresa. La rassicurai e continuammo a camminare.Grida di libertà era il titolo che avevo in mente per il mio romanzo.

 

Occorsero altre due ore per completare la circumnavigazione del Middle Lake. Parlammo di noi e del nostro passato. Il signor lentiggini viveva a Londra ed i due si erano separati da cinque anni col solo tormento della malinconia di Susan.Le raccontai delle mie vicissitudini, e lei ascoltò, rassicurante e attraente allo stesso tempo, anche nelle difficoltà.- Domani le riprese saranno finite - sospirò quando già eravamo nuovamente in vista delle Muckross House - Tra tre giorni sbaraccheremo e ognuno tornerà a casa… tre giorni. Giusto il tempo che mi resta per completare la bozza. L’editore non aspetterà. E io... non so proprio cosa fare… Non ce la farò mai.Evidentemente navigavamo nello stesso mare di coincidenze. Tre giorni era il tempo che restava anche a me, per completare il mio insieme disperato di idee.Mi disse che aveva tentato, senza risultati apprezzabili, di approfondire la conoscenza dei fatti narrati nei Fields of Athenry. Mi raccontò di essere stata, tempo prima alla cittadina di Athenry, per cercare di capire, senza risultai verificabili, se i fatti narrati nella canzone facessero riferimento ad episodi reali.Aveva cercato un Michael ed una Mary, i nomi dei protagonisti della canzone, nei vecchissimi archivi della chiesa. Aveva trovato tre coppie nei registri che potevano corrispondere, ma nessuna di loro aveva avuto un figlio maschio. Così aveva cercato di metterci una pietra sopra, ma quella canzone aveva continuato a tormentarla.L’unica soluzione sarebbe stata quella di incontrare Pete St. John, il popolare compositore, autore della canzone, per sapere se quella storia si fosse basata su argomenti reali. Ma l’autore, che tutti descrivevano come burbero e che viveva a Dublino, sarebbe stato disposto a rivelare qualcosa sulla sua canzone?- Ho un'idea, facciamo un patto! - proposi.- Io ti aiuto a fare le ricerche sulla tua canzone e tu mi dai una mano col mio romanzo… Abbiamo tre giorni entrambi, ce la possiamo fare… il Toro… la mia squadra, giocò la seconda partita proprio a Dublino… Perché non andiamo laggiù insieme?- Tu sei un pazzo…. - rise divertita, scuotendo la testa. Trattenne il sorriso.Per un attimo mi sembrò di specchiarmi in lei. In occhi che, come i miei, si stupivano di vedere, dopo avere promesso di rimanere eternamente ciechi.E dal momento che per il suo romanzo lei aveva scelto il mio titolo, in quell’istante decisi che il mio libro si sarebbe chiamato The fields of Athenry - I campi di Athenry.

 

- Perché l’hai fatto, Michael, perché…La donna singhiozzava sotto le mura della prigione.La loro piccola creatura piangeva per la fame.Più in alto, due mani di uomo afferravano le sbarre di una cella.Nonostante il suo tono di voce fosse alto, le sue parole erano solo un sussurro.- Niente ha importanza, amore mio, quando si è liberi.Sii fiera di esserlo, Mary. Cresci il frutto delle nostre vite con dignità, te ne prego… io… io… tiLo portarono lontano dalla cella.La donna si accasciò contro le mura, singhiozzando.

 

Il giorno seguente partimmo per Dublino non senza problemi.- Susan non vuole venire con noi. Vuole rimanere con Victor. - Sally gettò pesantemente la borsa nella Mini Minor noleggiata qualche settimana prima – E’ triste perché tra due giorni Patrick e Victor se ne andranno… - sbuffò – E ora che faccio?Sollevai un sopracciglio.- Ma sì - disse mettendosi al volante - che si goda questi momenti con loro, in fondo. Vorrà dire che andremo a prenderla direttamente a Galway, alla partenza della nave.Negli specchietti vidi ancora una volta il volto scuro di Patrick che guardava la Mini allontanarsi da Park Road, e quindi da Killarney.Io e quell’uomo non avevamo mai parlato, ma ci eravamo già detti tutto.

 

- C’è una cosa che non capisco… La Mini arrancava lentamente all’interno di una fila silenziosa di macchine, alle spalle di un trattore.Ero sprofondato sul sedile del passeggero, dando un’occhiata al testo della canzone, tanto per ingannare il tempo.- Qui si parla di Trevelyan’s corn, il grano di Trevelyan, che questo giovane ha rubato. Chi era questo tipo… è un nome inventato anche questo?Il profilo di Sally si irrigidì sarcastico, mentre verde e muretti a secco si alternavano oltre il suo profilo. - Sir Charles Edward Trevelyan… davvero non ne hai mai sentito parlare? - No. Era un grande uomo?- Certo. Era quello che voi italiani definireste come pezzo di m…, sia pace all’anima sua. Come vedi sono informata anche sulle parolacce della tua lingua.Mi parlò di Trevelyan, funzionario inglese di stanza in Irlanda all’epoca della Grande Carestia. Era l’uomo che aveva definito la Carestia come una punizione divina causata dal carattere degli isolani, per ridurli di numero e per frustrarne il carattere. Un modo per ridurre il surplus della popolazione. Una sofferenza per la quale le cure avrebbero dovuto essere minime. E mentre lui diceva queste parole, la gente moriva di fame per i raccolti andati a male e perché molti terreni erano stati convertiti all’esportazione proprio verso l’Inghilterra…- Che bastardo matricolato – mi lasciai sfuggire – Gli fecero qualcosa?  - Quella è gente che sfugge alle speranze di una giustizia divina – spiegò mettendosi le mani tra i capelli - Ebbe una vita lunga per l’epoca. Del resto c’è chi ha fatto di peggio. Pinochet e altri non sono forse morti tranquilli nel loro letto?La macchina, una volta che il trattore tappo ebbe svoltato a sinistra, cominciò a salire di giri, ma presto una casa viaggiante trainata da cavalli ostruì il passaggio. Sbuffai e aprii il portatile per portarmi avanti col lavoro.- Gli irlandesi hanno un modo diverso dal nostro di concepire la vita – disse sorridendo – Se una strada è stretta, è stretta. Se si va lenti, si va lenti. Non hanno la necessità di correre da una parte all’altra per poi mettersi a correre verso un altro posto ancora…Saltai a piè pari tutti i discorsi di avvicinamento. Il tempo stava volando via lontano oltre i finestrini.- Patrick non sembrava molto contento della tua ricerca a Dublino…Non passò più di un secondo prima della sua risposta, meravigliosamente pacata.- Mi stavo chiedendo quanto avresti impiegato a chiedermelo. Io e Patrick… abbiamo avuto una relazione per due anni – disse con una punta di rammarico – Venivamo entrambi dall’universo delle coppie separate e forse cercavamo compagnia. Abbiamo girato il mondo in lungo e in largo ed è stata una bella storia d’amore. E temo che per lui lo sia ancora…Ne parlava con una punta di rimpianto.- Qual è stato il problema, allora? – le chiesi sfacciatamente.Eravamo fermi a uno dei pochi semafori dell’isola.Non staccò gli occhi dalla luce rossa.- Alle volte le cose finiscono. Altre volte no.Inserì la prima e la Mini ripartì.

 

Ottenere un appuntamento con l’affermato musicista Pete St. John fu più facile del previsto e bastò soltanto una telefonata. Ci presentammo come due giornalisti e la segretaria disse che l’artista sarebbe stato lieto di riceverci la mattina seguente. Dubitammo che sarebbe stato ancora lieto, una volta fosse venuto a sapere che volevamo investigare sulle origini della sua canzone, ma non ci pensammo e trascorremmo un proficuo pomeriggio a spulciare con successo negli archivi di un giornale che ormai aveva cessato le pubblicazioni. Grazie a Sally fui persino in grado di reperire una fotografia del Toro che quel giorno scese in campo a Dublino.Trascorremmo una serata piacevole in un ristorante delizioso e ci facemmo trasportare dalla birra, fino a ridere a sostenerci a vicenda per il troppo ridere.Dormivamo in camere attigue nel nostro hotel.Restammo un po’ a guardarci sulla soglia delle porte, ma il nostro fondo di esperienza comune ebbe la meglio. Cominciai a pentirmi di non averle chiesto di passare qualche altro minuto insieme, una volta chiuso l‘uscio.Ma non importava. Trascorsi ore curvo sul portatile a scrivere il mio romanzo.Ormai si era alla stretta finale, la storia d’amore stava prendendo corpo e le notizie sulla partita avevano fatto il resto.Pochi metri più in là, credo che anche lei stesse facendo lo stesso con il suo libro.

 

Pete St. John ci soppesò, una volta postagli la fatidica domanda.Era un uomo burbero dai grossi baffi e dai capelli brizzolati, sul quale eravamo stati messi bonariamente in guardia. Ma era pur sempre la persona che aveva scritto una canzone tanto bella, ed un cuore del genere non può essere crudele e per quanto mi riguarda entrai in immediata sintonia con lui.- Mi spiace deludervi, signori. Il testo, la storia, la musica… sono state una mia creazione - ci spiegò, ovviamente in inglese - Qualche anno fa ho dovuto combattere una battaglia contro chi sosteneva che la canzone aveva parole simili ad una ballata del 1880. Ma alla fine la verità ha vinto. Mi spiace davvero di non potervi essere di maggiore aiuto…Discorremmo per una buona mezz’ora sulla canzone e lui si mostrò stupito e ammirato che un italiano la potesse conoscere. Mi chiese del mio libro, del Toro e della musica in generale.Al momento del commiato, si rivolse a Sally, interpretandone lo sguardo sconfortato - Era per lei, vero signorina…? Mi dispiace. - Sembrò sul punto di dire qualcosa, poi ci congedò senza aggiungere altro.

 

Trascorremmo il resto della mattinata e parte del pomeriggio girovagando per Dublino sottobraccio. Sally era preoccupata per l’umore della figlia.- In questi anni si deve essere affezionata alla figura di Patrick e ora gli fa male vederlo andare via. Credo che potesse essere un’altra figura paterna per lei…In quel momento il suo cellulare squillò.- Deve essere Susan - mormorò.Ma non era lei. Era Pete St. John.Io non ascoltai la conversazione, ma Sally me la ripeté tale e quale, poco dopo, saltellando per l’euforia.L’uomo diceva di essere uno stupido dal cuore tenero, che aveva riflettuto tutto il pomeriggio su quella cosa e alla fine si era fatto sopraffare dalla nostra simpatia. Disse che molti, molti anni prima, forse trenta, si era imbattuto in una curiosa signorina. La signorina O’ Pea, già avanti con gli anni, che viveva nei dintorni di Athenry. Forse lei poteva avere una storia interessante da raccontarci. Ci raccomandò ovviamente discrezione.Saltellammo felici. Il tempo stringeva e, vista l’ora, ci saremmo mossi da Dublino soltanto la mattina seguente, cercando di terminare i nostri manoscritti in serata.Ancora una volta cenammo insieme, ancora una volta ripetemmo l’esperienza della porta, ancora una volta ci separammo e ci mettemmo a scrivere. Ma quando mancava soltanto l’ultima pagina, proprio l’ultima pagina dei Campi di Athenry, il mio portatile si fulminò beffardo.

 

Avevo appena salvato il file su una chiavetta, ma corsi a bussare alla porta di Sally, per raccontarle il curioso fatto.Mi guardò per un istante e poi mi prese per la mano e mi fece entrare nella sua camera.- Dormiamo insieme stanotte - disse.Il mattino ci sorprese ancora abbracciati.

 

Partimmo senza sapere che quella giornata avrebbe segnato le nostre vite per sempre.Dovevamo fare in fretta, per giungere in tempo a Galway, alla partenza di Patrick e Victor, ma impiegammo quasi tutta la mattinata per attraversare l’isola e giungere a Pupil, una piccola cittadina nei dintorni di Athenry. Lì mi feci stampare una copia cartacea del manoscritto, mancante solo dell’ultima pagina.Dal vialetto di accesso del cottage della signorina O’Pea, la vista spaziava sui prati e gli abbozzi di collinette. Quegli stessi prati che avevano visto nascere e morire un lontano amore. Un amore che stava diventando il protagonista del romanzo che stavo scrivendo anche nelle pause tra un respiro e l’altro.La signora O’ Pea mi ricordò una caffettiera su sedia a rotelle.Benché fosse ormai vecchia più di Noè, aveva l’energia di un ragazzino.Era un tenero insieme di ossa e pelle raggrinzita, più un involucro di capelli bianchi legati dietro la nuca. Non sapeva cosa avesse fatto cinque minuti prima, ma ricordava alla perfezione che cosa fosse capitato il 22 luglio del 1938, alle 15:50, tanto per fare un esempio.Ci ricevette nella sala principale del cottage, stipata di oggetti, oggettini e soprammobili, di fronte al camino, nel quale agonizzavano alcuni tizzoni, nonostante la bella stagione.Un vecchio foglio di carta ingiallito e incorniciato, faceva mostra di sé sopra il caminetto.La nipote settantenne che l’accudiva, ci disse che la donna si affaticava facilmente e ci pregò di non insistere con troppe domande.Sally spiegò il motivo della nostra visita e la vecchia donna cominciò a borbottare come può fare soltanto una caffettiera. Non capivo una sola parola. Una sola.Parlava velocemente e con determinazione, ma il suo inglese-gaelico era per me incomprensibile.- Cosa dice? – chiesi a Sally.- Dice che la storia di Mary e Michael è vera eccome…Ci sedemmo ad ascoltare.

 

La vecchia signora ci raccontò, mentre la nipote serviva il tè, una storia che risaliva a quando lei era bambina.Diceva di aver conosciuto una ragazza di nome Emily, che le aveva raccontato la storia della propria bisnonna Mary, il cui marito era stato deportato in Australia per aver rubato un sacco di grano ai tempi della Grande Carestia. Era la storia di un grande amore, nato in quei stessi luoghi. La donna aveva sempre sperato che il giovane ragazzo un giorno fosse in grado di tornare a casa. Lo aveva aspettato ogni sera, trasferendosi a Galway per sperare un giorno di vedere spuntare una nave lontana in quella baia.Ma venti anni passarono e quando Mary capì che Michael non sarebbe più riuscito a tornare, cedette alla disperazione ed emigrò in America. Il destino fu atroce, semmai non lo fosse stato già prima. Michael riuscì a fare ritorno pochi giorni dopo che Mary e la loro creatura ormai adulta se ne erano andati.Non trovandoli più, abbandonò le speranze e si imbarcò su di una nave che lo portò definitivamente lontano.Mary tornò dall’America dopo soli due anni e quando seppe del ritorno di Michael, fu colta dalla disperazione e maledì la sua vita.Una sera però raccattò un foglio di carta, portato dal vento, nei dintorni del suo piccolo cottage. C’era scritto che quello che non era possibile in questa vita, lo sarebbe stato in un’altra. il loro grande amore non sarebbe mai morto e un giorno entrambi si sarebbero ricongiunti.La donna visse la sua vita serenamente e raccontò la vera storia di suo padre alla persona per la quale il grano era stato rubato. E di lì la leggenda venne tramandata di padre in figlio.La vecchia si fermò di botto.Ci guardammo perplessi.Niente più che una leggenda, portata dal vento su un foglio di carta.- Non mi credete vero? – disse l’anziana. Questa volta fui in grado di interpretare il suo inglese - Allora guardate sopra al mio camino! Emily era la mia migliore amica ed era sola, sua sorella si era trasferita in Inghilterra, dove aveva sposato un Ufficiale di Marina.  Questo foglio era quanto di più caro avesse al mondo… Quando morì durante la guerra, per cause naturali, volle che fossi io a tenerlo.…Ci alzammo ad osservare quel pezzo di carta proveniente da una vita passata.Erano poche righe e qualcosa, nel modo in cui erano scritte, mi colpì.

 

Don‘t cry my love.Love never dies and goes beyond lives.We’ll meet again, in another world, in another time.We’ll be together forever.

Non piangere amore mio.L’amore non muore mai e va oltre le vite.Ci incontreremo in un altro mondo, in un altro tempo.Saremo insieme per sempre.

 

La donna cominciò improvvisamente a vacillare con la testa e la nipote ci fece inequivocabilmente capire che era giunto il momento di interrompere la nostra conversazione.- Un’ultima cosa… - domandò Sally – io ho fatto delle ricerche, tempo fa. Ma del bambino di Michael e Mary non c’è traccia nei registri della chiesa…La vecchia alzò gli occhi, a metà tra il rimprovero e lo sdegno. - Chi ha mai parlato di un bambino?! Il figlio di Mary e Michael era una bambina!Poi la donna poggiò il capo sulla spalla e si addormentò.

 

Percorremmo i pochi metri che ci separavano dall’ingresso, maledicendoci mentalmente. Avevamo impostato le nostre ricerche sull’ambiguità della parola “child”, dando per scontato che si trattasse di un maschio.- Negli ultimi anni quella canzone sta vivendo un momento di grande popolarità – ci disse la nipote accompagnandoci alla porta – Prima è arrivato quell’uomo, poi voi…, anche se questa storia è un segreto.Ci guardammo sorpresi – Quale uomo?La donna fece ricorso alla sua memoria – Mi sembra fosse… tre anni fa o giù di lì. Era uno straniero, credo venisse dall’Australia… Qualcuno l’aveva indirizzato qui. Credo che pensasse di essere un discendente del Michael della canzone….Sally chiese alla donna se riuscisse a descriverlo.- Oh, era alto, un bell’uomo. Aveva capelli brizzolati e si chiamava… aveva un nome comune. Mi sembra…. Smith, sì, mi sembra proprio Smith! Diceva di possedere un foglio uguale a casa sua!Ci guardammo sbigottiti.Smith era il cognome di Patrick.

 

Sally tentò per l’ennesima volta di comporre il numero di Patrick.- Non risponde. Saranno quasi al traghetto e io avevo promesso che saremmo arrivati in tempo… - scosse la testa stravolta- Io non capisco – proseguì – Cosa è venuto a fare qui Patrick… tre anni fa…? Perché non me ne ha mai parlato.Eravamo di fronte alla chiesa di Athenry, in attesa che qualcuno ci ricevesse per una nuova e approfondita ricerca.- Hai detto che siete stati insieme per due anni? Da quando? E poi Patrick non era neozelandese?Sally allargò le braccia - Così mi ha sempre detto di essere. Siamo stati insieme… fino a due mesi fa… - replicò Sally, scordandosi di parlare in Italiano – Tre anni fa ci conoscevamo soltanto di vista… Mi misi a rimuginare, passeggiando di fronte alla chiesa. Il mio cervello diventò la fucina di un fabbro.  Pensai a Michael, nel secolo scorso, al termine della prigionia a Botany Bay.Vorrebbe tornare indietro ma non ha un soldo in tasca per imbarcarsi. Allora temporeggia. Trova un lavoro e mette da parte qualcosa. Quando torna però non trova più nessuno. Così fa ritorno da dove è venuto, o va in qualche altra parte del mondo, dove si rifà una vita, in fondo è ancora abbastanza giovane per farlo. Si risposa, ha dei figli. Ma non si dimentica mai di Mary e di sua figlia. E forse un giorno un foglio, portato dal vento arriva anche a lui. Così Michael tramanda la storia ed il foglio ai discendenti, fino a quando uno di essi, che ha la possibilità di viaggiare, non piomba in prossimità del luogo di cui ha sentito parlare… e comincia a fare delle ricerche…Condivisi il mio folle ragionamento con Sally, la storia dei fogli portati dal vento era una pura idiozia… - In parole povere Patrick è il discendente di Michael… ed è venuto qui per cercare i discendenti di Mary - terminai.Sally continuò a scuotere la testa… - Sì, ma perché allora…Il suo cellulare trillò- Sì… no… c’è Patrick vicino a te? Come no? Digli che devo parlar… Come importante? Ascolta, stiamo arrivando, speriamo di fare in… Sì, sì ti ascolto… Come? Ma tu sei matta!!! No, non scherzare nemmeno! Non se ne parla… Susan, ascoltami… Susan! – ha messo giù mormorò un istante dopo.Era la prima volta che la vedevo così. Gli avvenimenti la stavano sconvolgendo e la patina di tranquillità si stava sciogliendo.- Susan dice che vuole partire con Patrick e Victor…io non so cosa le sia preso…Avevo una mezza idea su quello che le fosse capitato, ma non osai parlargliene.- La loro nave parte tra un’ora – guardò la chiesa – non so se faremo in tempo…Non era tormentata soltanto dalla figlia o dalla scoperta riguardante Patrick. Qualcosa nel discorso della vecchia l‘aveva sconvolta. Ma che cosa?Il vento muoveva i suoi capelli, su uno sfondo di nubi violacee. Si voltò verso la chiesa- Vieni, andiamo – disse.Non le chiesi nulla. Qualcosa di folle aveva sconvolto anche me in casa della vecchia.

 

- Eccoli – disse – Eccoli! L’altra volta avevo cercato una coppia con un figlio maschio. Eravamo all’interno di uno stanzino dominato dai vetri cattedrale, sul retro della chiesa principale di Athenry, alle prese con un volume gigantesco e polveroso.- Mary Jennings e Michael Reilly, uniti in matrimonio in data 23/05/1844... Hanno avuto una bimba, eccola qui. Si chiamava Rose. La piccola Rose, nata nel 1847. Non c’è più traccia del padre, quindi siamo sulla strada giusta. Ora dobbiamo cercare la figlia, più avanti negli anni. Guardiamo nella lista dei matrimoni…Faceva tutto lei, per me era assai arduo interpretare una calligrafia in una lingua straniera.Occorsero minuti preziosi, ma la vedevo determinata ad andare fino in fondo.La trovò. Rose si era unita in matrimonio nel 1874 e dal suo matrimonio erano nati due figli. Elizabeth nel 1880 e Brian nel 1882.Elizabeth aveva contratto matrimonio all’inizio del secolo, ma non aveva avuto figli.Brian al contrario aveva generato due figlie, Emma ed Emily, nate nel 1906 e 1910.Non c’era traccia di Emma, mentre Emily era morta nel 1943.Doveva essere l’amica della signora O’Pea, l’ultima a possedere il foglio caduto dal cielo. Quella di cui ci aveva parlato poco prima.- Qui finisce la storia – dissi, continuando a fissare i due nomi affiancati – Emily non ha avuto eredi, mentre non sappiamo nulla di Emma, la signora ha detto che si trasferì in Inghilterra e quindi…Una goccia cadde dall’alto e si posò sulla pagina, accanto al nome di Emma.Poi un’altra, che si allargò a ventaglio. Poi un’altra ancora.Alzai lo sguardo sorpreso.Sally stava piangendo silenziosamente.- L’avevo capito quando la vecchia ha detto che Emma sposò un Ufficiale della Marina – parlava inglese tra le lacrime – La mia famiglia è di origine irlandese. Mia nonna sposò un ufficiale della Marina inglese e si stabilì in Inghilterra. Si chiamava Emma…. La discendente di Michael e Mary… sono io.

 

Guidavo con decisione, zigzagando tra le vetture, i cui conducenti mi mandavano puntualmente a quel paese, dimenticando la proverbiale ospitalità irlandese.Sally era sconvolta. Il momento in cui ci eravamo svegliati l’uno tra le braccia dell’altro, quella mattina stessa, sembrava distante decenni.Continuava ad armeggiare col cellulare. Susan non rispondeva e nemmeno Patrick.Doveva aver capito che eravamo venuti a conoscenza della verità, nel nostro girovagare.Patrick che aveva valicato il mondo per cercare l’amore di una leggenda lontana e se ne era innamorato realmente, per poi decidere di andarsene quando ero arrivato io.Sally aveva il volto tra le mani, voleva fermarlo.Non aveva smesso di piangere un solo istante, da quando eravamo partiti da Athenry.Cinque minuti. Avevamo soltanto cinque minuti e noi eravamo soltanto nei sobborghi di Galway.- E’ strano… - disse tirando su col naso - io… se era il nostro amore, quello che doveva tornare… intendo quello tra me e Patrick… perché ci siamo lasciati? Temo di non provare più nulla per lui. Non voglio vederlo andare via così… forse non ho riflettuto a sufficienza… - Quasi improvvisamente si ricordò di me e della notte passata. Sussurrò – Perdonami – e mise una mano sulla mia, appoggiata al cambio, ma io la ritrassi.La mia parte cinica pensò che era tempo che io la finissi di fare il taxi per gli amori altrui.Quella normale mi spinse ad andare avanti. Non per lei. Molte volte avevo puntato su cavalli che non mi avevano portato a destinazione, ed in fondo era diventata un’abitudine.No, non era per lei.Avevo intuito la verità. Quella che lei si ostinava a non vedere.Bisognava fare in fretta. Prima che quella nave partisse.

 L’ultima stella si spense contro il cielo lontano, quando la nave uscì dalla baia.Come in un flash-forward, immaginò tutta la sua vita e le preghiere che avrebbe pronunciato, per il suo amore lontano, nell’attesa forse vana che un giorno, anche quando fosse stata anziana, quella nave avrebbe fatto ritorno, e lei avrebbe potuto vederlo di nuovo, anche solo per un istante.Pregò. Pregò il cielo per quel suo amore lontano, pregò che il Signore, se la stava ascoltando lo facesse un giorno ritornare da lei.

 

Low lie the fields of AthenryWhere once we watched the small free birds fly,Our love was on the windWe had dreams and songs to sing.It’s so lonely round the Fields of Athenry

 

Abbandonammo la Mini poco distante dal posteggio, con le portiere aperte.Corremmo giù verso l’imbarco, ma a metà strada capimmo di essere arrivati tardi.La coda del traghetto diretto in Francia si stava allontanando imperiosa poche decine di metri più in là.Appoggiato alla balaustra di poppa, un uomo stava guardando immobile la cittadina allontanarsi.Sally si mise a gridare disperata.- Nooo Patrick! Noooo… ti prego fermati! Fermati - cominciò a singhiozzare.Ma non c’era tempo per farlo.Io non cercavo Patrick.Cercavo Susan.

 

Alla fine la vidi.Era in piedi, lontano, sulla cima dell’ultima scogliera che, alla destra del porto, si affacciava sull’Oceano.- Vieni! - dissi a Sally, prendendola per un braccio e trascinandola di corsa verso la collina.- Mio Dio! - gridò lei - si vuole buttare…!La trascinai a perdifiato in quella corsa disperata contro una distanza impossibile da colmare.Il profilo scuro di Susan, in bilico sull’ultima roccia, attendeva solo il passaggio della nave per spiccare un rovinoso volo sulle rocce.Ignorai le grida di Sally. La trascinai con me, arrampicandomi col cuore in gola.Sally gridava disperata il nome della figlia, chiedendo in continuazione - Perché? Perché?Non c’era tempo per rispondere a quelle domande.La nave stava sbucando dal porto e stava per passare di fronte all’alta scogliera.Corsi, gridando il nome di Susan con tutto il fiato che avevo, corsi verso sulla sommità della collina erbosa fin quando sentii che il cuore mi stava scoppiando. Corsi fino a incespicare, consapevole che non ce l’avrei mai fatta.Corsi fino a sentire il nome di Susan rimbombare nelle orecchie, anche se non la stavo più chiamando.Il nome di Susan rimbombava.Qualcun altro la stava chiamando disperato.Mi rialzai da dove ero capitombolato e guardai pochi metri sotto.Un ragazzo alto e magro stava correndo incespicando verso di lei. Quasi non mi accorsi che stesse parlando un’altra lingua.- Susaaaan ! Susaaan! Fermati! Non sono partito, Susaaan, sono sceso!Mi voltai verso Sally, carponi nell’erba, lo sguardo smarrito.- Ancora non hai capito, vero? - Le dissi - Non eravate tu e Patrick. Erano loro due, Victor e Susan. Anche loro sono i discendenti di Michael e Mary. E’ con loro che l’amore ritorna. Era il loro il grande amore…Due figure si corsero incontro, poi si stagliarono abbracciate tra le lacrime, sull’orlo della scogliera, mentre una nave sfilava sotto di loro.Potete pensare che fosse difficile per me capire.Ma l’amore non ha bisogno di lingue.Mi lasciai cadere sull’erba, sfinito.Con una gran voglia di piangere.

 

Due giorni dopo, al porto di Galway.- Tornerai ancora qui in Irlanda, amico mio? E il tuo libro? Manca solo una pagina ormai…- Troppe domande - risposi a Sally - Perderete la vostra nave - Più avanti Victor e Susan erano già saliti a bordo, mano nella mano.Si alzò sulle punte e mi baciò sulle labbra.- Ci rivedremo mai? - mi chiese sforzandosi di trattenere l’emozione.Le sorrisi. - A volte le cose finiscono, altre volte no - fui tentato di dire, ma tacqui, ricambiai il suo bacio e la vidi partire così.Alzai una mano in segno di saluto e attesi che lei, ormai distante facesse altrettanto, poi mi arrampicai sulla collina dove Susan aveva rischiato di gettarsi.

 

Il destino gioca strani scherzi alle volte.Senza volerlo, nel mio libro avevo scritto in anticipo tutto quello che sarebbe successo.Arrivai in cima.Eravamo solo io e l’Oceano, che dipingeva i contorni della nave che si allontanava ed il vento.Ero stato un mezzo, era il luogo che ci aveva chiamato per chiudere un cerchio cominciato tanti anni prima.Il vento aumentava. Sapevo quello che dovevo fare.Presi l’ultimo foglio, quello che mancava per terminare I campi di Athenry.L’inchiostro zampillò via dalla mia penna quasi da solo.Quel giorno, in casa della vecchia, ero rimasto sconvolto dopo aver riconosciuto la mia calligrafia su quel foglio vecchio di oltre 150 anni.

 

Don‘t cry my love.Love never dies and goes beyond lives.We’ll meet again, in another world, in another time.We’ll be together forever.

 

I Campi di Athenry era terminato.Pensai a noi, a tutti noi che in fondo abbiamo corso almeno una volta nella vita sui campi di Athenry. E aspettiamo seduti sulla collina della baia, una nave che forse non arriverà mai.Con un gesto improvviso gettai in aria i fogli, che presto si dispersero contro il cielo plumbeo.Alcuni ricaddero, altri turbinarono impazziti, altri ancora volarono via lontano.Ero certo che quei fogli sarebbero stati portati lontano dal vento, e forse uno di loro sarebbe volato lontano fino ad Athenry, dove sarebbe stato raccolto, in un altro tempo, da una donna disperata.Sospirai, con la nave sullo sfondo, mentre i fogli ancora volavano lontano.

 

 

Ovviamente Pete St. John (che ringrazio, pur non essendo riuscito a contattarlo), è autore unico della canzone e questa è un opera di pura fantasia. Mauro Saglietti