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I Guerrieri della notte

I Guerrieri della notte - immagine 1
di Mauro Saglietti
Redazione Toro News

Detto, fatto.Avevo appena annunciato che avrei pubblicato vecchi pezzi, in attesa di completare il mio libro.Invece, chissà come, è uscita dalla penna questa storia, che parla di una nottata di luglio che portava ancora con sé i resti di un temporale. Come uno dei tanti che si stanno abbattendo sulla nostra città in questi giorni.Questa, amici, è una storia nebulosa e tagliente, sulla quale sono state scritte poche parole.E’ una storia fatta di ombre, non ci sono nomi.E’ una storia che parla di un giorno particolare, saettante e adrenalinico senza che nessun cellulare avesse potuto renderlo più fulmineo.Di quello che credevamo un baratro, ma che era una parete verticale dalla quale stavamo appena cominciando a precipitare.Di occhi furenti o tristi nella notte, di qualcosa che per poco non degenerò in qualcosa di terribile.E’ la storia della notte nella quale ci ritrovammo tutti quanti in Corso Vittorio.

 

Pomeriggio – L’universitàLa bionda non era ancora la bionda.Ma era pur sempre la bionda in pectore. In tutti i sensi.Trascorrevamo il tempo nel divenire di una laurea che non sarebbe mai arrivata, studiando nella biblioteca del terzo piano di Palazzo Nuovo.I raggi di sole filtravano attraverso un ambiente polveroso nel concetto, prima che nella struttura, e dopo qualche ora c’era sempre chi si perdeva in chiacchiere.Ma quel giorno non pensavo all’esame (che cos’era? Filologia Germanica?), o al davanzale della bionda, seppur fosse una cosa inevitabile.- Che hai?Vaglielo a spiegare. Non avrebbe capito, come non capiscono le donne quando non capiscono, perché altrimenti uscirebbero dal personaggio.La notizia era stata data attorno all’ora di pranzo, quando ero ritornato a casa della nonna, per il pranzo.Bella la vita, eh?Si annunciava una conferenza nel pomeriggio, ma quello che avevo sentito era bastato a farmi dimenticare le bellezze che credevo irraggiungibili e che avevo lì, da anni a un palmo dal mio naso.Non c’erano cellulari, solo cabine telefoniche con le dannate schede, oppure quelle con i rotor a moneta.Stefano, il mio amico, lavorava già in banca.Era stato lui a telefonare a casa di mia nonna, dieci minuti dopo la fine del servizio del Tg, dieci minuti dopo il saettare della notizia.- …dimmi solo se stasera devo portare la fionda con i pallini…Potrebbe far ridere, ma non mi aveva fatto ridere neanche un po’.Stefano era incazzato sul serio, un po’ come me. Ma aveva in casa una fionda in acciaio, professionale. E i pallini? Pure di acciaio.Una di quelle che possono far male. Regolarmente denunciata peraltro.Cosa gli avevo detto? Di calmarsi, ovviamente.Ma la rabbia spumeggiava.Ci saremmo risentiti nel pomeriggio.Qualcosa ci sarebbe venuto in mente.

 

I rotor del piano terra ovviamente non funzionavano.Come quasi tutto quello che c’era a Palazzo Nuovo.La bionda, lei funzionava, ovviamente.Sembrava fosse lei il collante magico che permetteva a quella struttura spaventosa di non collassare, travolta da una esteriorità fatta di nulla.- Fatta la telefonata?Non avevo voglia di spiegare, di rispondere. Me la ricordo quel giorno, stranamente in nero e ancora più stranamente con i pantaloni. Poco cambiava, dava comunque più nell’occhio di un TIR tra le dune del Sahara.- Non c’era chi cercavo… Sono dovuto andare fino alla cabina all’angolo.Io non chiedevo, per non farmi del male, lei non chiedeva. Andammo avanti così per anni, come due scemi, prima di confessarci qualcosa di comune, proprio alla cabina all’angolo, ironia del destino.Ma questa comunque è un’altra storia.

 

No, Stefano non c’era.E, mentre neanche mi immaginavo gli sguardi della mia amica, digrignavo i denti, attorcigliando la carta della fotocopia sulla quale i miei occhi avrebbero dovuto concentrarsi per molto di più dei quattro secondi di quel pomeriggio.Prima Benedetti, poi Bresciani…Poi Cravero e Policano… no, non avevo perdonato Borsano già con Policano.L’ambiente era già surriscaldato ben prima della notizia di quel giorno.Sarebbe stato comunque un Torino dimezzato, appassito, moscio.La cessione di Lentini fu soltanto la scintilla.

 

Non avevo votato Borsano.Davvero, non è una balla.Quando lo dico molti mi guardano come se stessi sparandola grossa.- Ma va là, l’abbiamo votato tutti…Ed era vero, in ventimila.Ma non molti altri, tra cui il sottoscritto.Non avrei mai potuto mettere la croce lì, e non per fanatismo, convinto com’ero che sarebbero stati presto moltii transfughi che da quel simbolo avrebbero cercato un altro porto sicuro, come poi avvenne.Ma anche questo fa parte di un’altra storia.

 

E’ il luglio 1992.Amsterdam sembra ormai lontana cento anni, Mani pulite è nel pieno del suo svolgimento, la Mafia ha compiuto da poco la strage di Capaci, togliendo di mezzo uno dei personaggi che meglio di altri la stavano intralciando, e in meno di due settimane, si sarebbe liberata anche dell’ultimo scomodo impiccio alla nuova “pacificazione”.Ma siamo in pochi a soffermarci più di tanto sulla reale comprensione di quanto ci sta accadendo attorno in quel 1992.Un litro di Super costa 1480 lire e per radio imperversa Mare mare di Luca Carboni.I Gun’s and Roses fanno la parte del leone, così come, a modo loro, gli 883, mentre Elio e le Storie Tese hanno appena pubblicato il loro capolavoro, Italyan rum casusu cikty.E poi si comincia a vivere di ricordi con le varie raccolte, prima di tutte Abba Gold, a ripescare qualcosa che riempia i buchi del presente.Il Toro, come detto, si sta sfasciando.Ancora non conosciamo i dettagli e neppure immaginiamo quello che stiamo per vivere, vent’anni di quasi niente, nonostante l’avviso di garanzia ricevuto da Borsano il giorno stesso della finale di Amsterdam, abbia fatto allarmare molti.Ci abbiamo creduto, noi ingenui, fessi, ma tremendamente noi.Abbiamo veramente creduto in Borsano.E quello che andiamo a rivendicare e a piangere quella notte, dopo quel temporale, è ancora il nostro vero Toro.E tifare Toro in quegli anni significa ancora in buona parte tifare la tua torinesità ed essere fiero del tuo emblema.Non un insieme di ricordi che non si riescono a ricordare.

 

Alle 18 dimentico la bionda e i suoi occhi grigio azzurri, senza pensare ai suoi pensieri, e, dopo contatto telefonico, raggiungo Stefano.Un salto in colorificio, e poi da mia nonna.Ha un panno da stiro, la poveretta, che ha già quasi 85 anni.E’ l’unica cosa che può offrire a due invasati furenti e orgogliosi.Oltre che un panino con la frittata.Si mangia male quella sera, e anche di corsa.Ma c’è qualcosa da fare.

 

Un salto nel garage di Stefano.Basterà una sola bomboletta?“Borsano, promesse mantenute”, aveva recitato la campagna elettorale dell’Onorevole.BORSANO, PROMESSE MANTENUTE, ripete il nostro timido striscione, quasi quadrato.Ancora non sappiamo cosa ne faremo.

 

Sera – Corso VittorioLa macchina odora di vernice.Non so se prendemmo la mia o quella di Stefano.Quasi però posso pensare che fosse la sua.Una 2CV Charleston comoda quanto il Tagadà, veloce come un carretto trainato da una vecchietta e silenziosa come un aspirapolvere in tinelllo.Posteggiamo poco prima del monumento A Vittorio Emanuele II e non tardiamo a comprendere che quella sera non saremo soli.Molta gente scende (chissà perché si dice “scende “e non “sale” - forse una premonizione del nostro destino?) lungo Corso Vittorio, verso la Sede sociale.Tante persone. Oggi in molti avrebbero una maglietta, una sciarpa.Invece in quegli anni siamo tutti in borghese, avviluppati nelle giacche a vento fuori stagione.Poi, un flash, un istante.Un qualcosa che è un attimo nel presente di allora, ma che viene rielaborato nel corso degli anni, fino a diventare ironico, un twist della storia inaspettato.All’incrocio con Corso Galileo Ferraris, proprio di fronte allo Shenker Institute, ci sono tre signori che parlano.Passiamo di fianco a loro con viso truce.Abbiamo fretta ma non possiamo non riconoscere uno dei tre.E’ Sergio Rossi.In pochi conoscono questa storia. Ha un lieve sorriso, sulle labbra, quasi beffardo, forse sarcastico mentre ci guarda passare.Oppure ci guarda uno ad uno, chi lo sa.A nessuno viene in mente di fermarsi, di chiedere.E’ lui a vedere gli altri.

 

C’è già molta gente di fronte alla Sede, quando arriviamo, devono essere le 21.E molta altra ne arriverà.Allora il Toro non era un nome o un cognome, è un insieme di visi, di volti, di facce che hai avuto di fianco in Curva.Di gente a cui vuoi bene perché è così simile a te.Capannelli di ente che discutono animatamente, le voci sopra le righe.Ci avviciniamo alla sede, affacciandoci sulla via laterale, quella dove si trovava l’ingresso della biglietteria.A fianco della costruzione c’è una cancellata. Forse siamo incoscienti, forse soltanto ironici.Leghiamo lì il nostro striscione e ci accorgiamo di avere due fotografi alle spalle.Con quello che capiterà, ci saranno foto più importanti da pubblicare.Curioso, comunque.Dopo molte ore, dopo che sarà passato un tornado, lo striscione “Borsano, promesse mantenute” sarà ancora lì, testimone sorpreso degli avvenimenti.

 

I fotografi fanno il loro lavoro, scattano alcune pose ad un gruppo di ragazzi con un enorme mille lire in mano.Sono gli ultimi istanti normali prima che la storia si trasformi.Va da sé che questa non è una bella storia, né qualcosa di cui vantarsi.Ma è il resoconto di quanto successe.Siatene avvisati.

 

La gente aumenta, aumenta ancora.Qualcuno si piazza sul tratto di strada dove si è appena fermato il pullman numero 52.Il traffico viene bloccato quasi istantaneamente, per tutta la lunghezza dell’isolato.L’autista prova timidamente a chiedere il permesso di passare, poi capisce che non è il caso di insistere.La torinese TT, (non ancora GTT ed ex ATM), ha la preoccupazione di togliere il mezzo dai pasticci.Infatti il pullman, lentamente e dopo avere scaricato i passeggeri, si allontanerà dopo un’oretta in retromarcia.Un’ora nella quale succede di tutto.

 

La gente è incazzata nera.Forse quella sera c’è la prosecuzione, di un qualcosa cominciato sette anni prima, quando la gente si ritrovò nello stesso luogo per protestare contro la cessione di Serena.“Rossi, Moggi, Nizzola, è ora di finirla. I tifosi del Toro non sono dei pirla”.Questo recitava lo striscione del 1985, prospiciente la biglietteria.Una vita fa, un mondo fa.Il primo coro parte, e non è certo Rosamunda.E’ un personaggio conosciuto a farlo partire. Non un giovane, ma un signore si mezza età, molto conosciuto nell’ambiente. Dico soltanto che mi aveva sempre dato l’impressione di essere un’acqua troppo cheta, per non celare un carattere impetuoso.Non farò il nome, questa come ho detto è una storia di ombre. Ombre che si avvicinano alla porta della biglietteria e cominciano a scalciare, sfondandola.Da fuori, è tutto un attimo e c’è chi si ritira spaventato.Si percepisce soltanto il rumore della vetrata interna che va in frantumi, vetri in mille pezzi.La gente si allontana ed in molti temiamo che lì dentro possa capitare qualcosa di peggio, da un momento all’altro.Invece le ombre si fermano ed escono.E’ un attimo e la protesta si trasforma in qualcosa che purtroppo va oltre.Non sono qui a raccontare di essere la verginella di turno, amici, ma sono stato testimone di queste cose, e come tali, a distanza di quasi 20 anni, ve le racconto.

 

Alcuni cassonetti dell’immondizia prendono fuoco, arrivano i pompieri ma uno di loro è colpito alla testa da un oggetto, che lo ferisce.La gente, impaurita si raduna sotto i portici dall’altra parte della strada, e la situazione sembra placarsi, per fortuna.E’ il tempo delle discussioni, della rabbia scambiata a capannelli.In queste situazioni c‘è sempre qualcuno che ne sa più degli altri, che diceva di sapere già allora.“Borsano, veni, vidi, vendo”, recita uno spiritoso cartello, segno di un’ironia ormai spenta.Vallo a spiegare.Un signore gironzola sotto i portici con una padella in mano che tiene alta.All’interno della padella un foglio recita più o meno così: “Se questa è Borsano, e noi ci siamo dentro, dove cadremo?”.Giuro che il senso era quello, anche se le parole probabilmente furono molto diverse.Come dire, finiremo dalla padella nella brace.Possiamo fare il nome di quel signore, una persona dotata di grande ironia, che è stata colonna sonora di molti anni di Toro: Manlio Collino.

 

Quanto è passato? Un’ora? Di più.E’ il momento in cui il pullman si sta allontanando in retromarcia.Si decide di organizzare un mini corteo, che vada a manifestare sotto la GI.Ma, la società di Borsano, che ha sede alla Crocetta, proprio di fronte al Politecnico.Saremo tre-quattrocento.Io e Stefano ci teniamo nelle retrovie, parlando con un gruppo di amici, funereggiando sul Toro del domani.Arrivati a destinazione, qualcuno propone di andare a manifestare sottola sede Fininvest, che fa capo ovviamente al proprietario del Milan, reo di averci sgraffignato un giocatore fondamentale (che, per inciso, ha dovuto fuggire via nel pomeriggio, tra gli insulti della gente), ma la proposta viene abbandonata.Si torna indietro, ma durante il percorso qualcosa cambia.Capitano cose che fanno paura.Immaginate trecento persone che camminano silenziose nella notte, la polizia agli angoli delle strade.Fa paura anche a me pensarlo e raccontarlo, ora come ora.Eppure, all’epoca?E’ una riflessione che invito a fare.Un uomo abbandona la sua vettura, una macchina bianca, col motore acceso e la portiera aperta, terrorizzato.La gente passa di fianco alla macchina non comprendendo…Poco dopo però capita qualcos’altro.

 

All’incrocio con Corso Duca degli Abruzzi e Corso Qualchecosa, una macchina attraversa, solitaria e sgommante e infila il controviale del Corso, tagliando la strada al corteo.Non ci vuole molto a capire.A bordo ci sono un ragazzo con la ragazza.Forse non si rendono conto del pericolo, forse lui ha soltanto voglia di fare il bullo contro altri bulli.In realtà ha il bollino della juve appiccicato alla targa, come scopriremo in breve tempo.Scuse? Giustificazioni?Nessuna, ripeto, prima che qualche benpensante si scagli accusando di favoreggiamento o di simpatie verso le cose descritte.Sto riportando quello che successe quella notte. Cose alle quali ho assistito molto da vicino e che, grazie a Dio, non degenerarono.Salvo in un caso, che affronteremo tra breve.Sentiamo volare gli insulti, la macchina inchioda e il ragazzo apre la porta facendo il gesto di scendere.Un istante dopo la richiude sgommando e scappando via, mentre sul baule posteriore si abbattono bottiglie scagliate dalle prime file.Tutto questo mi intimorisce. Decidiamo di tornare alla sede più defilati.Il corteo prosegue senza altri incidenti fino alla sede, ma lì di fronte altre persone, che si sono unite, propongono di proseguire in Via Roma, che non dista molto.Il Corso è ancora tutto bloccato e la gente non accenna a diminuire, benché debbano essere ormai le 23.E’ lì che succede il patatrac.

 

- Che facciamo, continuiamo?- Ma, dai, arriviamo fino in…Siamo in Piazza Carlo Felice, carreggiata Ovest, quasi all’angolo con Corso Vittorio.Il corteo sta passando attraverso le auto che arrivano da via Roma.Qualcosa sta capitando, più avanti. Qualcosa di serio e brutto.C’è un ragazzo in piedi su una macchina. Sentiamo rumore di vetri che vanno in frantumi e…E poi due fari e un rombo.Due fari e un rombo che tagliano la folla.Ho ricordi devastanti di quel momento.Ricordo ad esempio di aver fato in tempo a buttarmi sulla destra.La macchina, impazzita, ma che pure è partita da ferma, colpisce due ragazzi, uno dei quali rimane a terra tenendosi la gamba, poi va a finire contro le auto in sosta sulla destra.In tanti, parecchi, si lanciano sull’auto, che ha già i vetri rotti e la tempestano di calci e pugni, urlando – Bastardo!!!Io cerco Stefano, non lo vedo, temo che sia stato investito, ma non è così.Poi, qualcuno, che ha la lucidità mentale e la presenza di spirito di farlo, allontana gli altri dalla macchina.Al volante c’è una ragazza, al suo fianco un’altra.E’ riversa sul volante e sta piangendo, disperata e shockata.Il ragazzo le dice “Respira, respira…”

 

Era una Super5 rossa, lo ricordo bene, e potete anche bene immaginare quale fosse il motivo per cui era stata presa di mira.Quella notte si è rischiato davvero tragedia in quell’istante.Non dimenticherò mai i fari ed il rombo.E spesso mi sono messo nei panni di quella povera ragazza, chiunque fosse.Tu sei lì, che fai la tua vita ed improvvisamente ti piomba addosso l’inferno, e la tua vita è sconvolta in mezzo secondo.- Io ne ho abbastanza, torno indietro - dico.E Stefano viene via con me.A quel punto buona parte della gente torna indietro, anche se il corteo proseguirà per una Via Roma ormai deserta, con le auto della Polizia lanciate ad alta velocità per cercare di disperderlo, ed altri fatti inutili da raccontare.

 

Notte - Corso VittorioIl panno da stiro di mia nonna campeggia solitario tra vetri e la recinzione diversa.La gente comincia a defluire, mentre mi attardo a parlare con una persona che per molto tempo aveva condotto una trasmissione televisiva sul Toro, su di un canale privato.Una persona che apprezzavo moltissimo, senza peli sulla lingua, che aveva pagato per la sua sincerità, venendo estromesso per questo dalla trasmissione.Una persona che, con toni lucidi e rasoiate di pensiero, anticipava il destino che ci attendeva.Non l’ho mai più rivisto e non so più nulla di lui.Si chiamava Vito, questo ve lo posso dire.Ce ne andiamo.Con molta più confusione in testa di quella che avevamo al momento del nostro arrivo.Un carro attrezzi sfreccia via con la Renault Rossa sopra.Ci guardiamo senza parlare.Forse non sappiamo neppure noi cosa dire.E chissà se abbiamo compreso.

 

Epilogo - Il giorno dopoMio padre mi telefona all’alba, mia nonna idem.Dal giornalaio si parla di quanto capitato poche ore prima.Ma percepisco che nessuno ha compreso il vero motivo per cui molta gente era andata in Corso Vittorio.Il Tg1 parla di “Notte di terrore a Torino”.Insomma, il messaggio che passa è quello di gente andata lì a fare violenza per il gusto di farla.La bionda mi raggiunge in biblioteca e mi dice “Dimmi che ieri sera non c’eri”.Non parlo. Non capirebbe.E forse, non ho capito nemmeno io.

 

Sono passati 19 anni, questa è una storia mai raccontata nel dettaglio.Ed è una storia piena di interrogativi e di domande aperte.Perché volente o nolente, gli anni ti cambiano, ti aprono processi interiori.E soltanto dopo molto comprendi una parte di quello che hai messo in gioco.Non ho mai fatto parte della tifoseria organizzata e la mia visione è quella di una persona che ha la telecamera puntata da 45° e non voglio parlare di cose che non conosco. Però, a torto o a ragione, io ero in quel corteo col mio amico, seppur nelle retrovie, seppur in disparte.Sì, sì, questo potrebbe essere una scusante in fondo.Ma una scusante di che?In fondo eravamo lì per sostenere la nostra rabbia ed il nostro orgoglio di essere del Toro.Poi ci penso e ripenso.E mi rendo conto di quanto mi incazzo oggi di fronte a situazioni simili, di fronte a persone magari ventenni, delle quali io riesco probabilmente a vedere soltanto una parte.E allora chi ha ragione in tutto questo?L’Io ventenne, che andò a protestare la sua rabbia? Che partecipò agli avvenimenti di quella sera?O l’Io quarantenne, che accumula le sue esperienze per dare i suoi giudizi?O il ventenne di oggi, che non prende neanche in considerazione il fatto di non aver ragione, come il me di allora, e reclama allo stesso modo rabbia e orgoglio.Benché il gap tra le due generazioni sia enorme.E allora, davvero, chi ha ragione?Guardate, non è una domanda da poco.Io non so dare una risposta.E soprattutto mi chiedo: ma ne è valsa la pena?Di vivere sulle barricate? Per qualcosa che ci è stato sottratto nel corso degli altri.Per qualcosa che vive da vent’anni nei nostri ricordi?Alle volte mi sento un po’ come quella sera, quando rincasammo vuoti e pensosi.E, sapete, credo di averci capito davvero poco.Forse davvero poco. Mauro Saglietti

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