Aprile 1995 - Roma, scantinato. Mi dai una mano?- Ahò, ma non te la puoi cavare da solo? Sto spostando questi schedari… mamma mia... Qui nessuno scende più da una vita…- Sì, ma qui ci sono dei mobili da spostare…, dai aiutami.L’uomo bruno sbuffò e lasciò cadere la borsa con la carta che stava accatastando, aiutando l’amico a spostare il pesante scaffale appoggiato contro il muro.- Non è meglio se togliamo i libri prima? – chiese l’uomo più giovane- Baaaah! Dai che famo più in fretta così… nun sta a scassà… al tre... 1…2… e 3!!!Con grande sforzo i due uomini sollevarono lo scaffale. Il mobile traballò e si inclinò. Un paio di dossier caddero, ma alla fine i due riuscirono a spostarlo in mezzo alla sala della cantina, dove nel corso della giornata avevano radunato tutto il ciarpame.- Te possino…L’uomo bruno si asciugò il sudore dalla fronte, massaggiandosi la schiena, poi si voltò verso il compagno e la sua espressione mutò improvvisamente.- Oddio, e quello che è?- Quello cosa? – chiese l’uomo più giovane, poi vide che il suo collega stava guardando poco oltre le sue spalle, in direzione della parete dalla quale avevano appena rimosso lo scaffale.Si voltò e la sua espressione sbiancò- Ossignore… - mormorò.Si avvicinò cauto.Il muro nascondeva una nicchia, che era stata nascosta dallo scaffale.Ma la nicchia non era vuota. Era riempita quasi per intero da un qualcosa.- Ma che è questo?- Non… sembra un mobile…- Un mobile senza porte e con una catena attorno? Avevano paura che scappasse?- No, ha le porte, ma è girato al contrario…
mondo granata
I miei occhi non dimenticano
8 Agosto 1995 - Italia, autostrada, verso il confine, ore 21:00L’uomo con i baffi imboccò la corsia dell’autogrill e si rilassò, mentre vedeva scendere la lancetta del tachimetro.Guidava da quasi cinque ore senza soste e, benché la vettura, fosse dotata di ogni confort, la sosta appariva come un’oasi per i suoi pensieri nebulosi.Da sempre adorava gli autogrill, con la loro atmosfera da luna park zuccheroso.Quando la macchina si arrestò nell’oscurità, si lasciò andare per qualche istante contro lo schienale di pelle chiudendo gli occhi.Quanto gli sarebbe piaciuto che tutto fosse già finito! Un battito d’ali, un colpo secco e tornare da dove si era arrivati, a una vita normale, a una famiglia, alle luci che si spengono fuori dalla finestra mentre la notte avanza.Aprì la portiera. Venne investito dal fresco profumo delle montagne, che nel crepuscolo annunciavano note di un cambiamento non più lontano.Si mise la giacca sulla spalla e si avviò verso la tavola calda, augurandosi che fosse ancora aperta.Una volta seduto, ordinò un panino e una birra, non voleva dare nell’occhio.Mentre mangiava, estrasse dalla giacca il portafoglio, dal quale sfilò una piccola foto.Un altro viso. Un altro obbiettivo. Si chiese se ne sarebbe stato capace, se ce l’avrebbe fatta...
9 agosto 1995 – Austria, Kitzbühel, ore 4:00.Sentiva correre qualcuno su per il bosco. I passi erano confusi, di corsa.Sentiva una voce gridare – Scappa… Scappa… Ma lui, o il protagonista di quel sogno, non riusciva a scappare, non voleva scappare.Si dibatté nel lucido incubo, cercando di trovare una spiegazione razionale. Sì… stavano venendo per prendere il piccolo nipotino, la persona che più di tutte amava al mondo. Era lui ad essere in pericolo!Doveva c’entrare quella storia che si sentiva in giro, di cui parlavano i giornali. Certo! Qualcuno aveva messo gli occhi sul suo nipotino e ora stava correndo su per il bosco, per venirlo a prendere. Sentiva delle urla, anche il crepitio degli spari… il nipotino era in pericolo, era in pericolo…Invece di svegliarsi da quell’incubo, tutto diventò buio e l’aria di quel bosco si riempì di un odore che sapeva di marcio. C’era qualcosa di sinistro, che portava dentro di sé un fetore profondo… e si stava avvicinando.La Bestia. La Bestia col suo fetore immondo stava arrivando a prenderlo.
L’anziano si svegliò urlando, mettendosi a sedere di scatto sul letto.- Che fai, misericordia? Svegli il bambino? – lo scosse la moglie spaventata.- Bambino… Stanno venendo a prenderlo… ci sono i passi, qualcuno corre nel bosco…- Svegliati! Mi ascolti? Svegliati! – La moglie lo scosse più forte, fin quando il suo pallido sguardo illuminato dalla luna non torno, con espressione stranita, a riconoscerla.L’anziano si lasciò lentamente scivolare tra i cuscini, sbuffando e portandosi una mano alla testa.- Ancora quegli incubi? – gli chiese la moglie passandogli una mano sulla fronte – Dovresti farti vedere dal Dottor…- Nessun Dottore – sbottò deciso – Sono sicuro che il bambino sia in pericolo. E’ come se qualcuno me lo suggerisse… - Aveva lo sguardo affaticato e rugoso, ai lati di quello che restava di una capigliatura un tempo imponente.- Basta con questa storia… Sta diventando un’ossessione…- Hai sentito anche tu il notiziario stasera, vero? Ne hanno trovato un altro. Capisci? Un altro! C’è un killer che va in giro per tutta l’Austria ad assassinare bambini e io devo stare tranquillo?- Il bambino qui con noi è al sicuro - la donna scosse la testa e si girò sull’altro fianco.L’anziano si alzò lentamente per andare a bere un bicchiere d’acqua.Sapeva che i suoi incubi non erano suggestione. Avevano avuto inizio molto prima che la notizia dei tre omicidi cominciasse a trapelare. L’uomo in realtà non si diresse verso la cucina, ma fece una deviazione verso la cameretta del nipotino di cinque anni. Gli piaceva guardarlo dormire. Per anni sembrava non dovesse arrivare, ma quando era capitato la gioia era esplosa nelle sue vene.Quanti giorni ancora sarebbe potuto rimanere con i suoi nonni nella casetta estiva vicina ai monti? Forse dieci? Oppure erano nove? Sempre pochi. Il giorno seguente sarebbe arrivato Stefan, suo figlio con la nuora, a far visita a loro e al bambino. Gli avrebbe esposto tutte le sue paure per il piccolo Kurt… No, non avrebbe parlato degli incubi, quelli no. Ma non poteva allontanare la sensazione di pericolo.
Aprile 1994 - Roma, scantinato- Mi chiedo a chi è saltato in mente di girare un armadio al contrario – si domandò il Magistrato mentre l’operaio stava lavorando con la tronchesina - E per giunta di avvolgerlo con una catena! Come minimo qui dentro ci deve essere il Santo Graal…L’armadio doveva essere stato chiuso per decenni e ovviamente in tutto l’edificio non c’era traccia della chiave. Il magistrato sbuffò. Ai piani superiori c’erano affari più importanti che attendevano, ma una soffiata gli aveva detto di scendere in tempo per la cerimonia di apertura. Soffiata che era arrivata anche al solerte Funzionario, che in quel momento si trovava al suo fianco e che mal tollerava la sua presenza in quella cantina. Poco male. Con ogni probabilità avrebbero trovato una raccolta di riviste pornografiche che qualcuno aveva nascosto negli anni ‘30 e che oggi avrebbero spopolato su e-bay. Oppure qualche informazione riservata sulle persone che avevano lavorato in quell’edificio nel corso degli anni.Quando la catena cedette, l’operaio dovette forzare le porte dell’armadio, anche esse chiuse a chiave e gonfie di umidità, che si aprirono con rumore di legno strascicato.Il Magistrato e il Funzionario quasi non si colpirono con la testa, mentre si sporgevano verso l’interno e la luce di una torcia illuminava non il santo Graal, ma un insieme di vecchi volumi legati con lo spago e pieni di vecchie carte.- Lo immaginavo, scartoffie, una perdita di tempo. – disse il Funzionario. Fece ritorno ai piani superiori sbuffando e pensando ad altro. Il Magistrato invece aprì un dossier, poi un altro. Poi un altro ancora.Sgranò gli occhi e neanche si accorse di essere rimasto solo in cantina.- Oh mio Dio… - pensò con un filo di emozione.Si guardò intorno e vide soltanto ombre.Era rimasto da solo.
Aprile 1994 - pochi giorni dopo - in un ufficioIl magistrato aveva appena finito di appendere al muro una grande cartina dell’Italia.Gli sarebbe piaciuto un qualcosa di più particolare, ma non avrebbe voluto insospettire il Funzionario.- Ancora alle prese con quella cartaccia, Magistrato? – gli aveva chiesto sporgendosi nel suo ufficio.- Triste fine – aveva mentito lui – Qui si fa carriera al contrario e si diventa archivisti.Lo aveva guardato andarsene da sopra le lenti. Sapeva bene che il Funzionario era uno sleeper, ne aveva visti tanti nel corso degli anni.Un personaggio all’apparenza bonaccione, ma che aveva il compito di riportare a chi di dovere qualsiasi notizia o voce che potesse essere ritenuta pericolosa.Ma il Magistrato sapeva bene che quello lì non aveva né la testa, né tanto meno la profondità per capire quello che l’armadio aveva rivelato. Per uno come lui, quelle scartoffie non potevano rivelarsi un pericolo immediato.E invece…Si portò alla cartina contrassegnò con un piccolo cerchio di matita un punto del litorale romano.Da lì, tracciò una linea verso nord. Poi un’altra retta, fino ad arrivare in Toscana. Accanto ad ogni punto scribacchiò una piccola data. Marzo, Aprile, poi Luglio…Tracciò altre linee che arrivarono alla Versilia. Di qui le linee curvarono verso l’entroterra, accompagnate a date che riportavano il mese di Agosto.Sempre consultando i fogli che aveva a disposizione, il Magistrato tracciò brevi linee, che conducevano a luoghi toscani separati da un intervallo di tempo di soli uno e due giorni.Quando ebbe finito, arretrò di qualche metro per visionare l’opera nel suo complesso.Non c’erano dubbi sul percorso. Dove finiva però quella linea, della quale si perdevano le tracce dopo l'ultimo tratto di matita?
9 Agosto 1995 - Kitzbühel, parco giochiGli incubi della notte svanivano durante il giorno e sembravano lontani, tanto da metterli in dubbio.Il vecchio si chiese da quanto stessero andando avanti. Forse da sempre, ma ultimamente contenevano una minaccia che una parte di sé riconosceva, legata ad un meandro della memoria che non riusciva più a controllare.Guardò Kurt sulla giostrina. Da quando i genitori lo avevano portato da loro a Kitzbühel, si divertiva un mondo con gli amichetti che aveva conosciuto. Facce da bravi bambini, profili conosciuti. Eveline era la sua amica del cuore, aveva cinque anni, un anno in meno di Kurt e due occhi verdi e profondi che lasciavano immaginare il suo futuro da ragazza affascinante.- Vieni a spingere la giostra, nonno?
Ottobre 1994 – Appennino ToscanoIl Magistrato lasciò la macchina appena all’imbocco del piccolo viale, che qualcuno teneva in ordine con tanta cura.Dunque era quello il posto.Non si sentiva nulla, neppure un cane che abbaiasse. Solo il lento rumoreggiare del mondo distante, che rendeva il luogo ancora più pieno di pace.Gli sembrò impossibile.Chiuse gli occhi e tentò di immaginare come dovesse essere stato…Li riaprì e camminò a testa china, con le mani dietro la schiena, fino al monumento.Rimase per qualche istante a meditare, sul margine di quel paese fantasma.Quando si voltò, si trovò di fronte la figura di un uomo.Il Magistrato era disarmato e capì di non potere difendersi.Ma era la figura scura e curva di un vecchio.- E’ lei che è venuto ad indagare, vero? Scommetto che viene da lontano…Il Magistrato trasalì. Nessuno era a conoscenza delle sue ricerche.- Come lo sa? – disse cercando di nascondere l’emozione per lo spavento di poco prima.L’uomo fece un mezzo sorriso nella sua parlata toscana. - Uomini non se ne vedono molti da queste parti. Non come lei… - poi indicando il paese disse – Io ho visto tutto, sa? Se vuole le racconto la storiaI due uomini si incamminarono lentamente verso il viale.
10 agosto 1995 – Kitzbühel, funivia di Hannenkahm- Questa qui sotto è la pista dove fanno la discesa di Coppa del Mondo, guardate! – disse il nonno al nipote e ai sette suoi amichetti. Avevano a disposizione un’intera cabina della funivia che da Kitzbühel sale fino alla stazione del monte Hannenkahm. Il sole pomeridiano diventava più intenso man mano che dalla cabina rossa cominciavano ad intravedersi nuove e distanti catene montuose.Il vecchio uomo aveva acconsentito volentieri alla loro richiesta di un qualcosa di diverso dal solito parco giochi della cittadina, e aveva pensato ad una gita sul non lontano monte Schwarzkogel.
Una volta scesi, la comitiva si incamminò sulle strade sterrate che correvano pianeggianti lungo i prati erbosi della quota 2000. Quando giunsero sulla cima del monte Schwarzkogel, dopo una breve salita, i bambini si misero a giocare sui prati inondati dal sole, sotto l’occhio vigile del vecchio.Gli sembrava impossibile che una tale sensazione di pace potesse incombere sotto la spada di Damocle dei suoi incubi.E del pericolo che continuava avvertire.Poteva essere la presenza di quel maniaco che aveva già colpito più volte in Austria?- Nonno Manfred che hai, non giochi con noi?L’uomo non disse nulla e continuò a guardarli.Poco distante, un uomo coi baffi che stava addentando un panino su una roccia poco distante, teneva d’occhio la scena, senza minimamente destare sospetto.Sogghignò compiaciuto. Il suo obbiettivo era vicino.
Novembre 1994 – BudapestIl vento soffiava forte in fondo al battello e la bandiera sembrava imbizzarrita.Così, appoggiato alla balaustra posteriore, il Magistrato sarebbe stato un obbiettivo indifeso, mentre era impegnato a guardare il solco della barca.Ma, inutile illudersi, quelli non erano più i tempi dell’Italia delle spy-story, dell’Italia dei misteri. Tutto era stato sepolto e nessuno si sarebbe preso la briga di pedinarlo fino a lì, del resto la sua indagine non aveva neanche catturato l’interesse del Funzionario.Il Magistrato aveva addirittura fatto in modo che l’armadio fosse rimesso nella posizione originale, vuoto naturalmente, girato e nascosto alla vista. Faceva molta più paura un vecchio armadio in piena vista, che un cumulo di segreti nascosto e sprangato con una catena.Sospirò. La giornata imbruniva.Da dove avrebbe cominciato il giorno dopo? Dall’archivio dei giornali? Dall’Università? Dai suoi contatti ungheresi…? Chissà per quale motivo si era messo a seguire proprio quella strada, quella strada? Dove lo avrebbe condotto quella storia? Guardò ancora la città acque prima di sprofondare lo sguardo nel solco dell’acqua, sempre più scuro.
10 agosto 1995 – Kitzbühel, sera, casa del vecchio Manfred, ore 20:30- Sono contento che tu sia arrivato - disse il vecchio al figlio Stefan, poco dopo la cena.Stefan gli sorrise, anche se gli parve che il vecchio padre fosse strano. Nonostante avessero più di trentacinque anni di differenza, c’era sempre stata molta empatia tra loro - Stefan, voglio parlarti, riguarda Kurt, temo sia in pericolo.Stefan, che stava ancora rimuovendo le valigie dalla sua Audi, trasalì. Aveva sempre conosciuto suo padre come un uomo rigido e severissimo e non era abituato a vederlo come quella sera. Una figura ormai invecchiata più dei suoi anni, che sembrava scossa fino alle ossa dal vento del Tirolo.- Come? - disse, poggiando a terra una 24 ore. Manfred andò direttamente al sodo. Era sempre stato un uomo d’azione energico e, nonostante i suoi fantasmi, non ritenne opportuno tergiversare.Brevemente ma con precisione, espose al figlio tutte le sue preoccupazioni. Parlò con riluttanza delle sue sensazioni, del senso opprimente di pericolo... Ed era quasi sicuro che qualcosa di brutto stesse per capitare a Kurt. I suoi sogni non sbagliavano, disse. Ed era sicuro che queste premonizioni potessero avere a che fare con il rapitore di bambini per il quale l’Austria intera stava tremando. Chiese al figlio, a malincuore, di portare via il nipote. Lontano, a casa, al sicuro.Stefan credette di non riconoscere più suo padre. Da quando in qua credeva alle premonizioni? Proprio un uomo come lui?- Ne parliamo domani, papà... Oggi sono stanco - Stefan sfilò l’ultima valigia e si avviò verso la casa.Il vecchio Manfred vide Kurt ed Eveline giocare sulle altalene del prato che portavano ai pendii di Hannenkahm. Ormai la luce della giornata stava svanendo.- Kurt! Vieni in casa, è tardi adesso!- Subito, nonno Manfred! - rispose il piccolo, staccandosi da Eveline.Stefan, ormai sulla soglia di casa, si imbatté nella madre. Probabilmente aveva ascoltato il discorso tra i due uomini, di pochi istanti prima. - Anche io ti devo parlare, Stefan… - disse al figlio.- Un’altra volta mamma… - rispose Stefan, ancora visibilmente scosso - passando oltre.L’uomo coi baffi osservò la scena, nascosto nella sua vettura poco distante.
Dicembre 1994 – TorinoL’anziana donna introdusse il Magistrato nel salotto.Era una casa piena di oggetti e tappezzerie anni’60 nella quale il tempo sembrava essersi fermato.- Non ho mai avuto il coraggio di affidare mia sorella da un Istituto, disse l’anziana donna versando una tazza di the al Magistrato – Credo che la vita abbia già abbastanza crudele con lei, non crede?- Sua sorella è… lucida in questo momento? – azzardò timidamente il magistrato, sorseggiando lentamente il suo the.La donna lo guardò da sopra le lenti – Mia sorella sa chi è. Ma ha perso la cognizione del luogo e del tempo. Per difendersi ha costruito la sua vita come se fosse una favola… scappare da quei luoghi non è servito a nulla... Comunque non credo che ormai riuscirà a tirarle fuori molto. Io conosco tutta la storia, comunque, forse potrò dirle qualcosa in più.La donna indicò la cartellina del magistrato – Non credevo che qualcuno avrebbe mai bussato alla nostra porta…Non c’è mai stato nessuno prima di oggi…- Vorrei vedere sua sorella – disse laconico il Magistrato, dopo qualche secondo.
La camera della anziana donna sembrava quella di una ragazzina. C’erano bambole ovunque. Sul letto, sugli scaffali e sul tavolino del trucco.I raggi del pallido sole trafiggevano le tende e illuminavano la polvere sospesa nella stanza.La donna era seduta su una sedia a dondolo, i lunghi capelli bianchi sulle spalle.Stringeva una bambola consunta al petto, che sembrava avere due smeraldi al posto degli occhi.- Questo signore è venuto a trovarti, Anna. E’ arrivato da molto lontano… vuole che gli racconti la storia.Il magistrato si abbassò di fronte alla donna, fino a incrociarne lo sguardo.- Non mi piace raccontare quella storia. Volevano far male alla mia piccola… - indicò la bambola. Poi si aprì in un candido sorriso verso il Magistrato.- Ha visto quanti bambini? Sono tutti suoi amici – indicò la bambola che stava accarezzando – Quanti bambini ci sono! Giocano tutti i giorni nella piazza…Vuol conoscere il suo nome?La donna rivelò al Magistrato il nome della bambola e poi, quasi come fosse una favola, raccontò la sua storia, quella per cui il Magistrato era venuto fino lì.Quando ebbe finito, riferendosi alla bambola, disse – Mi ha detto che vuole venire con lei. Fino a quando tutto sarà finito. Solo allora me la riporti…Il Magistrato uscì da quella casa con la vecchia bambola di pezza consunta tra le mani.La mise nel baule posteriore della sua vettura e non poté fare a meno di soffermarsi sulle due gemme scintillanti che aveva per occhi. Poi ripartì, ripetendo come una cantilena il suo nome.
11 agosto 1995 – Kitzbühel, ore 2:00- Devi scappare su per la montagna, scappa, scappa, stanno arrivando… ti prego, SCAPPA!- Io non voglio andare via da te, nonno!- Devi farlo, senti i passi, scappa!L’incubo non gli impediva di udire il latrato dei cani tutto intorno e le grida feroci di chi li stava inseguendo su per la montagna. In lontananza gli parve anche di udire scoppi che potevano essere quelli dei cacciatori poco distanti.Vecchio stupido, si disse. Non si cacciava in quelle montagne. Quelli erano spari, tutto intorno.Qualcuno urlava, i colpi si susseguivano e l’aria si stava riempiendo di un fumo acre.Il fuoco crepitava e portava con sé legna bruciata, e qualcos’altro… cos’era quell’odore?Carne bruciata?- Scappa! – gridò ancora. Vai, tu che sei veloce, scappa...Ma era tardi, troppo tardi. La Bestia, o quello che era, li aveva raggiunti.
Il vecchio Manfred gridò di nuovo e si svegliò.- Lunedì ti porto dal Dottor Scholtz – disse laconica l’anziana moglie.Lui non aveva voglia di discutere. Il piccolo dormiva nella camera con i suoi genitori e quel pensiero di sicurezza bastava.Ma il pericolo, lui lo sapeva, era ogni istante più vicino. E forse li spiava.Poteva avvertirlo lui stesso. Forse era già dietro quelle finestre che aspettava il momento opportuno…
Quel giorno Manfred portò nuovamente il nipotino ed i suoi amichetti alla stazione di Hannenkahm.Lungo il percorso continuò a voltarsi. Non era più un occhio di lince, ma era sicuro che ci fosse qualcuno nell’ombra pronto a spiare e colpire. Decise che se Stefan non lo avesse ascoltato, il giorno seguente si sarebbe recato alla polizia, per esporre i suoi pensieri.
11 agosto 1995 - Kitzbühel, fuori dalla casa di Manfred ore 23L’uomo coi baffi fu tentato di accendersi una sigaretta all’interno dell’auto, ma poi cambiò idea. Un lumino nel buio avrebbe potuto essere facilmente individuato.L’ultima luce all’interno della casa si era spenta da poco, l’aveva vista dal posteggio poco distante. Ancora poche ore, dunque. Gli uomini che aveva contattato sarebbero entrati in azione con lui alle 7 di mattina. Il suo compito era soltanto controllare che il suo obbiettivo non si allontanasse dalla casa.Sospirò allungando i piedi. Si sentiva stanco e forse avrebbe potuto permettersi di dormire un paio d’ore…
12 agosto 1995 – Kitzbühel, ore 5:45Quella volta Manfred si svegliò di soprassalto, non ci furono incubi.Ma fu come se una lama di gelo lo avesse colpito. Aveva paura. Una paura che non aveva mai avuto in tutta la sua vita.Era madido di un sudore che si stava condensando sulla sua pelle.C’era qualcosa che non andava. Il bambino era in pericolo e quel freddo lo paralizzava.Sperò che il freddo facesse parte dell’incubo.Ma quello non era un sogno. Una corrente fredda lo stava investendo in pieno.La porta! La porta di ingresso doveva essere aperta…!Si alzò dal letto, incurante dei lamenti della moglie, e si precipitò in corridoio.La porta era spalancata.Il cuore gli balzò in gola… un ladro? Il killer? Il bambino doveva essere in camera con i genitori…No.Vide, attraverso la porta spalancata, il prato che saliva verso Hannenkahm. Kurt era lì e stava salendo verso la montagna.Più in su, all’ingresso del bosco Manfred vide Eveline la bambina dagli occhi verdi.- Kurt!!! - gridò il vecchio Manfred gettandosi nel vialetto.La ghiaia quasi gli conficcò nei piedi nudi, mentre trotterellava goffamente verso il nipote.- Kurt! Kurt! Dove vai? Dove stai andando? - gridò con voce roca.Kurt, che era quasi arrivato all’inizio del bosco, si fermò e si voltò lentamente.- Kurt, dove stai andando? Vieni qui! Torna indietro…- Sto andando con Eveline a giocare nel bosco… - il bambino sussurrò, ma il vecchio poteva sentirlo distintamente, nonostante la distanza e la penombra che annunciava il chiarore.Così come poté vedere gli occhi della bambina.Carichi di odio.
12 agosto 1995 – Kitzbühel - pochi istanti più tardi- Kurt! Kurt! - gridava qualcuno fuori dalla macchina.L’uomo con i baffi si svegliò di soprassalto, preso in contropiede e confuso.Dannazione, pensò. Era troppo, troppo presto… Mancava ancora un’ora all’appuntamento con gli altri uomini. cosa stava succedendo?Vide Manfred Wenkellmann correre in pigiama nel vialetto di accesso della sua abitazione.L'uomo si contorse per guardare il pendio della montagna e vide il nipotino Kurt camminare spedito verso il bosco.Qualcosa di strano stava capitando.Poteva essere tutto, anche una messa in scena.Scese dalla macchina e decise di agire, anche senza copertura di uomini ed armi.
12 agosto 1995 – Kitzbühel - stessi istanti- Che succede? Chi è che sta gridando… Kurt… O mio Dio! Dov’è Kurt?Stefan fu svegliato dalle grida disperate della moglie.- Kurt… Kurt… - La donna girava per la strada in stato confusionale - Il bambino! Dove è sparito…?Il marito si gettò giù dal letto proprio mentre si accorsero delle grida di Manfred, provenienti dall’esterno.La donna uscì per prima e si arrestò di colpo.Vide il piccolo Kurt che stava entrando nel bosco e Manfred che arrancava su per la collina tenendosi una mano sul fianco. Stava per gridare, quando scorse un uomo nel prato alla loro destra, che si stava gettando all’inseguimento del vecchio e del bambino.- Oh no... No.. No! Il... Il killer! Kurt!!!!Stefan in un attimo tornò in camera, raccattò qualcosa e si gettò lungo il pendio, in tuta e a piedi scalzi, tagliando la strada allo sconosciuto.Il figlio di Manfred gli puntò una pistola in faccia.- E ora a noi due, figlio di puttana! - disse ringhiandoL’uomo alzò le mani e vide in lontananza Manfred Wenkelmann scomparire nel bosco.
12 agosto 1995 – Kitzbühel - nel bosco, ore 6:00Il vecchio tossiva, mentre si arrampicava su per il bosco.Da quanto tempo stava correndo? Sentì il suo vecchio cuore malandato che pulsava sangue nelle tempie. La suola dei piedi era scarnificata in più punti, dove si erano conficcati sassolini e spine e gli sembrava di camminare su dei chiodi affilati, ma non era il dolore a preoccuparlo.Si fermò, appoggiandosi su di un albero, per prendere fiato. Vomitò. E alle narici gli tornò il fetore profondo che aveva spesso popolato i suoi incubi.Kurt, poco sopra, continuava a camminare e correre, inseguendo Eveline, che diceva - Dai, Kurt, vieni a prendermi... – E rideva… rideva in modo sinistro.La mente confusa di Manfred si chiese come avesse fatto quella bambina ad uscire da sola di casa in piena notte. Solo allora Manfred si accorse che non era sola. C’erano tutti gli altri amici di Kurt con lei, che ridevano e saltellavano giocando e chiedevano al nipotino di salire più in alto.- Kurt! Kurt! Torna indietro! - urlò il nonno tossendo.Ma Kurt continuò a salire.
12 agosto 1995 – Kitzbühel - casa di Manfred Wenkellmann, ore 6:02- Vai a chiamare la polizia… - disse Stefan, tenendo la pistola puntata al volto dello sconosciuto con i baffi - Bastardo, dovrei ammazzarti qui, ora, subito. Per tutto quello che hai fatto a quei bimbi!L’uomo aggrottò le sopracciglia con stupore, mentre il figlio di Manfred incalzò la moglie.- Vai a chiamare la polizia! Cosa aspetti?- Ma… Kurt?Stefan Wenkellmann guardò verso il bosco, poi nuovamente verso l’uomo, indeciso sul da farsi.- La polizia sarà qui tra un’ora. L’ho già chiamata io - disse l’uomo, in un tedesco perfetto - Credo dovreste pensare a vostro figlio. Ha detto che stava andando a giocare con una certa Eveline…- Stai zitto o ti sparo in faccia! - ringhiò Stefan, ma si intuiva che era sempre più indeciso sul da farsi. Continuava a guardare alternativamente lo sconosciuto e il bosco…- Nostro figlio non conosce nessuna Eveline, non gioca mai con nessuno… Stai dicendo un mucchio di balle… Tu sei il…Sulla soglia comparve in vestaglia la moglie di Manfred.La sua voce tremava.- Da qualche tempo Manfred si è convinto che Kurt abbia degli amici…, dice che lo porta a giocare con loro al campo giochi, oppure su ad Hannenkahm… Ma io li vedo da distante e non c’è mai nessuno oltre a loro due… Volevo parlartene l'altra sera, Stefan, ma tu non mi hai ascoltato...Un silenzio imbarazzato piombò su di loro.- Stefan, ti prego… Kurt è nel bosco!!!Stefan si mordicchiò il labbro e appoggiò la canna della pistola contro la fronte dell’uomo.- Tu… chi cazzo sei? - sussurrò rabbioso.L’uomo sospirò, sapendo benissimo che le sue parole avrebbero potuto essere anche le ultime.- Sono un magistrato - disse - Sono venuto fin qui per tuo padre.
12 agosto 1995 – Kitzbühel - nel bosco, ore 6:30Il bosco era pieno di bambini. Non ne aveva mai visti così tanti insieme e non ricordava che Kurt avesse così tanti amici. Doveva essere tutta colpa di Eveline.Sì! Lo sapeva che lei era perfida, l’aveva capito dall’inizio!La vide più in alto. Non stava guardando Kurt ma lui! Lo stava sfidando.Lo incitava a salire con quegli occhi verdi che gli ricordavano… gli ricordavano…Tutto a un tratto si sorprese a non avere più addosso quel senso di fatica che probabilmente lo avrebbe ucciso di lì a poco su quella montagna. Il suo passo invece si fece più sicuro e meno malfermo.Il dolore ai piedi feriti scomparve del tutto ed ora poteva sentire il proprio fiato più regolare, mentre si arrampicava sulla montagna.Ah, sì, stavano scappando da sole! Le aveva intraviste sulla piazza principale del paese, ma ora le avrebbe raggiunte e avrebbe fatto piazza pulita… Rise pregustando il pensiero. Il latrato dei cani si disperdeva nel bosco tutto intorno. Un centinaio di metri più sotto, al paese, si sentiva il crepitare dei mitra. Si arrampicò più velocemente. Ora si arrampicava correndo.Guardò verso il basso.Non aveva più piedi sanguinolenti.Ma stivali lucidati, dentro i quali si infilava la sua uniforme.
12 agosto 1944 – Sant‘Anna di Stazzema (Lucca), ore 7:00- Devi scappare su per la montagna, scappa, scappa, stanno arrivando… ti prego, SCAPPA!- Io non voglio andare via da te, mamma! - Evelina piangeva. Aveva solo cinque anni.- Devi farlo, senti i passi, scappa! Ti supplico! Ci sta raggiungendo… corri su per la montagna, nasconditi. Io lo fermerò…Ma la bambina piangeva e non voleva separarsi dalla madre.Aveva visto uccidere molti dei suoi amichetti pochi minuti prima, con le madri. Sorpresi nel tepore del sonno e fucilati senza un perché.- Ti prego, Evelina, scappa…La bambina però aveva gli occhi sbarrati. Guardava un punto oltre la madre.La donna si voltò agghiacciata.Il giovane tedesco delle SS, dallo sguardo crudele, che li aveva inseguite fino a quel punto, quando loro avevano tentato la fuga nei boschi, era di fronte a loro.Spianò il mitra verso la bambina, con un sorriso perfido. La madre con un grido si gettò contro di lui, gridando e implorando la figlia perché fuggisse.Evelina si voltò e cominciò a scappare su per la montagna.Ma il tedesco si liberò della madre con il calcio del fucile, facendola cadere poco più in là e poi aprì il fuoco.Evelina aveva fatto solo pochi passi quando venne investita dalla raffica di mitra.La madre emise un urlo disperato e corse verso la figlia.Manfred, la giovane SS allora premette di nuovo il grilletto, questa volta verso di lei.Ma questa volta il mitra si inceppò. Tentò di sbloccarlo, ma non ci riuscì.Guardò la scena con un ghigno. Conosceva qualche parola di italiano.- Così almeno avrai il ricordo di tua figlia morta per tutta la vita! - disse con sarcasmo.Restò a guardare quella scena con trionfo. I singhiozzi della giovane madre e gli occhi verde smeraldo della bambina, che si spegnevano.Quegli occhi erano una promessa.
12 agosto 1995 – Kitzbühel, Austria - nel bosco, ore 8:30Nessuno cantava e correva più nel bosco.I bambini erano messi in semicerchio di fronte a lui e lo guardavano con faccia inespressiva.Manfred riconobbe i loro volti attraverso la barriera del tempo. Li aveva visti oltre 40 anni prima.Kurt, poco più in là, giocherellava senza guardare o capire.In mezzo ai bambini, si ergeva Eveline.- Eveline… si chiamava… ti chiamavi Evelina… - mormorò l’uomo atterrito e col cuore che stava per scoppiare.La bambina lo guardò con il ricordo dell’odio.Quegli occhi di metallo verde incandescente… erano gli stessi della bambina che aveva ucciso quella mattina.
- Kurt…! - gridava la madre.- Papà… Kurt… dove siete? - chiamava il figlio ancora con la pistola in mano, senza perdere mai di vista l’uomo che aveva appena affermato di essere un magistrato italiano.Tutti correvano e chiamavano. Ad un tratto udirono delle urla disperate poco più su nel bosco. Erano grida di uomo.
Dagli occhi di Eveline partì un sibilo di luce verde e accecante che andò a investire gli occhi del vecchio Manfred.L’uomo si portò le mani al volto, trafitto da un dolore che non credeva possibile e da quel raggio verde che si faceva strada nel suo cervello, spazzandolo via.Cadde per terra contorcendosi, sopraffatto dalla scarica di energia alla quale non sapeva porre rimedio.Gridò, gridò, gridò, fino a che non ebbe più fiato per farlo e a fargli compagnia restarono soltanto il buio e il vuoto.
- Oh mio Dio! Che cos’è quella roba? Papà! - gridò Stefan correndo verso di lui.Il magistrato riuscì a vedere il vecchio contorcersi, trafitto da un raggio verde che arrivava nei suoi occhi. E che partiva da un punto imprecisato.Fu un attimo, poi il vecchio nazista cadde a terra esanime ed il raggio scomparve.Quando giunsero sul posto, Manfred era faccia a terra, lo rigirarono e dalle orbite degli occhi, orribilmente vuote, usciva del fumo.Gli avevano bruciato gli occhi.Poco più in là Kurt sembrava non essersi accorto di nulla e giocherellava contento...Il Magistrato si guardò intorno. Il bosco era deserto.
12 agosto 1995 – Kitzbühel, Ospedale. Ore 17:30Il magistrato passeggiava lungo il corridoio di attesa dell’ospedale, oltre i cui finestroni facevano bella mostra le montagne del Tirolo, nella luce del tardo pomeriggio.Fece qualche passo stanco, dando un’occhiata distratta ai due poliziotti che piantonavano l’ingresso del corridoio.Un giornale abbandonato su una delle sedie poste in fila, riportava qualcosa a proposito delle indagini sul serial killer che impauriva l’Austria. Ma quella era un’altra storia.Camminò ancora per qualche istante, ripensando alla scena della mattinata.Dio solo sapeva cosa era successo dentro quel bosco, e da dove provenisse quel raggio che aveva colpito Wenkelmann agli occhi.Qualcuno sospirò in fondo al corridoio. La moglie di Wenkelmann, il figlio Stefan e la sua giovane moglie, stavano attendendo un responso medico da ore. Il piccolo Kurt era stato affidato ad un vicino. Saltuariamente Stefan lanciava un’occhiataccia nella sua direzione e del resto non poteva biasimarlo. Stefan non poteva accettare davvero che il padre fosse stato davvero un criminale nazista. Non quel giorno, non in quel modo, non con lui morente.Il Magistrato iniziò a ripercorrere con la mente la strada che l’aveva portato fino a quell’ospedale di Kitzbühel. Dal ritrovamento dell’ “armadio della vergogna”, un luogo dove qualcuno aveva sepolto decenni prima i procedimenti e le prove dei misfatti delle SS in Italia, a come avesse ricostruito i movimenti della 16. SS-Panzergrenadier-Division "Reichsführer SS" attraverso la Toscana, S.Anna, Valla, Bardine, Vinca, Pioppetti di Montemagno, Bergiola, Forno, Marzabotto. Alle loro successive azioni in Ungheria… alla sua visita a Sant’Anna di Stazzema, alle persone che aveva ascoltato, alla donna della bambola, a Torino…Mentre pensava, una porta si spalancò ed un medico fece la sua comparsa.Il Magistrato si avvicinò. Rappresentava l’autorità internazionale al momento in quell’ospedale ed aveva il diritto di sentire.Le parole del medico furono lapidarie.C’era un danno cerebrale così esteso che supponeva che il paziente non potesse più sentire nessuno, il quadro era quello di una persona clinicamente morta, le cui funzioni vitali tuttavia avrebbero potuto resistere ancora qualche giorno.Nessuno dei presenti scoppiò a piangere, non era nell’animo di quella famiglia.Ci sarebbe stato tempo per cercare di capire cosa era successo quella mattina nel bosco. Interrogatori, testimonianze che non avrebbero portato a nulla.Ma il compito del Magistrato era conclusoMormorò due parole agli uomini di guardia, poi se ne andò.Quando aprì il baule della sua auto, nel parcheggio dell’ospedale, si imbatté nella bambola di pezza, ricevuta a Torino...Si accorse con orrore che non aveva più gli occhi color smeraldo.Due rivoli di fumo salivano dalle due cavità nella stoffa bruciacchiata.- Evelina… - mormorò il Magistrato.
12 agosto 1995 – Nel buio.Kurt, dove sei? Kurt? Kurt? Mi ascolti? Dove sei finito? - gridava il vecchio Manfred, circondato dal nulla e da un freddo buio.Non sentiva più nulla. Non vedeva più nulla. Non sentiva niente al tatto delle mani, non riusciva a percepire alcun gusto nella bocca.Solo un lontano odore all’interno dell’oscurità, sembrava avvicinarsi da lontano.Non avrebbe più rivisto Kurt, né lo avrebbe tenuto per mano.Sarebbe stata quella la sua pena.Per una frazione di secondo raggiunse una sorta di pacificazione con se stesso, all’interno di quel nulla.Ma fu un attimo, freddo, rabbia, rancore e paura ebbero la meglio.Soprattutto paura, per quell’odore nefasto.Si stava avvicinando. Sapeva che lo stava cercando, col suo puzzo nauseabondo.Solo allora capì che la Bestia stava venendo a prenderlo.Presto o tardi sarebbe arrivata, e avrebbe spalancato le sue fauci su di lui.La sentiva, era già lì attorno, lo stava cercando.Tentò di gridare, di chiamare il nipotino, ma tutto quello che ottenne fu soltanto disperazione eterna.
5 settembre 1995 – Torino - Epilogo- Le ho riportato la bambola, signora…Non c’era più il sole che filtrava attraverso le tende nella vecchia stanza ed il magistrato si sentiva addosso un senso di stanchezza. Sperò che la donna non si accorgesse che gli occhi di Evelina non c’erano più. Non avrebbe saputo spiegarle in modo convincente che cosa fosse successo.La donna si aprì in un sorriso radioso.- Evelina… - disse con l’emozione di un bambino – Sei tornata da me… sei tornata da me…! Dunque è tutto finito! Ora potrai tornare a giocare con i bambini nella piazza. Ti hanno aspettata tutto questo tempo… - la donna strinse a sé la bambola, coccolandola.Il Magistrato si sentì pervaso da commozione mista a tristezza. La sua strada era ancora lunga e quello non era stato che l’inizio di quello che l’armadio dei segreti, o della vergogna, avrebbe rivelato. Incrociò il sorriso della donna, che mormorò un Grazie riconoscente.La sorella lo attendeva sulla porta, mentre stava uscendo, il Magistrato riuscì ancora a percepire le parole della donna – Ma… Evelina… hai perso i tuoi occhi…L’uomo sospirò, poi la porta si richiuse definitivamente dietro di lui.- Non preoccuparti, Mamma. – disse Evelina all’interno della stanza – Ora sarò sempre con te. E i miei occhi non dimenticano…
La strage di Sant’Anna di Stazzema rappresenta una delle più efferate e barbare stragi compiute dai nazifascisti in ritirata nell’estate del 1944, lungo la Linea Gotica.Il piccolo paesino dell’Appennino toscano era diventato luogo di sfollati provenienti dalla Versilia, che sfuggivano al teatro di guerra principale.Il paese non ospitava partigiani, ma la mattina del 12 agosto 1944, le truppe della 16. SS-Panzergrenadier-Division "Reichsführer SS", che facevano capo al Generale Max Simon e al Gerhard Sommer, circondarono il paese.Molti uomini, temendo un rastrellamento, fuggirono nei boschi. I tedeschi invece, guidati da alcuni collaborazionisti a volto coperto, con accento della Versilia, commisero una mattanza su donne e bambini (la più piccola vittima aveva soltanto 20 giorni), fucilandoli, mitragliandoli nelle cantine delle case o addirittura bruciandoli vivi, prima di incendiare l’intero paese.Una strage assurda e dimenticata alla fine della quale si contarono 560 morti, in buona parte bambini, donne ed anziani.Riporto, affinché possano testimoniare la bestiale efferatezza dell’eccidio, due testimonianze di sopravvissuti, tratte dal sito , che vi invito a visitare.
Quel mattino di agosto a Sant’Anna uccisero i nonni, le madri, uccisero i figli e i nipoti. Uccisero i paesani ed uccisero gli sfollati, i tanti saliti, quassù, in cerca di un rifugio dalla guerra. Uccisero Anna, l’ultima nata nel paese di appena 20 giorni, uccisero Evelina, che quel mattino aveva le doglie del parto, uccisero Genny, la giovane madre che, prima di morire, per difendere il suo piccolo Mario, scagliò il suo zoccolo in faccia al nazista che stava per spararle, uccisero il prete Innocenzo, che implorava i soldati nazisti perché risparmiassero la sua gente, uccisero gli otto fratellini Tucci, con la loro mamma. 560 ne uccisero, senza pietà in preda ad una cieca furia omicida. Indifesi, senza responsabilità, senza colpe. E poi il fuoco, a distruggere i corpi, le case, le stalle, gli animali, le masserizie. A Sant’Anna, quel giorno, uccisero l’umanità intera.
(…)Poi c’erano i bambini, i teneri corpi dei bimbi a eccitare quella libidine pazza di distruzione. Fracassavano loro il capo con il calcio della «pistol-machine », e infilato loro nel ventre un bastone, li appiccicavano ai muri delle case. Sette ne presero e li misero nel forno preparato quella mattina per il pane e ivi li lasciarono cuocere a fuoco lento. E non avevano ancora finito.
Il cosiddetto “armadio della vergogna” esiste veramente. Fu ritrovato nel 1994 nei sotterranei del Palazzo Cesi-Gaddi, nella cancelleria della Procura Militare, a Roma. Era nascosto da alcuni scaffali, inserito in una nicchia al contrario, protetto da una grata e ovviamente ben chiuso a chiave.Al suo interno era nascosto un dossier con dati, prove e nomi riguardanti le efferatezze compiute nel nostro paese dalle truppe di Kesselring, indagini raccolte dai servizi segreti britannici al termine della guerra, e poi consegnate al governo italiano.Perché dunque nascondere tutto? In molti credono e temono che sia stata la Ragione Internazionale a volerlo.La nuova situazione mondiale vedeva ora un pericolo profilarsi ad Est e quindi sarebbe stato preferibile puntare sull’immediata ricostituzione dell’esercito tedesco e “lasciar correre” sui fatti del passato.Alti fatti che concorrono a pensare ad una simile soluzione politica, fu la possibilità che da qualche parte potessero spuntare fuori le atrocità compiute dall’esercito italiano, principalmente nella zona dei Balcani, e che quindi il silenzio abbia comprato il silenzio.Se così sono andate le cose, l’armadio dei segreti è una delle pagine più vergognose della storia di un paese con le cui storie nascoste hanno formato davvero un’enciclopedia della vergogna. Chiusa in un armadio rovesciato, laggiù… nella cantina della nostra memoria.
Mauro Saglietti
© RIPRODUZIONE RISERVATA