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La richiesta, all’inizio e pure all’apparenza, era semplice: «Scrivici il tuo manifesto per la serie A del Toro (…). È per una rubrica nuova di zecca, ci bastano quaranta righe…». Roba di poco più di un mese fa, ovvio. Perché da allora di semplice non c'è più stato un cazzo. Altro che 40 righe e rubriche nuove di zecca: sono state sei settimane di fideiussioni false, Irpef non pagata in quantità industriali, perquisizioni e supposizioni, esclusioni e ricorsi, illazioni e dichiarazioni, banchieri e avvocati, esclusioni e riammissioni, fino al Tar e prima del consiglio di Stato… Roba da titoli nei Tg della sera, e marce e marcette, proclami e bugie. Sei settimane di acrobazie bancarie e trattative politiche, che pure in qualche modo c’è da sperare che portino alla soluzione. Una qualsiasi, che non se ne può più tante sono le schifezze varie ed assortite, più o meno evidenti, più o meno legate alle strisce verticali bianche e nere e ai piani vecchi e nuovi della fabbrica di auto nazionali che smobilita, con i cinque cerchi invernali che incombono e preoccupano. Tanto che in mezzo di buono c’è stato soprattutto uno slogan tifoso (e non poteva essere altrimenti): No Toro? No Olimpiadi! Già, perché tolti (si spera pure in fretta e comunque) i cimminelli e i romeri rimane un problema grande e grosso: di Torino, prima ancora che del Torino. Così almeno viene da pensare al tifoso emigrato (e qui scrivente) che sta a Milano con il cuore (e l’abbonamento) in Maratona e pure gira il mondo per mestiere quasi a cercar conferma di quell’altro slogan anzi coro della curva… Comunque vada, il Toro era e vorrei restasse un’altra cosa. In serie A, in B e, lasciatemelo dire, finanche in C2 o dove ci sarebbe da ricominciare: perché essere tifoso significa pure questo e se volevi coppe e scudetti come al supermercato di questi tempi adoravi le maglie a strisce, se preferivi invece assistere allo spettacolo che manco al cinema… be’ allora era meglio cambiare sport oppure trasferirsi in Brasile. Lontano dai padroni del calcio moderno (ma nemmeno troppo, vedi in che mani è finito il Corinthians…) che poi qui «sono in due (Milan e Juve) con il terzo incomodo che si siede a tavola con loro ma poi non gli danno mai da mangiare» e questa più o meno così l’ha detta a Repubblica Gigi Riva, grande campione e team manager della Nazionale, mica un ultras al megafono. Roba da calcio moderno nella sua variante italiana, con i passaporti falsi e le inchieste insabbiate, le partite truccate e gli scudetti dopati, i diritti televisivi all’asta (per modo di dire) e i conflitti d’interesse a regolare il tutto, manco fossero la caricatura piccola piccola di quell’altro enorme che sta al governo. Non del calcio, ma di questa disgrazia di Paese in cui viviamo… In mezzo a tutto questo è rimasto il Toro allo sbando con i suoi tifosi increduli e rabbiosi: siamo i reietti del calcio moderno, poche palle sulla sofferenza granata e con Superga che c’entrano davvero poco. E personalmente non sento poi quell’urgenza disperata di attaccarsi al treno comunque e ambire forse a mangiare merda e briciole al fondo della tavola imbandita per due (o tre) di questo calcio. Che a me annoia e pure tanto, perché sogno una nuova lega fatta di squadre ad azionariato popolare, senza sponsor sulla maglia, con meno truffe possibili e quindi pure lontano da tutto il resto fatto di doping e quotazioni in borsa… Ma intanto andrebbe più che bene pure un Toro che possa rovinare la festa agli altri e sia più granata che mai. Corsaro nel gioco e serio nel progetto, speciale nella grinta e nel vivaio, lontano il più possibile dagli attuali dirigenti e veri o finti padroni, ma ancora più vicino ai suoi tifosi. Sogni, appunto....Marco Mathieu (inviato speciale di GQ).
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