mondo granata

I still love you

Redazione Toro News
di Mauro Saglietti

Cari amici,a partire da questa settimana, e in modo molto saltuario, mi piacerebbe discorrere con voi di alcuni dischi che hanno fatto la storia della musica, e che hanno largo seguito nel pubblico granata. Non solo, ma sarebbe utile avere a che fare anche con cose che ci possono unire, oltre che con quelle che ci dividono.Diciamola tutta.Sono passati quasi quattro anni da quando ho cominciato a scrivere per questa testata e mi sembra di avere vissuto attraverso quattro secoli.Allo stato attuale delle cose non mi sento di parlare di tante belle cose quali il “cuore granata” o bla bla bla, periodi di fortissima socialità, che stridono di prolungata usura se paragonati alla disgregazione asociale del presente, solo in parte mitigata dalla vittoria di mercoledì.Io però non dimentico le tensioni di questi mesi, gli insulti che ci sono stati tra di noi e anche le minacce.Sì, proprio minacce, e a quelli che fingono di cadere dal pero stupiti, rispondo: credete che questo sia il segreto di Pulcinella?E’ la socialità a creare il nostro presente e non l’eterno appellarsi a qualcosa di passato.E se la nostra socialità allo stato attuale fa schifo, sono convinto che abbia scavato tra di noi solchi quasi insanabili.Meglio allora andare a cercare il Toro dove non ti aspetti che sia, non solo sul campo.E’ quello che questa rubrica ha sempre cercato di fare.

 

Febbraio 1991- Mauro, hai visto? I Queen sono entrati direttamente al primo posto con il nuovo disco…- Bah! Robaccia. Non riesco a sentirli.Lo confesso. Sono uno di quelli che ha conosciuto seriamente i Queen soltanto dopo la morte di Freddie Mercury, avvenuta alla fine dello stesso anno.Assetato del rock anni’70 di prima qualità, avevo sorvolato, come tanti ragazzi della mia età, sul gruppo inglese, che si era affacciato sulle scene musicali con un pelo di ritardo rispetto ai mostri sacri della musica, mischiandosi a sfumature di Glam Rock che vedevano il personaggio come parte integrante della musica.A noi, ragazzi degli anni ’80, tutti tesi a recuperare la musica del decennio precedente, la trasgressione di Mercury e le ampie vesti di May passavano in secondo piano rispetto all’esplosiva sostanza di altre band.Per giunta Mercury e soci all’inizio degli anni ’80 avevano patito un calo di qualità produttiva per risollevarsi dal quale sarebbero occorsi anni.Mi ero quindi limitato al 45 giri di Radio Ga-Ga, alla conoscenza di Another one bites the dust, e al fatto che, suonata al contrario, risultasse un po’ come “Start to smoke marjhuana”, oltre ovviamente al tormentone (che si sarebbe rivelato ben presto amaro) di We are the champions.I gobbi poi, in uno dei rarissimi momenti di creatività, benché non originale, avevano preso a prestito il doppio colpo di tamburo, seguito dal clap delle mani, di We will rock you, intonandoci sopra un atroce “Fozza… fozza ggiu-ve… ggiuve!”Coro al quale replicammo prontamente associando la ggjuve al suo elemento organico inseparabile (sia come concetto che come sostanza). Ma, capite bene, come i Queen non avessero mai suscitato su di me un’attrazione particolare.

 

24 novembre 1991Il trafiletto della Stampa è in prima pagina. Una colonna in fondo - Freddie Mercury:”Sì, ho l’AIDS”. Sobbalzo. Mercury? Lui? Proprio lui?L’Italia senza internet è lontana dall’Inghilterra.L’AIDS fa paura. Sono anni che se ne parla, ma l’ansia non è mai calata.Qualche amico ne sarà travolto. Altri non reggeranno il pensiero del proprio decadimento fisico e la faranno finita prima.E’ un attimo, poi il flash-forward svanisce.

 

Il giorno dopo, alla stessa ora, quasi lo stesso trafiletto annuncia la scomparsa del cantante.Penso all’annuncio, dato a poche ore dalla scomparsa.Mercury aveva 45 anni, e sapevo su di lui soltanto poche cose superficiali. Non seguo neppure i telegiornali con attenzione. Soltanto il giorno seguente, ancora sul giornale, il coccodrillo mi riempie di notizie.Pochi giorni più tardi, la vicina di casa mi regala Greatest Hits II. E’ balzato in testa alle classifiche di vendita, sull’onda della spinta emotiva seguita alla morte del leader della band.Scorrono le canzoni che avevo sempre ascoltato distrattamente, altre che proprio non conoscevo… I want to break free, Friends will be friends, The miracle.No, forse non sarà mai un innamoramento, come è stato per altri.Ma una forte passione sì. Questo sì.Così, giorno dopo giorno, gli spazi del mio porta CD si riempiono inesorabilmente con A night at the opera, News of the World, The Miracle, A day at the races.E Innuendo, naturalmente.

 

Sospetti e insinuazioni.La strofa finale di Was it all worth it tratta da The Miracle, uscito nel 1989, l’ultimo album della band, prima di Innuendo, col senno di poi diventa sibillina.La canzone è una di quelle poco conosciute, ma è una delle mie preferite, come del resto lo è tutto The miracle, benché le sonorità siano più commerciali rispetto a quelle del lavoro che verrà.Was it all worth it è una sorta di riflessione sul passato, che ripercorre con orgogliosa rabbia, molto prima della struggente arrendevolezza di These are the days of our lives, i tempi andati, chiedendosi alla fine se ne sia valsa la pena: Di dare tutti se stessi, di stare alzati tutta la notte.E la risposta era un rabbioso “Sì, è stata una esperienza che valeva la pena vivere”, con la risata beffarda di Mercury che anticipava il ruggito finale della chitarra di May.Un brano del genere aveva punto sul vivo la curiosità dei tabloid inglesi, che avevano storto il naso sospettosi, quando la band aveva dichiarato di non voler far seguire nessun tour mondiale al disco.Lo stesso Mercury aveva dichiarato, in una intervista radiofonica, di “voler spezzare la consueta routine album-tour-album-tour” e che “uno a 40 anni non può correre in calzamaglia sopra un palco”.Allo stesso tempo la strana decisione della band di firmare tutti i pezzi dell’album come “Queen” e non come compositori singoli, fece discutere non poco, quasi si volesse evitare di collegare direttamente a Mercury alcuni contenuti del disco.Col passare dei mesi però, i video tratti da The miracle (The miracle, I want it all, Breakthru, The invisible man e Scandal mostrarono Freddie sempre più lontano da quella che era stata la sua immagine di Wembley di soli tre anni prima.Le polemiche sulle sue probabili condizioni di salute, nonostante le puntuali smentite, non fecero altro che farsi sempre più sottili e insistenti.La band prese tutti in contropiede e dichiarò a sorpresa, subito dopo l’uscita di The miracle, di essere pronta a rientrare in studio per registrare un nuovo disco.Così, nel 1990 nacque Innuendo, letteralmente “Sospetto” o “Insinuazione”.Quello che Mercury stava affrontando in quelli che sarebbero stati gli ultimi mesi della sua vita

 

InnuendoLa vita dell’ultimo periodo dei Queen è inscindibile da quella personale del suo cantante.Secondo il suo compagno, Jim Hutton recentemente scomparso, Freddie scoprì di avere contratto il virus dell’HIV nella primavera del 1987, subito dopo Pasqua, verdetto poi confermato nel 1989, mentre l’AIDS si manifestò nella sua forma conclamata nell’agosto del 1990.Per lungo tempo l’artista tenne la band stessa all’oscuro del fatto, fin quando un giorno Mercury prese da parte il chitarrista Brian May, come da lui rivelato in un’intervista rilasciata qualche anno fa a MTV.– Sai vero, con cosa ho a che fare?- Temo di sì – aveva risposto May.- Ecco allora… - aveva spiegato Mercury – Quello che ti chiedo per favore è di fare come se tutto fosse normale, come se niente fosse. Aiutami a fare musica perché quella è la mia vita…

 

Così era nato The Miracle, e già a quei tempi, si è poi saputo, Freddie non sapeva se sarebbe vissuto abbastanza a lungo da poter vedere la nascita del nuovo disco.Innuendo dunque nacque con uno sforzo di May, Taylor e Deacon, che si misero completamente al servizio del loro amico.Spesso Freddie non era in grado di partecipare alle registrazioni, o più spesso poteva partecipare solo per poche ore ed allora bisognava mettere a frutto quel poco tempo a disposizione.Nelle volontà di casa discografica e band, c’era l’intenzione di pubblicare il disco prima del Natale 1990, per catturare le vendite natalizie.Le condizioni di Freddie tuttavia non resero possibile l’uscita dell’album fino al febbraio 1991.Il disco balzò direttamente al primo posto in quattro paesi, compresa l’Italia, dove occupò la posizione regina per tre settimane.Sul finire dell’anno, in seguito ai dolorosi avvenimenti, l’album, insieme ad altri del catalogo dei Queen, rientrò in classifica e ha continuato a vendere bene nel corso degli anni.Dal disco vennero estratti quattro singoli, il brano che dà il titolo alla title track, I’m going slightly mad, Headlong  e naturalmente The show must go on.

 

Canzoni

1) InnuendoL’origine di questa epica canzone vengono fatte risalire al 1989, quando May, Deacon e Taylor erano ospiti nella casa svizzera di Freddie, che aveva annessa uno studio di registrazione.Mercury udì la loro jam session, dal piano di sopra e cominciò a lavoare al progetto.Benché, come detto, all’epoca tutte le canzoni fossero firmate dai Queen come gruppo, gli anni hanno rivelato che la canzone è a firma Mercury – Taylor.Taylor sviluppò il testo, omaggio a Kashmir dei Led Zeppelin. Mercury scrisse invece la parte centrale.Casualmente non troppo, in una sorta di ideale chiusura del percorso iniziato quasi due decenni prima, Innuendo ricorda molto da vicino la struttura in tre “atti” di Bohemian Rapsody, e addirittura la supera in lunghezza.Brian May ammise molto sinceramente di non essere in grado di suonare la parte di chitarra acustica della parte centrale, che venne infatti affidata a Steve Howe degli Yes, mentre May suonò il riff con la sua Red special, più comunemente conosciuta come The fireplace.Per la presentazione ufficiale del singolo, vennero radunati in un grande sala pubblica centinaia di fans, sempre molto attivi ed entusiasti nelle iniziative dei Queen, e lì l’impianto stereofonico fece risuonare le note della canzone per la prima volta.Il pubblico fu preso in contropiede da qualcosa di estremamente diverso, che nessuno si era aspettato.Quando la canzone terminò, ci furono due secondi di silenzio assoluto, seguiti da un fragoroso ed entusiasta applauso.

 

2) I’m going slightly madE’ forse la canzone più intrigante, ambigua e sinistra dell’intero album.Ad un primo distratto ascolto può apparire strana, anche se emerge un testo buffo, basato (e questo emerge una volta che si è visto il video), sul contrasto tra un modo di dire inglese e la sua applicazione letterale. Ma sotto sotto, emerge una sensazione di disagio, le melodie sconfinano nell’inquieto e, musicalmente parlando, in una terra di nessuno popolata da incubi.Il video sembra giocare particolarmente su questo aspetto, con una coperta a colori, unico elemento in un video in bianco e nero, gettata verso la telecamera verso la fine della canzone.Fu scritta da Freddie e, nel testo apparentemente privo di continuità concettuale, in molti hanno voluto vedere un accenno alla demenza e alla difficoltà di concentrazione dovuta alle conseguenze dell’HIV, mentre secondo me il suo vero significato è da ricercarsi nel doppio, tra quello che appare in superficie e quello che in realtà è (non dimentichiamoci che Mercury rivelò al mondo la sua malattia soltanto il giorno prima di morire).

 

3) HeadlongBrian May concepì questo pezzo ed il successivo come facenti parte di un proprio progetto, poi decise di metterli a disposizione della band. Headlong è un pezzo coinvolgente, nella migliore storia dei pezzi rock della band. Il pezzo nel video relativo, è più lungo di 5 secondi rispetto alla canzone su disco, in quanto contiene un piccolo riff di chitarra in più.Al termine della canzone, la parola Headlong è ripetuta al contrario, nel coro della band, prima della chiusura su chitarra e batteria.

 

4) I can’t live with youAnche questo pezzo venne sviluppato da May. Un pezzo di routine, non ai livelli di Headlong. In parecchi vi hanno cercato invano significati legati alla situazione del cantante.

 

5) Don’t try so hardE’ frutto del lavoro di Mercury ed il testo è abbastanza eloquente. Si parla di senso delle cose, di difficoltà insormontabili, di senso di pacificazione nel non cercare risposte.Curiosamente è una delle poche canzoni che Mercury cantò in falsetto.E’ una delle canzoni più toccanti, ma non è tra le più amate del disco. E’ difficile ascoltarla più volte, forse per il senso di morte imminente che la accompagna.

 

6) Run the wild windBrano attribuibile a Roger Taylor e ideale sequel di I’m in love with my car, di A night at the opera.L’amore del batterista per le auto da corsa è sottolineata dalla struttura musicale del brano, con suoni ed effetti che richiamano quelli di un auto in corsa.

 

7) All God’s peopleIl pezzo che mi piace di meno dell’intero album, benché mantenga un certo stile Queen.Faceva parte del progetto che vide collaborare Freddie e la cantante lirica Montserrat Caballé, che partorirono insieme l’LP Barcelona (in realtà non cantarono mai insieme in studio. La Caballé, impegnatissima in giro per il mondo, incise da sola le sue parti, che spedì poi a Mercury, il quale le sovraincise).Il pezzo inizialmente prevedeva la collaborazione soltanto di Freddie e Mike Moran, poi anche il resto della band contribuì alla sua realizzazione.

 

8) These are the days of our livesIl pezzo forse più struggente, benché musicalmente molto semplice.Così come per The show must go on, si credette a lungo che in questa canzone fossero presenti espliciti riferimenti e riflessioni autobiografiche di Freddie, una sorta di serena e romantica riflessione sul fluire inesorabile della vita.In realtà la canzone fu interamente composta dal batterista Roger Taylor ed è rimasta strettamente legata alla figura di Mercury in seguito al video, di cui parleremo più avanti, l’ultimo girato dalla band prima della morte del suo leader.E’ una canzone bellissima, le tonalità minori non risultano mai disperate, ma languide, così come un fluire ritmico e placido di onde al tramonto.These are the days of our lives poco più di un anno più tardi ha avuto, come interpreti d’eccezione, George Michael, in occasione del Freddie Mercury tribute.

 

9) DelilahIl pezzo più controverso dell’album, per quanto possa considerarsi poco più di un divertissement rispetto all’epicità del lavoro stesso.Voluta fortemente da Mercury, come dedica a uno dei suoi adorati gatti, incontrò l’ostilità di Roger Taylor, che non la voleva nell’album.Roger venne più tardi ridotto a più miti consigli, forse per non contraddire Freddie, ma è innegabile che la canzone sia una sorta di isolotto che, nonostante riferimenti evidenti alla vita del frontman, sembra eccessivamente diversa dall’unicità dell’album Personalmente mi risulta quasi fastidiosa all’ennesimo riascolto.

 

10) The HitmanIl pezzo più hard rock dell’intero album. Quasi esagerato nella sua sfrontatezza beffarda, benché l’Hitman sia qualcosa fin troppo conosciuto e drammatico da cui sfuggire.La mano di May si sente eccome, e la ruvida disperazione di questo pezzo è il gemello eterozigote di quello che lo segue.Pezzo che può risultare fastidioso, ma che risulta travolgente nel suo tunnel finale di folli immagini per suoni.

 

11) BijouE’ la parte chiara di Hitman, o se preferite quella oscura.Canzoni in antitesi che richiamano la rabbia umorale dell’approssimarsi della fine del disco, mai come in questo caso identificata con la morte.May e Mercury avevano in mente una canzone al rovescio, nella quale il ritornello venisse solo suonato e non cantato.Parole d’amore personali, speciali. Un respiro di universo prima di affrontare la fine with a grin.

 

12) The show must go onLa maschera cade e mi chiedo veramente, per averla vissuta soltanto in maniera postuma, se nel 1991 qualcuno non avesse veramente capito che dietro a questa canzone splendida si celasse la parola fine.Il testo è esplicito, come più non potrebbe esserlo.

 

Inside my heart is breakingMy make-up may be flaking but my smileStill stays on

 

Nessuno ebbe mai dubbi sul testamento finale di Mercury.Eppure, la sorpresa fu grande quando anni più tardi, Brian May rivelò di essere l’autore della canzone.May cominciò a lavorare sugli accordi suonati da Deacon e Taylor, e si rese conto che da lì potesse nascere qualcosa di speciale. Sottopose l’idea a Mercury, nei momenti in cui il frontman poteva effettivamente partecipare allo sviluppo del progetto, ed insieme concordarono l’argomento della canzone. Freddie partecipò anche allo sviluppo della prima strofa, ma da lì in avanti fu solo May.Sviluppò autonomamente musica e testo, quindi registrò una demo, nella quale cantò in falsetto, tanto irraggiungibile per lui era quella tonalità così alta, e la sottopose a Mercury.Quando, un po’ di tempo più tardi la band si recò in studio per registrarla, May confidò a Mercury i suoi timori sul fatto che fosse effettivamente impossibile da cantare, e sottintese che le condizioni del cantante non avrebbero certo aiutato.La scena, raccontata da May è per certi versi sconcertante.Freddie buttò giù un bicchiere di Vodka e rispose “I’ll fucking do it, darling”.La risposta è intraducibile. Suona tanto come “La disintegrerò, caro”, oppure “Cazzo se ce la farò, caro mio”.L’artista si alzò e la registrò, con una performance vocale incredibile, al primo tentativo, credo proprio che si sia dovuti intervenire assai poco in fase di miraggio audio.E’ una delle canzoni più belle e angoscianti dell’intero album, pervasa dalla sua inesorabile tonalità minore, e raggiunge il suo apice quando subentra la Red Special di May, poco dopo che Freddie, quasi sul finale, ha gridato

 

I’ll face it with a grinI’m never givin’inOn with the show…

 

In fase di post-produzione si decise di inserire l’effetto “disco rotto”, quando il brano (e l’intero album” sfuma con le parole “go on” (continuare) ripetute in un ipotetico infinito.

 

VideoDa Innuendo vennero tratti cinque video.Il primo, tratto dalla title track omonima, si avvaleva di disegni computerizzati che sfruttavano immagini preesistenti, tratte dai vecchi video del gruppo e animazioni con la plastilina.Col senno di poi, è naturale comprendere come tutto fosse finalizzato a nascondere il reale aspetto del cantante.Ciò non fece che aumentare le voci sul suo reale stato di salute all’interno della stampa scandalistica britannica, alla quale non era sfuggito l’aspetto emaciato del cantante alla cerimonia di premiazione dei BRIT awards, avvenuta soltanto l’anno precedente.Mercury visse quei mesi quasi da recluso, perennemente inseguito dai teleobbiettivi dei fotografi, che cercavano di intrufolarsi anche nel parco della sua villa di Kensigton.Durante l’estate del 1991 Freddie si rifugiò nella Duck House, la villa che aveva comprato sulle rive del lago di Montreux, che lui adorava, dove si dedicò agli ultimi progetti, che avrebbero visto la luce in Made in Heaven, il discusso disco postumo, realizzato dalla band nel 1995.“Penso che Freddie avrebbe solitamente considerato questo posto come il più noioso del mondo “ dice Brian May in una intervista, aggiungendo che tuttavia Freddie in quei mesi abbia trovato momenti di serenità, negli immensi squarci di angoscia provocati dall’attesa della fine.Lo stesso chitarrista ha poi rivelato come si fosse lucidamente messo a disposizione totale del cantante per quello che sarebbe stato il loro disco postumo “Lasciami più informazioni che puoi. Scrivimi anche la più piccola cosa. Lo farò come tu vuoi che sia fatto”.Freddie in quei mesi scrisse A winter’s tale, e abbozzò quella che sarebbe stata Mother love.

Il buffo ma sinistro video di I'm going slightly mad venne girato nel febbraio del 1991 in bianco e nero, con Freddie coperto da pesante trucco e da una parrucca che ne camuffasse l'aspetto sofferente.

Le riprese furono concluse con grande fatica e i tabloid inglesi non mancarono di intervistare l'uomo che aveva fornito i pinguini per il video, chiedendogli informazioni sullo stato di salute di Mercury. "Freddie non ha affatto un bell'aspetto", aveva dichiarato l'uomo

Headlong venne girato nell’aprile del 1991, con la band in studio, alle prese col mixaggio si suppone dello stesso brano. Benché l’atmosfera in studio sia scherzosa e goliardica, ed il brano trascini con il suo impeto rock, le condizioni di Freddie appaiono in tutta la loro drammatica realtà, col cantante visibilmente smagrito, in una felpa gialla o una camicia blu.

 

Il video di These are the days of our lives fu girato il 31 maggio del 1991 e rappresenta il testamento di Freddie, che si presenta in una veste, dono di un amico, dove sono raffigurati dei gatti.Brian May non partecipò alla session perché all’estero ed il suo materiale visivo venne aggiunto in seguito. Venne deciso di girare il video in bianco e nero come sorta di rispetto verso il cantante, affinché l’utilizzo del colore non contribuisse a rendere ancora di più a mortificare il suo fragile aspetto.Freddie pretese di essere ripreso e non c’è canzone migliore che avrebbe potuto accompagnarlo nel suo commiato tutto sommato sereno, affettuoso e malinconico dal suo pubblico, sulle note della ballata composta da Roger Taylor.Al termine della canzone, dopo il primo “I still love you”, Mercury abbassa la testa e porta le mani ai fianchi.Sorride un’ultima volta, rialza il capo e sussurra, guardando dritto la telecamera “I still love you”, poi, con un rapido gesto della mano verso il video, esce di scena.E’ l’ultima immagine di Freddie Mercury.

 

Il seguente video di The show must go on, singolo lanciato in occasione del Greatest Hits II, sarà soltanto un insieme di video della passata produzione della band, singolo lanciato pochi giorni prima della scomparsa del cantante.

 

Nei giorni che precedettero quel fatale giorno di novembre, Brian May aveva in programma il lancio di Driven by you, il singolo che avrebbe fatto da trampolino di lancio a Back to the light, il suo disco solista.Con il peggiorare delle condizioni di Freddie, però, May propose di posticipare l’uscita del singolo medesimo.Informato della vicenda, Mercury dal suo letto disse – Ditegli di farlo uscire lo stesso. Sarà una pubblicità incredibile.

 

Innuendo - Perché sìPer tutti quelli che adorano la musica ben suonata e ponte tra un tempo passato e quello che avrebbe potuto essere nel futuro. Per chi non si arrende ad immagini senza musica e vuole conoscere un lavoro nel quale la musica sapeva andare oltre le personalità fortissime, ed era lei a creare le immagini.Per chi ama la musica rock, anche nei suoi risvolti meno essenziali, più ambiguamente intimisti e forse disperatamente spirituali.

 

Innuendo - Perché noPer tutti quelli che non comprendono il perché nelle canzoni ci debbano essere pezzi di chitarra.Per le persone troppo sensibili, che rischiano di essere catturati dal vortice di disperazione che si sprigiona dal ghiaccio rovente di questo disco.Per chi è più interessato a Mercury come persona che come musicista.E per chi nel 1993 ha creduto che lui avesse proprio cantato Living on my own nel modo schifoso in cui venne riproposta dai discografici.

 

ConclusioniInnuendo è un vento freddo di Aprile, o una tiepida giornata di inverno, con le ombre che si allungano sul sole giallastro.Il suo colore è l’azzurro tendente al blu, è acqua scrosciante di ruscello montano, al tatto.La sottile lama di gelo che pervade Innuendo non deve distrarci dalla qualità della sua musica.Suonato con la selvaggia malinconia e la fierezza disperata e incosciente di chi sa che lo sta probabilmente facendo per l’ultima volta.Sotto questo punto di vista Innuendo è un lavoro epico dei Queen e supera di gran lunga i limiti affibbiati loro dallo show business, che spesso hanno cavalcato.Viene spesso da chiedersi che ne sarebbe stato dei Queen, se le cose fossero andate diversamente. Ma, come disse lui stesso; “Nessuno si immagina un Freddie Mercury vecchio”.Innuendo dunque è un lavoro unico e irripetibile, impossibile da ascoltare senza provare la fredda malinconia di cui si parlava sopra.Illusi dal vortice di Headlong, finzione buffa e messinscena dell’impossibile, ricadiamo presto nel pozzo di saggia disperazione di Don’t try so hard, e, benché, languidamente consolati da These are the days of our lives e intontiti dalla rabbia di The Hitman, ci ritroviamo presto “round the corner”, dove affrontare ancora una volta la parola “fine”.Che ogni volta si ripete senza arrendersi a se stessa, oltre i limiti dello stesso disco rotto le cui note risuonano e risuoneranno ancora a lungo. Mauro Saglietti