di Walter Panero
mondo granata
Il canto del poeta
18 febbraio 1990. Domenica.
Luca ne era certo. Elisa sarebbe stata lì ad aspettarlo. Si erano sentiti un sacco di volte nei giorni precedenti e lei gli aveva spiegato tutto nei minimi dettagli: “devi scendere a Brignole e io ti attenderò sul binario accogliendoti a braccia aperte appena uscirai dal treno”.Si erano conosciuti la sera di Capodanno in un locale della Riviera. Luca, diciannove anni compiuti da poco, aveva trascorso qualche giorno di vacanza a casa di un amico. Doveva aver bevuto parecchio quella sera, visto che, in condizioni normali, non avrebbe mai avuto il coraggio di abbordare una ragazza. Invece con Elisa, che di anni ne aveva diciotto, gli era venuto subito tutto facile. Avevano cominciato a chiacchierare. Di tutto e di niente. Chi li avesse visti in quel momento avrebbe potuto pensare che si conoscessero da sempre. Ridevano. Scherzavano. Un paio d’ore dopo si appartarono. E si baciarono. Luca si vergognava a dirlo agli amici, ma prima di allora non aveva mai baciato una ragazza. Trascorsero il resto della serata abbracciati a guardare il mare. Poi venne il momento dei saluti e, per fortuna, Luca trovò il coraggio di chiederle l’indirizzo ed il numero di telefono. Se ne tornarono alle loro città. Luca a Torino, Elisa a Genova. Si sentirono quasi tutte le sere nel corso dei giorni successivi. Si scrissero una gran quantità di lettere. Ma per molte, lunghe settimane non riuscirono a vedersi. Vivendo in città diverse, seppure non molto lontane, non era per niente facile organizzare un incontro. Luca non riusciva a pensare ad altro. Pensava a lei quando tentava invano di studiare. Pensava a lei quando usciva con gli amici. Pensava a lei persino quando si trovava sulle gradinate dello stadio per vedere le partite del suo Toro. A lei che, in quel momento, viveva le stesse emozioni in uno stadio diverso e palpitava per quella squadra che lui all’epoca considerava amica.Il ragazzo aveva trascorso giornate intere a pensare che, prima o poi, sarebbe arrivato il giorno dell’incontro tanto atteso. Avrebbe rinunciato a qualsiasi cosa pur di rivederla. Avrebbe rinunciato persino ad andare alla partita del suo Toro pur di stare con lei. Ed ora quel momento era finalmente arrivato. Il treno aveva percorso la pianura nebbiosa e coperta di neve. Si era infilato in decine di gallerie. Era infine giunto nel punto in cui l’oscurità lascia spazio alla luce. Luca si affacciò dal finestrino e annusò l’aria. Sentiva un odore diverso da quello che si era lasciato alle spalle. Un odore di spezie e di sale che sapeva già di primavera. Sporgendosi poté vedere, giù in fondo, la linea che divideva il cielo dal mare. A Luca il mare non era mai piaciuto. Non riusciva proprio a capire che cosa le persone trovassero di tanto interessante in quella distesa azzurra. Il ragazzo amava i monti che d’inverno incoronavano la sua città. Adorava l’odore della campagna. Ma, ed era sicuramente un suo limite, del mare non riusciva proprio a cogliere pienamente il fascino.
Il treno si infilò tra file di alti palazzi dalle persiane colorate. Superò la prima stazione. Giunse quindi a quella successiva. Era là che i due ragazzi si erano dati appuntamento. Luca prese le sue cose e scese dal treno. Il cuore gli batteva all’impazzata. Le gambe gli tremavano come se avesse dovuto battere un rigore in una partita decisiva. Di lì a poco avrebbe potuto riabbracciare il suo grande amore. C’era molta gente che aspettava sul binario. Il giovane si alzò in punta di piedi per scorgere la sua bella. Non la vide. Tante altre coppie di ragazzi si incontravano, si baciavano e se ne andavano abbracciati. Ma Elisa non era lì. Luca attese qualche minuto. Ancora niente. Sarà in ritardo, pensò. Decise di scendere le scale e di raggiungere l’atrio della stazione. Magari non si erano capiti bene e lei lo attendeva lì. Ancora niente. In quel momento si sentì come se una lama gli stesse trafiggendo il cuore. In quel momento comprese che Elisa non sarebbe venuta all’appuntamento. Quello che lui considerava il grande amore della sua vita era già finito. O magari non era neanche mai iniziato. Forse era stato solo un sogno. Forse era stata la sua fantasia ad inventarsi tutto. Forse.
Luca decise di fare un ultimo tentativo prima di rassegnarsi del tutto e salire sul primo treno per Torino. Aveva il numero della ragazza. Cercò una cabina telefonica. Lo compose. Suonava libero. Ma non rispose nessuno. Chissà dov’era finita? Forse era andata con gli amici a fare una gita al mare che amava tanto. O forse aveva deciso di rinunciare all’appuntamento per recarsi alla partita della sua squadra del cuore. Luca, a quel punto, non avrebbe manco più avuto il tempo di andare a vedere il Toro che giocava in casa col Como. Oltre al danno la beffa. Niente incontro con Elisa. Niente Toro. Proprio una domenica da buttare e da dimenticare al più presto.
Il treno successivo sarebbe partito dopo un bel pezzo. E Luca, pur con la morte nel cuore, pensò che sarebbe stato sciocco starsene lì in stazione a rimuginare sull’accaduto. Oltre tutto era una bellissima giornata e così decise di approfittarne per fare un giretto in quella città che lui non conosceva per nulla. Non aveva con sé alcuna piantina, ma pensò che sarebbe stato bello muoversi un po’ a caso fidandosi esclusivamente del suo istinto.Così, uscì dalla stazione. Imboccò una strada piena di negozi e seguì il flusso delle persone. Capì che in quel modo si sarebbe trovato nel centro di quella città. Infatti, dopo aver camminato per alcune decine di metri sotto i portici di un lungo viale in leggera salita, raggiunse un’ampia piazza dominata da un palazzo antico e meraviglioso. Al centro della piazza c’era una grossa fontana. Il ragazzo si fermò per un bel po' a contemplare l'incredibile bellezza di quello scenario. Di lì continuò a camminare seguendo strade ora strette, ora più larghe. Ora in discesa, ora in salita. A Luca piaceva molto l’aria che si respirava in quella città. Un’aria che sapeva di antico e che glie la faceva apparire così diversa dalla sua. Il suo fascino lo stava inesorabilmente conquistando, tanto che quasi gli sembrava di aver dimenticato il motivo per cui si trovava lì. Si perdette nel labirinto dei vicoli. Tutti uguali, ma tutti diversi. Vicoli nei quali la gente per bene si mescolava con gli ubriaconi, le donne vestite alla moda con le prostitute. Un crogiuolo di rumori, odori, persone. All’improvviso a Luca parve di sentire una voce. Una voce maschile calda ed armoniosa che intonava una canzone. Luca ne rimase folgorato e seguì quella voce come i topolini di Hamelin seguirono il pifferaio. Comprese che la voce proveniva da un negozio che si trovava nei paraggi. Il ragazzo non poté fare a meno di entrare in quel negozio. La voce ora gli arrivava netta e chiara. Sembrava che parlasse proprio a lui. Diceva, cantando:
“Quei giorni perduti a rincorrere il vento a chiederci un bacio e volerne altri cento un giorno qualunque li ricorderai amore che fuggi da me tornerai...”
C'era un'infinità di dischi in quel negozio. C’erano anche tanti documenti scritti a mano. Luca ebbe l'impressione di essere entrato in un vero e proprio museo. E ne rimase affascinato. Nel negozio c'era un uomo sulla cinquantina. Si chiamava Gianni e gli disse di essere molto amico di quella voce, anche se essa non si faceva più sentire da quelle parti da un bel po' di tempo. Gli fece ascoltare tante altre canzoni tutte scritte ed interpretate da quella stessa voce. Luca ne aveva già sentite alcune, ma non ci aveva mai badato più di tanto. Invece ora ascoltava le musiche. Comprendeva le parole. Si faceva affascinare dalla storia della ragazza morta dopo il suo unico giorno d’amore e da quella di Piero morto in guerra. Si commuoveva per la triste fine di Andrea e di Geordie. Ascoltava alcune descrizioni dei posti che aveva appena visitato e constatava come nessuna fotografia avrebbe potuto illustrarli meglio. La voce raccontava storie di poveracci e di prostitute. Rivisitava i Vangeli in maniera per lui assolutamente nuova ed originale. Si esprimeva a volte in una lingua strana, ma che il ragazzo scopriva non essere poi così diversa da quella dei suoi nonni. Luca non si stufava di ascoltare. Sarebbe rimasto da Gianni per giornate intere. Luca quel giorno aveva perso l’amore. Aveva tradito il suo Toro che intanto aveva battuto il Como per 5 a 0. Ma aveva scoperto un grande poeta che avrebbe influenzato per sempre la sua vita. Da quel momento lo avrebbe per sempre portato nel suo cuore.
11 gennaio 1999
Lacrime. Luca non riesce a far altro che versare lacrime. Il ragazzo ha appena saputo che quella voce si è spenta per sempre. Di essa sarebbe rimasto soltanto il ricordo. Il ricordo delle sue poesie. Il ricordo delle sue canzoni. Luca prende una chitarra. La sa suonare appena, ma questo gli è sufficiente per intonare alcune di quelle canzoni. Luca canta, piange e ricorda. Da quel momento, nelle lunghe sere d'inverno, nei momenti belli come in quelli dolorosi, Luca prenderà spesso la chitarra. E continuerà a cantare. E a riflettere al suono di quella musica che, come il Toro, è ormai diventata la colonna sonora della sua vita.
Febbraio 2010
Come diceva la voce in quel giorno lontano, l’amore va e viene. Da qualche anno, Luca ha incontrato il suo vero amore, e con lei vive a poche decine di metri dal luogo in cui per la prima volta udì quel canto. Un canto che echeggia ancora oggi per quei vicoli, sempre uguali e sempre diversi. Un canto che Luca continua ad intonare insieme al suo amore nei momenti allegri come in quelli tristi. Quella voce non si è spenta. Non si spegnerà mai. E quando Luca la ascolta continua ad emozionarsi come in quel primo giorno. Non può fare a meno di ripensare a quella domenica triste, trasformatasi all’improvviso in giornata da ricordare. Una domenica che gli avrebbe cambiato la vita. Per sempre.
Fabrizio De André è nato a Genova Pegli il 18 febbraio del 1940. Se fosse ancora vivo, in questi giorni avrebbe compiuto settant'anni. La sua voce e le sue canzoni, invece, non moriranno mai. Era Genoano di sangue Granata, visto che suo padre era un grande tifoso degli Invincibili e che, nel dubbio, si schierava sempre e comunque dalla parte dei più deboli e dei più sfortunati.Da qualche mese, il figlio Cristiano sta portando con successo in giro per l'Italia le sue canzoni più belle.
Gianni Tassio ha dedicato tutta la sua esistenza a mantenere vivo il ricordo del suo amico d'infanzia Fabrizio De André, trasformando il suo negozio di dischi nel centro storico di Genova in un vero e proprio museo dedicato alla memoria del grande cantautore.E' morto improvvisamente a soli 61 anni nel giugno del 2004, lasciando un po' più soli tutti coloro che avevano avuto la ventura di incontrarlo e di parlargli sia pure per un solo giorno.Il suo negozio-museo è tuttora aperto e visitabile in Via del Campo 22/R nel centro storico di Genova.
Per chi volesse respirare per un attimo le atmosfere dei Caruggi genovesi grazie alle canzoni di Fabrizio De André, segnalo i seguenti link:
Naturalmente sono soltanto di alcuni esempi della sua immensa discografia.
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