mondo granata

Il convoglio dei dannati

Il convoglio dei dannati - immagine 1
di Mauro Saglietti
Redazione Toro News

La galleria sta finendo, ormai intravedo la luce lontana, anche il to-to-to-toc delle ruote sui binari sta facendo più lento.Adoro le metafore riguardanti i treni.Si adattano benissimo alla nostra storia di tifosi.Ma questa non è una metafora. Per quanto questo treno maledetto possa apparire poco reale, ci siamo sopra e ci sta portando lentamente verso una destinazione sin troppo nota.

 

Sono seduto di fianco a una persona in giacca e cravatta.Ha vissuto gli ultimi istanti di viaggio quasi incredulo e stupito, guardando in continuazione oltre i finestrini, forse pensando che il treno avesse sbagliato strada.Ha continuato a chiedermi se questa fosse veramente la strada giusta.Oh, certo che non è la strada giusta.Non lo è mai ma lo è.- Adesso entreremo in una galleria, e poi saremo arrivati… – dico quasi con indifferenza all’uomo di fianco a me, che mi guarda scettico. Invece il suo volto scompare nell’oscurità del tunnel nauseabondo, nel quale questo convoglio dei dannati si infila inesorabilmente. Un tunnel che non finisce mai e che si apre su un universo di carrozze abbandonate consumate dalla ruggine e binari che stanno perdendo la loro battaglia con l’erba.

 

Ecco la stazione, i colori grigio e mattone si fondono tristemente, come al solito.Almeno avessero provato a cambiare qualcosa a ristrutturarla! Invece è sempre e lo stesso luogo, soffocato tra fabbriche grigie e scali ferroviari abbandonati, di cui nessuno ricorda l’esistenza.

 

La banchina è piena di gente. Qualcuno è seduto lungo i binari, qualcuno contro le pareti della stazione. Un ragazzo tenta di strimpellare quattro note con una chitarra i cui pezzi sembrano stare insieme per miracolo.Molti guardano nel vuoto distratti.Altri ancora discorrono del più o del meno con sguardo spento.Il treno si ferma, quasi nessuno ci fa caso.La gente è già arrivata qui con i convogli precedenti e parecchi ancora ne devono arrivare.Ogni volta però siamo sempre di meno.

 

Scendiamo entrambi, accompagnati da molti sguardi ostili e dall’indifferenza dei più. C’è odore di gomma bruciata nell’aria, come se qualche accampamento, oltre la palizzata che circonda questo scalo, stesse consumando la sua dose giornaliera di copertoni, nonostante il caldo.Il mio interlocutore si guarda intorno stranito.

 

Ricordo quando giunsi qui la prima volta, gli racconto.Era tanto tempo fa, credo fosse fine giugno 1989.Era un pomeriggio caldissimo. Scendemmo increduli sulla pensilina. Molti piangevano di rabbia. Ci accampammo lì, ma il luogo non ci sembrò così disagevole, decadente e mal ridotto.Dopo poco tempo sul binario si presentò un treno nuovo e fiammante, che ci portò via da quel luogo che non ci apparteneva.Ripartimmo felici, sapevamo che quel convoglio ci avrebbe riportato a casa.

 

La persona che è con me cerca di capire cosa fare. Estrae il cellulare per fare una telefonata. Ma qui non c’è campo. Gli indico l’unico telefono della stazione, la gente è in fila.- Temo che dovrà fare la coda… - non c’è sarcasmo nella mia voce.- Come è possibile che non ci sia campo! – protesta quasi prendendosela con me.- Qui non c’è nulla… - dico in modo distratto, spostando lo sguardo oltre la stazione – Qui non c’è niente di niente.

 

Salimmo sul treno nuovo e fiammante che ci portò via, nel 1990, verso quella che avrebbe dovuto essere la nostra casa definitiva.La sfiorammo. Ci andammo veramente vicini. II treno quasi si fermò per farci scendere.Ma quando eravamo pronti per farlo, il convoglio riprese velocità. Girovagammo a lungo, senza mai poter scendere, sempre sperando di essere sulla strada giusta.Un giorno però intravedemmo di nuovo l’imboccatura della galleria.E questa volta il treno si fermò nuovamente nel triste luogo in cui era partito sei anni prima.

 

Io e l’interlocutore ci aggiriamo nei pressi della stazione, ci affacciamo sul retro.Su un binario morto un vecchio vagone con lamiere al posto di quelli che un tempo erano stati finestrini, attende di essere divorato dal sole.Chissà cosa c’è all’interno di quel sarcofago? Amianto nascosto o qualche altra cosa che presto o tardi si libererà nell’aria.C’è polvere e sabbia dappertutto, l’aria diventa quasi irrespirabile grazie alla canicola.Mi siedo su di un pezzo di cemento, doveva far parte di un muretto o giù di lì. L’uomo che è con me rimane in piedi.Lungo la ferrovia principale, distante una cinquantina di metri, passa un treno a bassa velocità.Quasi rallenta per vederci, come fossimo allo zoo.La gente si sporge dai finestrini, ulula nella nostra direzione, sventola sciarpe dai colori rossoblu.- Che cosa vogliono quelli là? – mi chiede l’uomo.– Sfottono - sorrido sarcastico - Stanno sfottendo tutti noi. E stanno sfottendo anche lei.L’uomo guarda incredulo il treno che riprende velocità e si allontana.So che presto ne passerà un altro, con altri tifosi.Quasi non ci faccio più caso.

 

Le cose nel 1996 erano cambiate, il luogo era già in stato di semi abbandono.Era stata data una mano di biacca alla facciata della stazione, ma l’aria si era fatta irrespirabile per le vicine fabbriche.Passò un lungo periodo di tempo. Chi può dire quanto.Ogni mattina speravamo di trovare un nuovo treno, sul binario. Un convoglio che fosse venuto a prenderci.Trascorse un’eternità, quasi dimenticammo il nostro nome.Alcuni si lasciarono sopraffare e terminarono i propri giorni in questa polvere anonima tra le ciminiere e i capannoni. Altri non mollarono.Un giorno, mi sembra un 21 giugno, credemmo di aver trovato un treno tutto per noi. Ma era stato troppe ore al sole e le lamiere si erano surriscaldatate ed erano diventate roventi.Non riuscimmo ad entrarci. In un soffio di vento, veloce quanto un rigore che si schianta contro un palo, quella possibilità di salvezza ci fu portata via.Aspettammo ancora e l’anno seguente, arrivò un convoglio che ci portò via da questo posto diventato maleodorante, dove i più deboli avevano cominciato a cedere, ed i bambini a scarseggiare.Ripartimmo titubanti.Non era un treno fiammante, ma sembrava confortevole.Non potevamo saperlo, ma anche quello era un convoglio dei dannati.Era il 1999.

 

Sono sempre seduto su questo calcestruzzo traballante.L’uomo mostra segni di insofferenza.- Io me ne voglio andare da questo posto… non ho tempo da perdere! Come si fa a tornare indietro?Lo guardo incredulo e poi mi metto a ridere in modo amaro.- Lei, vuole andare via da qui? – Continuo a ridere e scuoto la testa – Lei? Si figuri noi, che è la quinta volta che ci torniamo…Un treno rallenta nella ferrovia principale e ci distrae dal nostro discorso.Altra gente che si sporge, questi hanno sciarpe bianche e rosse.- E questi chi sono? Cosa vogliono - dice l’uomo con voce esasperata – la polvere sta cominciando a posarsi sul suo gessato.- Quelli sono del Mantova - gli dico – C’è pure il loro presidente, guardi, quello dai capelli lunghi. Guardi come si sporge dal treno…Faccio una pausa.- Ci stanno prendendo per i fondelli… ma non solo noi. Sa una cosa? – Alzo lo sguardo e intravedo soltanto la figura in piedi vicino a me, indistinguibile per il sole dietro le spalle.- Stanno prendendo per il culo pure lei, Presidente. Bello, vero?

 Il convoglio del 1999 quasi non si fermò. Fece un piccolo giro e poi ci ritrovammo ad imboccare la stessa galleria. Ormai cominciavamo a non provare neanche più rabbia o dolore. Avevamo capito di essere vittime di un sortilegio o di un maleficio, o di un film horror la cui scena finale era sempre nefasta.L’inferno non è soltanto fuoco e fiamme, alle volte è essere dimenticato nella tua stessa città, prigioniero di una trappola fatta di calcinacci e lamiere contorte e arrugginite.In questo luogo malsano ci chiedevamo se qualcuno sapesse ancora di noi, oppure se all’esterno si stessero cominciando a dimenticare della nostra esistenza.Un altro treno, questa volta nel 2001 ci riportò via.Molti non vollero salirci e rimasero qui.Ci misero in guardia, ci dissero che sarebbe stato l’ennesimo convoglio dei dannati e che alla fine ci avrebbe riportato qui.Quando, due anni dopo, rimboccammo la galleria che ci riportava al punto di partenza, trovammo loro ad aspettarci, che ci accolsero dicendo - Io l’avevo detto! Bella consolazione. Siamo arrivati quasi al punto di odiarci tra di noi per questo.

 

Il Presidente si guarda attorno, vorrebbe tornare nella zona frontale della stazione.Ma è spaesato dalla desolazione del luogo, che non lascia punti facili di riferimento.- Non si sforzi di trovare un posto a sedere – gli dico mentre si agita inquieto con le scarpe affondate nei calcinacci - Qui non ce ne sono per tutti. Spesso si sta in piedi. E se per caso ha voglia di andare in bagno, dovrà fare la fila insieme a tutti noi. I “bagni” sono maleodoranti, pieni di scritte sui muri. Le manopole sono quelle anni sessanta, che cigolano. L’acqua che esce dai rubinetti è satura di terra.Lo guardo e mi chiedo se abbia capito. - Benvenuto in questo posto che si chiama retrocessione, Presidente. Per lei è la prima volta, per noi la quinta.

 

Trascorsero altri anni con noi accampati in questo scalo dimenticato.I più anziani se ne andarono ricordando gli anni della loro gioventù, quando l’aria si chiamava libertà. Anche noi, che avevamo qualche anno di meno, trascorrevamo le serate sulla pensilina, accompagnandoci con una canzone triste alla chitarra, parlando di come in fondo noi avessimo vissuto in passato cose stupende! No, noi non potevamo certo finire i nostri giorni nella polvere! Noi meritavamo di più… noi eravamo di più, che diavolo, e chi se ne importava se continuavamo a vivere nella polvere, tanto noi eravamo noi, e presto o tardi saremmo tornati nel posto che ci spettava.Ma sapevamo anche che alle volte il cerchio non si chiude e che non basta appellarsi a qualcosa di magico per realizzarlo.I bimbi e i ragazzi giovani sparirono. Per loro era facile. In molti abbandonarono la stazione e attraversarono la galleria a piedi, entrando nell’altro mondo. Spogliandosi per sempre di questo e scegliendo una vita più facile.Ne perdemmo veramente tanti.Come puoi pretendere che un bimbo ti creda, se gli dici di essere un nobile e da anni vivi in un posto malsano?Nel 2005 salimmo su un treno che tornò indietro dopo pochi giorni. L’ennesima beffa.Poi nel 2006 se ne presentò un altro ancora.Filante, sapeva di nuovo. Balzammo sopra in massa.Salutammo per sempre la stazione in una notte di giugno.Ci sentivamo come non mai.Era arrivato il nostro momento.Bye bye luogo maledetto, a mai più rivederci.I nostri foulard sventolavano dai finestrini quella notte, mentre il profilo della vecchia e sinistra stazione si allontanava lontano, nell’oscurità.Già…

 

Il Presidente guarda i treni che si fermano e la gente che sfotte.Mi sembra turbato, essere preso per i fondelli dal presidente del Mantova non è il massimo della vita. Per la prima volta vedo una smorfia di rabbia sul suo viso.Vorrebbe tornare sulla pensilina, dove è accampata tutta la gente silenziosa e indifferente.Ma lo fermo.- No, non se ne vada – dico deciso.Mi sono rialzato in piedi mentre lui era già voltato.- Stia qui. In questo momento c’è più da fare qui che laggiù.- Qui? Ma io…- Io niente. Venga, facciamo due passi.Forse non si aspettava il mio tono deciso.Forse non me lo aspettavo neanche io.

 

- Ho vissuto cinque retrocessioni nella mia vita…Il sole è poco sopra di noi, le nostre ombre ci precedono per pochi centimetri sul grigio della polvere. Stiamo camminando allontanandoci dalla stazione, in quella distesa di detriti che sembra uscita da Ground Zero. Oltre lo steccato c’è la città, intravedo la Mole, distante. Quasi mi prende una mora al cuore al pensiero che c’è la città ma non ci sono io. Come faccio a spiegarglielo?- Cinque retrocessioni - proseguo - Credo che se me l’avessero detto anche solo una ventina d’anni fa, magari all’inizio del 1989, credo che mi sarei sparato. Su due piedi, PUM!O avrei sghignazzato come un pazzo, dando del mattacchione al mago che stava predicendomi il futuro. E invece, Presidente, il mago mattacchione aveva ragione… - Mi fermo e guardo oltre il recinto.  - Il mazziere ci ha fornito una mano perdente. Rien ne va plus. A saperlo tanto valeva non giocare… 5 retrocessioni, 5 volte con la testa tra le mani. Ne ho viste tante, ma credo che questa sia la più brutta di tutte…- Sì, ma io non ho tempo per queste metafo…- No invece! Adesso mi sta ad ascoltare sul serio. – Mi volto e devo avere la faccia da incazzato. Forse ne ho ben donde.- Allora, come è stato farsi prendere per i fondelli da una squadretta come il Mantova? Bello, vero? Che sapore lascia Presidente? Suppongo amaro, immagino che sia giustamente incazzato, no? Bè, pensi che noi veniamo presi per il culo da vent’anni. E mi perdoni la citazione di Pascoli.  Come crede che possiamo sentirci? Rancore, livore, rabbia e frustrazione. Tutto quello che una volta era l’antitesi di Toro… eccolo qui dentro di noi… -Sono infervorato e, come sempre quando credo fermamente in qualcosa, sembro incazzato nero.Punto il dito contro la stazione lontana.- Ha visto la gente laggiù, Presidente? Li ha guardati in faccia? Ha notato la voglia di non crederci più… i sorrisi mesti di sarcasmo? Ha respirato l’aria su quel treno che ci ha riportato in B…? Sa qual è l’unico modo di radunare tutta, ma dico proprio tutta quella gente laggiù e schiodarla? E portarla via…? No, non il cuore granata. E neanche il tremendismo. No, sono troppi anni che sentiamo questa tiritera e abbiamo raschiato il fondo del barile...Lascio la domanda sospesa per qualche istante negli sbuffi di polvere.- Faccia leva sulla nostra rabbia. Sulla nostra eterna voglia di rivincita. C’è bisogno che qualcuno incanali la nostra voglia di rivalsa sportiva. Soltanto così ci sarà ancora un miliardesimo di speranza di uscire da questa situazione. Se non lo fa lei, chi può farlo? Il Mago Zurlì, forse?- Sì – mi interrompe – ma noi stiamo lavorando per fare bene e…- A me queste parole non interessano! – sbotto come un indemoniato.Poi prendo fiato.- Presidente – cerco di calmare il tono della mia voce, poi sbircio la stazione per essere sicuro che nessuno ci senta – Glielo dico a quattr’occhi perché non voglio che nessuno ascolti… Lei sa che in molti la sostengono ancora soltanto perché sono terrorizzati dal fatto di poter cadere nelle mani di qualche avventuriero? Uno di quelli immanicato magari con il ramo edile, che per l’ennesima volta usi il Filadelfia come cavallo di Troia per poi fregarci? Lei sa bene questo, vero? Sa che in molti la sostengono ancora non certo per i risultati ottenuti, ma perché risulta quantomeno anomalo un insieme di attacchi congiunti contro di lei neanche ci fosse Bin Laden alla guida del Toro? In molti la difendono soltanto perché vedono sciacalli disgustosi e opportunisti che le fanno la guerra, legati a quell’ambientin torinese ruffiano che non ha mai saputo fare altro che chinare la testa ai voleri superiori… Riesce a comprendere tutto questo? No no, non scuota la testa. Perché questo consenso è basato sul terrore degli sciacalli e dei condor, ma da solo non può bastare! E’ ora che si dia veramente da fare, che metta in pratica quello che ha, spero, imparato in questi anni! -Stavolta non mi risponde. Ne approfitto per andare oltre.- Vede laggiù, oltre lo steccato? Vede quella costruzione E’ il nuovo stadio dei gobbi, con annessa cittadella. Sarà pronto tra qualche mese. Immagini la fanfara, gli articolini degli scribacchini sudditi, che pontificheranno la gobba come unica squadra di Torino, mentre noi saremo qui a marcire… !Mi incavolo di nuovo. Anzi, mi incazzo stavolta- Ha visto cosa capita? I segnali c’erano già tutti, del resto c’è uno stadio da riempire… I segnali c’erano tutti maledizione! E qualcuno ha manovrato gli scambi giusti al momento giusto per far sì che il nostro maledetto treno tornasse qui. Ma se noi avessimo preso per tempo un altro binario, se noi fossimo stati un convoglio veloce, anziché un treno merci, tutto questo non sarebbe successo! Avrebbero potuto manipolare tutti gli scambi del mondo, ma il treno sarebbe andato dritto invece che finire qui!Prendo un pezzo di cemento da terra e lo scaglio lontano.- Per noi è la quinta volta in questo deposito di ciarpame, Presidente. Ora sa come funziona il gioco. Se ha anche solo un centesimo della nostra rabbia, faccia quello che strapuò per toglierci di qui… Lo guardo negli occhi, sperando che capisca…- In molti non la seguiranno, in tanti le daranno addosso e forse molti di noi si sono talmente abituati a questo clima di calcinacci, che non vorranno lasciarlo tanto facilmente. Però adesso lei sa come funziona. L’ha provato sulla sua pelle. Oltre che sulla nostra.Mi avvicino, quasi a un palmo da lui. Parlo piano.- Ammazzi questo stramaledetto ennesimo campionato di B, Presidente. Sembra una bestemmia, vero? E invece non lo è! Questa è l’ultima fermata, non ce ne possono essere altre. Crei una squadra vera, prenda calciatori sconosciuti ma che abbiano la rabbia nel corpo e la nostra stessa voglia di affermazione e rivincita. Faccia in modo di fare poche chiacchiere e molti fatti, ci porti a riscoprire il piacere della palla che rotola in porta. Si liberi dei pesi morti, dei bolliti e degli ingaggi miliardari… - faccio una smorfia - Il solo pensiero di veder zampettare ancora Barone sul campo mi annienta…!Fa per dire qualcosa, ma gli faccio segno che non ho finito.- Presidente, prometta premio doppio, triplo in caso di vittoria contro il Mantova, come tanti anni fa il Napoli fece con noi spedendoci in B.Faccia in modo che il Toro torni ad essere rispettato sul campo e che non possa essere oggetto di sberleffo di una tifoseria nata due giorni fa. Quando il Toro giocherà contro il Mantova, Presidente, si ricordi anche di questi giorni.LAsci un ricordo indelebile a livello sportivo a questa gente.Se rivincita deve essere, da qualche parte si deve cominciare… -Devo essere diventato una smorfia infervorata di rabbia. Ma non riesco a fermarmi.- E poi, dica chiaramente se qualcuno ha remato contro in questi anni. Lo metta con le spalle al muro. Se qualcuno ha ostacolato il Toro, dall’interno o dall’esterno lo dica. Prenda a pedate chi ha giocato contro gli allenatori. Non se ne può più di queste storie. Non è possibile che Torino granata sia l’unico posto dove il tocco di Re Mida funziona al contrario e trasforma perennemente l’oro in una sostanza poco gradita!

 

Mi fermo.Chissà se mi ascolta.Chissà se crede in quello che dico.Chissà se oramai ci credo anche io.Perché parlo in fondo?Sbuffo in segno di resa.

 

- Posso andare ora? – dice luiAllargo le braccia. Non lo trattengo.Si volta, mentre una piccola nuvola attraversa il cielo e rende la polvere più grigia del grigio.Lui fa qualche passo in direzione della stazione, poi si gira.- Tu non vieni? Cosa farai ora? – mi chiede.Penso alla voglia di staccare, alla voglia di rimanere da solo.Penso al momento nel quale arriverà il prossimo treno.Se ne arriverà uno, chissà se avrò voglia di salirci.- Io… io forse so scrivere racconti. Magari ne scriverò qualcuno… - dico poco convinto.Si allontana, mentre una folata di vento fa turbinare polvere e piccoli calcinacci.Mi siedo lì, su uno dei tanti detriti.Sollevo un pezzettino di cemento e lo lancio poco lontano, cercando di colpire un barattolo.Quasi mi piace sentire il suono del piccolo proiettile che rimbalza e rotola in mezzo agli altri.Tic-toc-tac.Tic-toc-tac.Uno dopo l’altro mentre la polvere si alza e si abbassa portata dal vento. Mauro Saglietti

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