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Il derby delle curve

Il derby delle curve - immagine 1
di Mauro Saglietti
Redazione Toro News

Se questa fosse una puntata di Blu Notte, il noto programma trasmesso da Rai Tre, il conduttore comincerebbe la trasmissione dicendo:- Questa è una storia vera. Una storia con il finale thrilling. Una di quelle vicende che comincia sui banchi di scuola, la storia di un derby e di una sfida impossibile da vincere”.Poi la telecamera scorrerebbe lentamente la scenografia, con le sagome in cartone dei protagonisti.Si soffermerebbe su un gruppo di compagni di classe con sciarpe del Toro, poi passerebbe alla sagoma di un tifoso laziale.E alla fine si posizionerebbe su quella di un giocatore granata.- Questo è un giocatore a fine carriera. Al Toro ha dato tanto. – direbbe il conduttore -. Molti anni prima ha risolto un derby quando mancavano solo due minuti alla fine. Si è trovato al punto giusto nel momento giusto. Ricordiamoci di lui, lo ritroveremo più avanti nel corso della storia…ma andiamo con ordine. Tutto comincia in una mattina del settembre 1985…

 

- Siete pronti a perdere tutti e due i derby quest’anno?- Chiudi quella boccaccia dannata, o te la faccio tenere chiusa io a forza.Non li avevo mai potuti sopportare. Mai.Non ci potevano essere discussioni con i gobbi in classe. Benché fossimo in larga maggioranza granata, il solo sentirli vociare provocava fastidio ed eruzioni cutanee allergiche.C’era gente da noi che si vantava dei successi bianconeri in continuazione, specialmente dell’ultima coppa.Proprio quella.La coppa per la quale erano morte assurdamente tante persone. Ricordo quella terribile serata. Mentre noi facevamo trafelati il giro di telefonate, per avere notizie delle persone che sapevamo essere partite (quasi nessuno aveva amici gobbi, ovvio, ma conoscenti sì), il centro di Torino era stato invaso da persone urlanti e festanti, perché “Zio ‘fa, siamo forti! Siamo i campioni!”.Nella nostra classe c’erano persone che non solo si vantavano di quel trofeo.In molti tra loro avevano il buon gusto di tacere, ma c’era anche chi osava mettere in discussione il primato della Maratona come Curva più bella.Pazzesco! Dico, vi ricordate la curva filadelfia, quella bianconera, al Comunale?Vi ricordate quei cori che facevano solo quando erano in vantaggio?E quando urlarono “Göba” pensando fosse un inno a loro favore?Il ghiaccio era lava al confronto di quella gradinata. Sarà che quei colori non si sono mai adattati a coreografia e passione.Destino voleva che all’interno della nostra classe convivessero, oltre all’anima granata e alla insignificante presenza gobba, anche una sparuta rappresentanza laziale.Proprio così. Non si sa come, non si sa perché, ma ben due ragazzi tifavano per i lontani biancocelesti, che per giunta erano sprofondati in serie B l’anno precedente.Stanchi delle continua provocazioni gobbe, decidemmo di accettare una sfida particolare.Fu un derby nel derby.Decidemmo così che uno dei due amici laziali avrebbe assistito alla stracittadina d’andata nella curva dei gobbi, mentre in occasione del derby di ritorno sarebbe stato ospitato in Maratona.Dopodiché avrebbe espresso il suo insindacabile giudizio.

 

- E’ l’inizio autunno del 1985 – direbbe il conduttore se fossimo in una puntata di Blu Notte -, le radio ci fanno ballare con Into the groove di Madonna, Rock me Amadeus di Falco, We don’t need another hero di Tina Turner e Alive and kicking dei Simple Minds, il Presidente del Consiglio è Bettino Craxi, compare in Italia la benzina verde e a Torino si sta aspettando il derby di andata.

Il Toro, piazzatosi al secondo posto l’anno precedente, dietro al Verona di Bagnoli, era rimasto orfano di Aldo Serena, peraltro giunto in prestito dall’Inter, dopo un lungo tira e molla. I nerazzurri lo avevano girato proprio alla gobba, guarda caso, e tutto il nostro amore per il giocatore che ci aveva fatto vincere un derby indimenticabile, si era trasformato in odio viscerale.

Sappiamo tutti come andò a finire la stracittadina d’andata.Quando è destino è destino.Se odi un giocatore e questo dopo quattro minuti ti ha già fatto gol per un pallone tiratogli sulla pancia, non puoi che maledire davvero il destino perché sai che già tutto è segnato.In più ci si mise anche una punizione del solito francese a complicare irrimediabilmente le cose.Segnò Junior, su punizione deviata da Scirea, e tutto finì lì, ancora prima del termine del primo tempo.Sì, sì, attaccammo a lungo, ma nell’aria c’era qualcosa che diceva che non ce l’avremmo fatta.

Ho sempre ammirato le persone che riescono a ridere e scherzare dopo una sconfitta.Io no, potrei tentare di far finta, ma non ci riuscirei.Poche storie. Scesi le scalinate maledicendo l’altra gradinata festante e augurandomi che chissà quale missile nucleare (allora se ne parlava assai) impazzisse e facesse rotta in quella direzione.Esagerazioni a parte, trascorsi il tempo del viaggio di ritorno tra giaculatorie di ogni tipo, emesse non solo da me, ma anche dagli altri occupanti del tram, quasi tutti granata.Chi non lo era, taceva.Vi lascio poi immaginare il giorno seguente.Ci sono momenti di rabbia che vanno vissuti già pregustando il momento della rivalsa.Fu uno di quei momenti.

Sconfitta a parte, l’amico laziale non fu particolarmente entusiasta della coreografia gobba, né della curva stessa. Anzi, era stato quasi più impressionato dal bandierone che aveva coperto, come consuetudine, tutta la Maratona, poco prima dell’inizio della partita.- Ma riuscivate a respirare lì sotto? Come facevate? Che effetto fa?- Lo vedrai amico mio… - risposiGià. Lo vedrai proprio amico mio… - non potei fare a meno di pensare.Cominciai da allora il conto alla rovescia in attesa del derby di ritorno.

Nel 1985-86 il Toro continuò a frequentare le zone alte della classifica, senza tuttavia riuscire mai ad inserirsi nella lotta per il titolo.Si arrivò al derby con la gobba inseguita da una Roma in spaventosa rimonta e il Toro alle soglie dell’Uefa.

 

- E’ il 16 febbraio 1986 - dice il conduttore di Blu Notte – In cima alla classifica ci sono i Matia Bazar con Ti sento, seguiti da Eldorado dei Drum Theatre, dagli A-ha con Take on me e dai via Verdi con Diamond, il Presidente del consiglio è sempre Craxi, a Roma una settimana prima sono caduti 30 cm di neve e i tifosi granata stanno nuovamente aspettando il derby. Poi il conduttore si avvicinerebbe alla sagoma di cartone con la fotografia del giocatore del Toro.- Questo calciatore gioca col numero quattro. Lui non lo sa ancora, ma sta per trovarsi ancora una volta al punto giusto nel momento giusto.

 

 

Recuperai il biglietto per il mio amico laziale e progettai la giornata.Come sempre si entrava in Curva ore prima del match.Se volevi avere un posto nella parte centrale, col cavolo che potevi arrivare dieci minuti prima della partita.Potevi sempre provarci, se volevi provare l’ebbrezza di essere scaraventato nella pista di atletica.Quando però mancavano ancora almeno tre quarti d’ora all’inizio del match e già si era stipati ben bene, il mio amico ebbe la malaugurata idea di dire ad alta voce “Certo che di là si sta più larghi…!”.“Gesù, salvami!” pensai abbassandomi immediatamente e mollandogli un calcione.Pregai che nessuno avesse sentito o fatto caso a una frase simile.Chiusi gli occhi e mi preparai al peggio. Già immaginavo che quando li avrei riaperti, prima ci avrebbero scuoiato e solo dopo ci avrebbero chiesto il motivo di tale frase.L’Onnipotente quella volta ascoltò le mie preghiere.

Ricordo la coreografia. Una delle più belle di sempre.La baraonda si scatenò una ventina di minuti prima del fischio d’inizio.La curva fu divisa in settori verticali, lungo i quali furono distribuiti dei pennacchietti colorati. La cooperazione era fantastica. Venivano lanciati dall’alto, dall’ultimo scalino e chi li afferrava li distribuiva a chi era rimasto senza.Il laziale restò senza parole già in quel momento, immaginate la sua espressione quando scese il bandierone dall’alto.

- Allora, che dici? Riesci a parlare? – Gli chiesi fingendo superiorità. In realtà avevo il cuore che batteva fortissimo per la partita che stava per cominciare. Ogni volta credevo di sapere tutto sulla Curva, ogni volta venivo trasportato nella giostra di emozioni che si rinnovavano di partita in partita.- Incredibile… incredibile! – continuava a ripetere lui.E poi via, una cosa sola a soffiare sul campo.

Se c’è una cosa che non sopporto, è la puntualità con la quale ci presentiamo agli appuntamenti.Lasciamo perdere quelli col destino.E’ la capacità di far resuscitare i cadaveri, di far segnare Luther Blisset, di regalare punti all’ultima in classifica, di prendere un gol di pancia da chi non sopportiamo.Michael Laudrup era da tempo sotto il bersaglio delle critiche, all’interno dei gobbi.Chi segnò, dopo venticinque minuti?Indovinate un po’?

Laudrup fece passare la palla tra il palo e Copparoni, che nella seconda parte della stagione aveva preso il posto dell’infortunato Martina.Eccoci, oplà, di nuovo sotto.L’amico laziale esclamò “Nooo!” ormai parte integrante di questo spettacolo, mentre io (e non solo) mi esibivo in una sarabanda di termini decisamente poco poetici.No, un’altra sconfitta no.Cominciai a ruggire rabbia anche perché il mio amico non avrebbe avuto la possibilità di vivere lo spettacolo della Maratona in festa.

- Siete tutti degli str...! – urlò un capo tifoso tra la fine del primo e il secondo tempo, cominciando un predicozzo.Eravamo seduti gli uni sui garretti degli altri. Molti erano rimasti in piedi. Il capo Ultras se la prese col fatto che in Curva non si stesse cantando abbastanza.Nessuno fiatava. Nessuno si sarebbe permesso. Di fronte a quei capi tifosi nessuno avrebbe mai osato aprire il cellulare, se mai fossero esistiti, in un momento simile. Il malcapitato sarebbe stato come minimo sbranato.Potevi non essere d’accordo con loro, potevano essere talvolta rudi, ma erano persone carismatiche, che sapevano interpretare la partita, talvolta anche con ironia, e riuscivano a trascinare tutta la Curva con loro.Quante partite erano state capovolte così!Erano persone che sapevano fare il loro mestiere. Non ne avevi paura, li rispettavi.

Il secondo tempo fu una fotocopia del primo, col Toro a spingere sotto la Maratona, senza arrivare quasi mai ad impensierire Tacconi.Le speranze si spensero a poco a poco e l’altra curva cominciò a far festa, dopo una partita trascorsa in soggezione.Fino a tre minuti dal termine.Punizione, a una ventina di metri dalla porta bianconera.Junior sulla palla.Non era la sua posizione, lui preferiva toccare calciare da una zona del campo più ravvicinata alla porta avversaria.Prese la rincorsa.Quel giorno, invece di un tocco morbido, tirò una legnata.Tacconi volò sulla sua sinistra.

 

Il conduttore è sempre vicino alla sagoma con la fotografia del giocatore del Toro.- Questo calciatore, undici anni prima di quel derby, ne ha risolto un altro, riprendendo una respinta del palo.Ora la storia si ripete. Questa volta raccoglie la respinta non del palo, ma del portiere.E fa gol.

 

Tacconi respinse quella sassata, ma la palla non andò a finire in corner.Restò lì, a mezz’aria.Sulle prime non riconobbi il giocatore che si avventava sul pallone.La palla si infilò in diagonale.In fondo alla porta.Gol. Era gol.Capite? Era gol!!!

Come lo spieghi a chi non c’è stato?Sono già state scritte tante cose, si corre il rischio di ripeterle.E le cose ripetute perdono il loro impatto, soprattutto quando non ci sono parole adatte a descriverle.Che cosa puoi dire, da quale punto di riferimento parti?Segnare alla gobba era trovarsi nel mezzo di un’opera d’arte.Figuriamoci poi all’ultimo minuto, quando credevi già di avere perso.Non basterebbero le fotografie, o anche le immagini per raccontarlo. Mancherebbe sempre qualcosa.Un pittore potrebbe dipingere gli occhi delle persone in quel momento.Occhi spalancati, che sanno di gioia. Occhi increduli.Ma ancora non sarebbe abbastanza.Neanche l’audio di quei momenti basterebbe, neanche una canzone.Neppure una poesia E nemmeno una parola che possa riassumere il significato di un gol simile. Anche se la parola “Amicizia” si avvicina molto.Quella che ti fa sentire fratello di persone che non conosci, il piacere e la fortuna di condividere il cuore che ti scoppia e la gola che divampa in un urlo che sembra non finire mai.Le parole però sono concetti, non ti fanno provare la spinta della folla, non riescono a farti sentire le urla, a vedere la gioia delle persone.Ci vorrebbero tutte queste arti miscelate insieme.Come si fa? Mi arrendo, le parole sono inadatte, non bastano a descrivere i ricordi.Ragazzi, voi che non ci siete stati, pensate al gol di Nicola contro il Mantova.Ricordate quel momento, vero? Moltiplicatelo per tre.Per cinque, per sette, per dieci non ha importanza.Pensate a un’onda d’urto che vi scaraventa verso il basso e in questa onda d’urto ci sono persone che cadono, altre che saltano, amici che sembrano spariti chissà dove, anziani che piangono, bandiere sollevate a fatica, che sventolano verso il cielo.Oppure immaginate un giro su una giostra che ti capovolge, ti scaraventa di qua e di là, ma nel quale nessuno ha paura.E poi quell’urlo che non sai bene se ci sia o meno. Sei tu che stai continuando a gridare “gol”? Sono gli altri tifosi che te lo urlano nelle orecchie?I gobbi sono dall’altra parte raggelati.Ma quale curva filadelfia!

- Zaccarelli! E’ stato Zaccarelli! – urlai incredulo dopo aver dato un’occhiata al tabellone.Proprio Zac! Il giocatore che era ormai a fine carriera ma che tanto utile era stato alla causa granata.Nel 1975 ci aveva regalato la vittoria in un derby per 3-2, quando mancavano solo due minuti alla fine.Ora, centinaia di chilometri macinati dopo, era riuscito ad arpionare il pallone respinto da Tacconi, anticipando Manfredonia.Era rimasto lì sdraiato, aveva capito di aver segnato dall’urlo della Curva ed era stato sommerso dall’abbraccio dei compagni di squadra.L’amico laziale ondeggiava incredulo, travolto da tutte le parti dal terremoto che non accennava a terminare.Guardava sbigottito quello che gli capitava attorno, la gente che abbracciava pure lui, mentre tentava goffamente di rimettersi a posto gli occhiali.- Incredibile… - mormorava. Lo capivo leggendo il labiale. Non si poteva sentire la voce singola. Erano tante voci, ma il coro era unico.

- Non c’è paragone!!! – urlò l’amico laziale spalancando la porta della classe il giorno seguente, incurante della presenza di un professore.- Eh ma…- “Ma” niente. Non c’è paragone, non avevo mai visto niente di simile, da voi sembra di essere in gita parrocchiale!- Però…- Niente da fare. Davvero, non c’è paragone, loro sono fantastici!Sorridemmo e sghignazzammo facendoci l’occhiolino.Partissero pure le interrogazioni e quel mondo che pretendevano di insegnarti.Nessun professore mi ha mai insegnato cose tanto belle come quelle che ho imparato in Curva.La sfida era vinta.Quel derby era stato nostro.

 

Le luci dello studio si spengono, il conduttore lascia lo spazio ai titoli di coda, che scorrono sulla scenografia e sulle immagini di questa storia.Cosa è rimasto?Facile lasciarsi prendere dalla nostalgia a questo punto della storia. Sembra banale è scontato, ma non lo è.La malinconia è parte integrante di un mondo che se ne è andato, ma questa non è solo malinconia.E’ rabbia.Rabbia per quello che ci è stato portato via, sotto i colpi dei benpensanti da salotto televisivo.Un po’ oggi, un po’ domani.Si è cominciato con l’assurdo e stramaledetto Delle Alpi, diviso in anelli.Si è proseguito con la scomparsa dell’enorme bandierone che copriva la Curva.Si è andati avanti con i seggiolini stile multisala del Comunale (altro che Olimpico).Ora non ci sono più gli striscioni e in quella Curva, dove abbiamo passato la nostra adolescenza gli uni sui garretti altrui, a pensare alle ragazze e al Toro, siamo tutti ordinati.Hanno tolto la giostra e al suo posto hanno messo un villaggio turistico con i braccialetti colorati. E per cosa poi? Per avere gli stadi a norma per i Campionati Europei?Quanto mi è dispiaciuto quando non ci sono stati assegnati! Davvero, ho pianto tutta la notte…!Quale sarà il prossimo passo? Gli applausi finti? La maglietta di Del Piero obbligatoria? I cori prestabiliti? Lo scanner cerebrale?Bene, prima che mi facciate la scansione al cervello per sapere che cosa penso della gobba, sappiate che penso le stesse cose che urlavo vent’anni fa.La stessa associazione di idee…

Cosa è rimasto?La storia di una sfida impossibile da vincereImpossibile sì, ma per loro.Non per noi.La fortuna di esserci stati, l’obbligo di tramandare questi momenti, affinché non ci si abitui all’omologazione del presente verso i bianconeri.E soprattutto la voglia di cacciare il pallone dentro quella maledetta rete, sapere che stai facendo gol agli altri, agli “estranei”, a questa cultura del pop-corn, delle ragazze pon-pon e di inni da dj, che non hanno niente a che vedere con la storia di questa città.

Sapete amici, non so se sia tanto il Toro che segna o la gobba che prende un gol.O forse tutte e due.So solo che quando quella rete si gonfia, è sempre troppo bello.Quasi un’opera d’arte.Forse lo è davvero. Mauro Saglietti

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