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Il giallo di Firenze…

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di Guido De Luca
Redazione Toro News

Agli esordi di questa rubrica, poco più di un anno fa, scrissi di una partita del Torino giocata a Cagliari nel 1996 con una divisa da gioco arancione. Espressi tutta la mia disapprovazione per quella novità dell’era moderna dettata da esigenze di merchandising, ignaro che non fu quella la prima volta in cui il Toro si vestì diversamente dal solito color granata della prima maglia o al massimo dal bianco bordato di granata della maglia di riserva.Un amico lettore della rubrica, di nome Giancarlo, collezionista di foto, articoli e materiale vario che riguarda la nostra amata squadra, dopo aver letto l’articolo, mi scrisse e mi spedì due foto del Torino del 1981 vestito di giallo con i bordi blu, impegnato in trasferta a Firenze. Si trattava del 5 aprile ed era la seconda apparizione con quella tenuta da gioco nello stesso campionato. Pochi mesi prima, infatti, l’undici di Pulici e Graziani andò in scena a Pistoia con la stessa divisa da gioco. Anche lo stemma del Toro era colorato di blu. Naturalmente, si può presupporre che l’abbinamento del giallo e del blu fu adottato in onore ai colori della città di Torino. Abitudine, invece, consolidata dall’altra squadra di Torino che, alla fine degli anni ’70 e per buona parte degli anni ’80, quando giocava fuori dalle mura amiche, rinunciava al triste bianconero della prima divisa da gioco, per portare i colori di una città alla quale non è mai appartenuta realmente. Una scelta del genere, oggi come oggi, per il nostro Torino sarebbe alquanto discutibile: non tanto per il gioco cromatico così lontano dalla tradizione del sanguigno granata, ma per il trattamento che la nostra città, la città in cui siamo nati e viviamo ed il cui nome solo la nostra squadra ostenta fieramente, ci sta riservando. Siamo alla vigilia delle celebrazioni del 60° anniversario della tragedia di Superga, ci ritroviamo donchisciottamente a combattere contro i mulini a vento per la ricostruzione anche solo parziale di quello che fu il teatro delle epiche gesta del Grande Torino. Il comune che, per paradosso, ha come primo cittadino uno che si dichiara tifoso del Toro, non risolve una situazione grottesca. La squadra della prima azienda italiana, che comanda e tiene in ostaggio la città, ha la possibilità di ricostruire lo stadio Delle Alpi, eretto per i mondiali di calcio del 1990, ne diventa proprietaria, ci costruisce attorno centri commerciali e amenità varie, mentre la società di calcio che porta il nome di Torino chiede solamente la possibilità di riportare al decoro quattro mura che furono abbattute avventatamente 15 anni fa circa e di riappropriarsi di uno spazio in cui poter far rivivere la storia non solo della città di Torino, ma anche dell’Italia intera.Meglio, quindi, colorarsi come in alcune occasioni del campionato scorso, di arancione e nero, divisa dei pionieri della Torinese Fc da cui poi nacque il Torino Calcio del 1906, piuttosto che agghindarsi di giallo e blu. Meglio il nero della terza divisa di una decina di anni fa che ci faceva assomigliare ai temibili all blacks neozelandesi del rugby che assomigliare a degli spauriti canarini. Meglio comunque qualsiasi altra soluzione cromatica, piuttosto che portare i colori della città di Torino, che dall’anno del nostro fallimento societario si è dimostrata così ingrata nei nostri confronti. Tornando, invece, alla foto di quel Fiorentina-Torino, permettetemi di farvi notare, con un pizzico di nostalgia, la poesia delle mani nude del portiere Terraneo, che cerca di opporsi senza guantoni al potente rigore calciato da Antognoni, autore quella domenica di una doppietta. Il calcio era ancora lontano dalle manie che imperano adesso di accessori di contorno che diventano ben presto un culto. Non si usavano molto i parastinchi, non s’indossavano mascherine protettive se uno aveva il naso rotto, non si usavano occhiali da sole se un giocatore soffriva di un’allergia agli occhi, tanto meno si vedevano portieri con il casco in testa. Piuttosto non giocavano.Personalmente mi mancano quei tempi in cui il calcio era meno spettacolare e televisivo. Mi mancano i tempi in cui giocavano ancora i gemelli del gol e Zaccarelli, i tempi in cui l’allenatore Rabitti, che aveva sostituito Gigi Radice sulla panchina l’anno prima, si dimetteva dopo aver guidato egregiamente la squadra, perché iniziava a intravvedere i cambiamenti verso la modernità di un calcio in cui non si riconosceva più. Non reggeva lo stress e la squadra fu affidata a Cazzaniga.