Semifinale di ritorno della Coppa Italia, 31 marzo 1993, si gioca, per combinazione contro i bianconeri. Il derby di andata, giocato circa tre settimane prima è stato dominato dal Toro, ma si è risolto soltanto in un pareggio: 1-1. La rete segnata dai bianconeri in trasferta li favorisce enormemente in vista del ritorno. Quante volte siamo arrivati sempre ad un passo dalla gloria per venire poi beffati! – penso tra me durante il tragitto che mi porta allo stadio.. Mi tornano davanti agli occhi le immagini di tante finali di Coppa Italia perse, semifinali buttate alle ortiche…. e Amsterdam soltanto l’anno prima, che mi getta ancora nello sconforto. Tutto quello che ho trovato è un biglietto per il settore accanto alla Maratona, lato Distinti. Mi incavolo con me stesso per non essermi svegliato prima nel cercare un tagliando della Curva. Quella però sarà la mia fortuna. Sembra davvero tutto già scritto. Le squadre entrano in campo e la Juve segna. Dopo quattro minuti corner per loro sotto la Maratona, colpo di testa di Conte, traversa, palla che rimbalza contro la schiena di Marchegiani e gol. Ecco fatto, rocambolesco e pazzesco. Sfoghiamo invano la nostra rabbia, ma nel primo tempo non capita altro. Juventus-Torino 1-0, come da copione. Scatta però la variabile impazzita che manda all'aria i piani juventini e soprattutto i miei presagi nefasti. Si materializza sotto le iniziali PP che noi del Toro conosciamo bene, non quelle di Pulici, ma quelle di
mondo granata
Il gigante e il silenzio
Capisco di essere svenuto dopo un numero di istanti non precisato.
Lo capisco perché mi trovo per terra su di un seggiolino ed ho tanta gente attorno, compreso il mio amico che urla.
Cosa è successo? Non lo so, non mi era mai capitato e l’unica volta che capiterà ancora sarà tredici anni dopo, in uno spareggio play-off dopo un gol di Nicola.
Ho urlato troppo, chiaro come il sole. La testa gira e non capisco più un accidente, sento solo gente che salta e balla, perché col 2-2 siamo in finale.
Non ce la faccio proprio, devo prendere aria nel settore retrostante, nella parte di stadio che digrada verso l’uscita.
Mi siedo e cerco di respirare. Mancano dieci minuti alla fine della partita, che vivo attraverso le urla e i fischi che arrivano da pochi metri più in là.
Ma non sono solo.
Pochi metri alla mia destra c’è un uomo grande e grosso che sta andando avanti e indietro a rapide falcate. Non ha nessuno attorno, sembra voler rimanere da solo. La sua espressione accigliata mi fa capire che sta soffrendo, ma non per un malanno fisico.
Sta soffrendo per il Toro e per quei minuti che ancor mancano.
Lo riconosco subito, ma non oso parlargli.
Comincio a camminare anch’io, chi se ne frega se vado per terra di nuovo.
Camminiamo su e giù senza dire una parola, scambiandoci la tensione ed i pensieri.
La gente urla, probabile che la palla stia danzando nella nostra area ed il tempo non passa mai. Quanto mancherà?
Vorrei chiederlo a quel gigante che non vuole vedere quei minuti finali e mi piacerebbe sapere quali sono i pensieri, le promesse e le scaramanzie che ci accomunano in quel momento.
Ma non oso parlargli.
Due minuti, un minuto… dovrebbe essere finita da un pezzo…
Continuiamo a camminare senza parlare come degli atomi, in attesa di un fischio che continua a non arrivare. Quel giorno l’arbitrò concederà sette minuti di recupero ai bianconeri.
Lui scuote la testa, gli istanti sembrano fermarsi.
Poi il boato.
Non posso ripetere ciò che lui urla al cielo in quel preciso istante.
Un unico, enorme grido, diretto alla squadra avversaria.
Senza neanche conoscerci e senza rivolgerci neanche una parola ci abbracciamo lungamente come due vecchi amici.
Questa è la mia istantanea di oggi: un uomo ed un ragazzo che si abbracciano di gioia granata, mentre tutto attorno esplode la festa.
Poi il gigante si allontana senza dire una parola
Forse perché non serve.
Quell’uomo si chiamava Cucciolo ed era uno degli storici storici capi della tifoseria..
Qualche tempo fa’ se ne è andato via, proprio come quella sera, senza salutare.
Forse a quel burbero gigante buono sarebbe piaciuto proprio così.
Ciao amico, mi va di ricordarti con questa piccola istantanea.
Ora il tuo Comunale è diverso, sai? Le squadre non entrano più in campo da sotto la curva, da dove tu ci indicavi quando era il momento di scatenare il tifo.
Ci mancano quegli attimi e ci manchi tu.
Tante cose sono cambiate, ma noi ci stiamo provando comunque…
Ciao amico, alle volte un’emozione è fatta di mille parole non dette. Mauro Saglietti
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