Nella foto qui a fianco Gianmauro Borsano stringe la mano al nuovo talento uruguayano Marcelo Saralegui nel giorno della sua presentazione agli organi di stampa. E’ un’atmosfera pesante quella che si respira a Torino nell’estate del 1992. E’ ancora vivo il ricordo della sconfitta in finale di Coppa Uefa, ma la tifoseria granata ha già altro a cui pensare; il presidente Borsano ha appena venduto Gigi Lentini al Milan di Berlusconi. Un trasferimento che farà parlare per anni a tal punto che ancora oggi sono molti i dubbi sull’entità reale del costo di quell’operazione di calcio mercato. Di sicuro nelle casse granata sono entrati diversi miliardi sotto banco. Svestono il granata anche Cravero, Benedetti e Policano, che sarà sostituito dall’ex laziale Raffaele Sergio. Arriva Pato Aguilera dal Genoa che formerà con Casagrande prima e Silenzi poi una fortissima coppia d’attacco. Per il centrocampo l’investimento più ingente è quello appunto di Marcelo Saralegui. Sbarca a Torino appena ventenne, in patria è considerato una nuova stella. Giunge dal Nacional di Montevideo. Giovane, robusto con una folta chioma di riccioli, assomiglia più a Ninetto Davoli che a un giocatore di pallone. L’allenatore Emiliano Mondonico non lo prenderà mai in considerazione. Le cronache riportano le notizie di qualche acciacco di troppo, in un caso addirittura durante la fase di riscaldamento prima di un derby. Saranno stati infortuni come si suole dire diplomatici, ci sarà stata anche poca pazienza nell’attendere colui che in Uruguay sarà poi considerato un’icona del calcio nazionale tanto da indossare anche la fascia di capitano in diverse occasioni con la maglia della Celeste, ma Marcelo Saralegui al Torino giocherà solo due spezzoni di gara senza far intravedere nulla di particolarmente esaltante. Il testimone della società nella stagione 1992/1993 passa da Borsano, travolto da un forte crack finanziario e giudiziario, al notaio torinese Goveani che si scoprirà poco più tardi essere solo il suo prestanome. Il Torino è ancora una squadra forte e, sebbene abbia perso qualche pedina importante, non solo si fa rispettare in campionato, ma trionfa in Coppa Italia. Lungo e difficile il cammino: batte la Juventus sul doppio confronto in semifinale e si mette in luce il nuovo giovane attaccante veneziano Paolo Poggi. Suoi i due gol memorabili che hanno permesso al Toro di arrivare in finale contro la Roma. E’ una piccola rivincita della beffa subita l’anno prima ad Amsterdam, ma la vittoria nella competizione nazionale spalanca le porte ad un intrigante cammino nella ormai scomparsa Coppa delle Coppe dell’anno seguente. Il vero leader di quella squadra è comunque Vincenzino Scifo. L’italo belga gioca in granata già da una stagione. E’ il costruttore di gioco; gli è stato sempre rimproverato di tenere troppo il pallone, ma non ne ha mai sprecati troppi. Nella finale di Roma, in cui l’arbitro Sguizzato fischiò tre rigori contro l’undici granata, gioca come un leone e conclude la sua carriera in granata alzando un trofeo che mancava dal 1976.
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