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Il lunedì del tifoso in trasferta

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di Walter Panero
Redazione Toro News

Oggi “La Risalita” avrebbe dovuto parlare della vittoria sul Padova del 15 ottobre 1989 con gol di Romano, Skoro e Cravero. Una vittoria che, visto il contemporaneo pareggio del Pisa sul campo del Licata, ci portò a raggiungere per la prima volta da soli la vetta della classifica nella stagione 1989-90. Dodici punti contro gli undici dei nerazzurri toscani. Ma, invece di tornare indietro di vent’anni come faccio di solito, stavolta ho deciso di raccontare un’avventura assai più recente. Spero che il resoconto di come ho trascorso la mia domenica sera ed il mio lunedì non risulti troppo noioso. Magari qualcuno sbadiglierà. Ma ci sarà di sicuro qualcun altro che si riconoscerà nelle cose che scriverò. Ci sono tifosi del Toro che allo stadio vanno a piedi, ma ce ne sono alcuni che per il Toro si sobbarcano lunghi viaggi. Questo resoconto è stato scritto soprattutto per loro.

di Walter Panero

Prologo

Maledizione! Ancora una partita di lunedì sera! Che schifo ‘sto calcio moderno! Il Mister si lamenta perché, con tutti questi orari sballati, i nostri ragazzi non riescono ad allenarsi con continuità ed il loro rendimento ne risente. Ha ragione, ma i grandi capi del calcio pensano soltanto ai soldi. Il Toro è l’unica squadra di B che fa “cassetta” e se potessero lo farebbero giocare sempre di lunedì sera. Pazienza se c’è qualcuno che, in tutto questo giro di soldi, ci rimette. Chi se ne frega? In fondo, noi tifosi del Toro che veniamo da lontano contiamo meno di nulla. Con l’Empoli me ne sono rimasto a casa a soffrire davanti alla TV. Col Padova non ho resistito e mi sono sobbarcato un viaggio di due ore in macchina. Effettivamente, con l’Ancona potrei starmene a casa comodo in divano davanti alla televisione. E invece no! Non glie la darò vinta! Alla faccia di chi vuole i salotti pieni e gli stadi vuoti, io ci sarò anche stavolta! Non posso resistere al richiamo degli amici. Non posso resistere al richiamo del Toro.

Domenica 4 ottobre

Ore 20.15. Periferia Nord di Torino.

Saluto mia moglie che può rimanere qui a Torino dai miei e domani mi raggiungerà allo stadio. Mi manda un bacio dal balcone mentre salgo in macchina. Che coraggio ci vuole per stare con un pazzo come me. Tre quarti d’ora dopo sono al Lingotto. Parcheggio davanti alla Stazione. Spero vivamente di ritrovare la mia macchina intatta domani sera.

Ore 21. Stazione Lingotto.

Faccio i biglietti alla macchinetta. Questi marchingegni moderni non funzionano mai al primo colpo. Per fortuna ce n’è un’altra. Biglietto per stasera, per domani sera, per martedì mattina. Totale trentanove euro: non male per viaggiare su treni lenti e sporchi. Alle 21.30 si parte. Come molte altre volte. Dopo le partite, quando viaggio in treno, parto sempre dal Lingotto che è più facilmente raggiungibile dallo stadio. Dopo la delusione di Toro-Genoa del maggio scorso sono partito da qui. Credo che questi muri si ricordino ancora di tutte le velenose imprecazioni che lanciai quel giorno al telefono. Contro tutto e tutti. Contro il Genoa. Contro i Genoani.

Ore 23.45. Genova. Stazione Brignole.

Arrivato. Fa caldo. E’ ottobre ma fa ancora caldo. Fa sempre troppo caldo in questa città. Aspetto un autobus che non vuol saperne di arrivare. Poi, finalmente, lo intravedo. Ci vogliono pochi minuti per percorrere Via Venti Settembre in autobus. Altrettanti per fare Via San Lorenzo a piedi. C’è parecchia gente. Alcuni turisti. Alcuni ragazzi in uscita serale. Qualche disperato. Degli alpini che non sai perché si trovino qui dove è pieno di gente e non nei vicoli più nascosti dove magari stanno ammazzando qualcuno. Alcuni mi guardano incuriositi dal mio borsello del Toro. Che ne sanno del Toro questi? Le loro squadre sono in testa alla classifica. Che cosa glie ne importa del Toro e di un povero pazzo granata?

Mezzanotte passata. Casa.

Finalmente a casa. Finalmente una bella doccia. Finalmente si va a letto. Non  prima di aver dato un’occhiata a “Toronews”. Il mio pezzo di sabato è stato molto letto, ma ha un solo commento. Che vale per dieci tanto è bello. Posso andare a dormire soddisfatto. E’ già lunedì, ormai. E sarà un lunedì molto lungo e molto pesante.

Lunedì 5 ottobre

Ore 6.30. Sveglia.

Vorrei spaccarla questa cavolo di sveglia. Non posso. E comunque non servirebbe a nulla. Ormai sono sveglio e mi conviene alzarmi. Mi vesto per il lavoro. Preparo lo zaino mettendoci dentro una maglietta e una felpa del medesimo colore. Non prendo la bandiera: ce l’avevo col Padova e, per motivi facilmente indovinabili, ho deciso quella sera che non l’avrei portata più.

Ore 7.00. La sciarpa.

Esco di casa. Prendo l’ascensore come ogni mattina. Sono quasi al piano terra. Azz! La sciarpa! Ho dimenticato la sciarpa. Schiaccio il pulsante dell’Alt. Cerco di tornare su. Oh mamma mia. Questo coso non riparte. Sono rimasto bloccato qui dentro. Sudore. Un po’ di ansia. Suono l’allarme. Devo stare calmo. Verrà qualcuno a tirarmi fuori di qui. In effetti qualcuno arriva. Ho tirato giù dal letto la custode che viene e mi libera. Torno su e recupero la mia bella sciarpa “estiva”. Valeva la pena di rimanere bloccati: non si può andare allo stadio senza sciarpa. Non esiste proprio. Certo, penso sull’autobus che mi porta al lavoro, se il buongiorno si vede dal mattino….

Ore 8.00 – ore 17.00. Lavoro. 

  Lavoro. Pensando al Toro, ma lavoro. Al bar dove pranzo è pieno di genoani: qualcuno mi prende in giro, qualcuno mi ignora, qualcuno si toglie il cappello. Per questi ultimi chi segue la squadra anche in B, al di là delle difficoltà logistiche, è comunque degno di rispetto. Ed io per questi genoani, quelli della serie C e dei vecchi gemellaggi di un tempo, il rispetto non l’ho perso e non lo perderò mai.

Ore 17.00. Si riparte.

Ragazzi ci vediamo domani. Saluto tutti al lavoro. Il capo gobbo sorride maligno. Che ne sa lui di cosa significa essere del Toro? Che ne sanno tutti quanti?

Ore 17.30. Genova. Ancora Stazione Brignole.

Ancora qui. Il treno dovrebbe partire alle 18. Speriamo sia puntuale. Non ho poi tanto margine, una volta arrivato a Torino. Per fortuna si parte in tempo. Fino ad Alessandria, il treno è puntuale. Poi, forse, si ingelosisce: non esiste che in questo paese tutti i treni arrivino in ritardo ed io no, deve aver pensato. Così si mette a rallentare. Una vita per arrivare ad Asti. Arriverò con parecchio ritardo. Mi sto facendo tutto ‘sto mazzo per nulla. Per vedere una partita iniziata. Per guadagnare tempo vado in bagno. Mi levo la camicia da ufficio ed indosso la maglietta e la felpa del Toro. Torno nello scompartimento. Gli altri viaggiatori mi guardano straniti. Forse sono gobbi o forse sono semplicemente stupiti dalla mia “trasformazione”: in pochi minuti il serio impiegato ha lasciato spazio ad un ultrà scatenato.Mia moglie, intanto, è arrivata allo stadio in taxi. Si è persa in una città che non è la sua. Ma ora ha ritrovato la strada e sta salendo le scale dello stadio. Almeno lei vedrà la partita dall’inizio.

Ore 20.05. Torino. Ancora Stazione Lingotto.

Venti minuti di ritardo. E’ mai possibile che in una tratta di meno di duecento chilometri un treno riesca ad accumulare venti minuti di ritardo? In questo povero paese tutto è possibile.Ora però non ho tempo per pensare. Devo correre. Recuperare la macchina che per fortuna c’è ancora. Volare verso lo stadio. Cercare parcheggio.

Ore 20.15. Torino. Via Paolo Sarpi.

Per fortuna trovo subito parcheggio. Se non ci sarà coda all’entrata, ce la farò ad arrivare in tempo. Provo a correre. Ci rinuncio quasi subito. Non ho fiato. Meglio limitarsi a camminare veloce, se voglio arrivare allo stadio vivo e vegeto. Anche in questa città fa troppo caldo. Che fine hanno fatto gli autunni torinesi d’antan che mi piacevano tanto?

Ore 20.30. Stadio Olimpico.

Ce l’ho fatta! Alla faccia di tutto e tutti, eccomi qui ancora una volta. Ecco, ancora una volta, le squadre che si riscaldano in campo. Ecco il ruggito della Maratona. Ecco la mia gente. Ecco i miei colori. Ecco gli amici di sempre. Ecco mia moglie che mi ha preparato i panini. Ecco il Polacco. Ecco Nives e Fulvio che arrivano da Milano. Ecco le formazioni. Ecco il calcio d’inizio. Bentornato a casa, sembra dirmi tutto lo stadio!

Ore 20.45-23.00. Si gioca.

Che pena. Che brutta partita. Che brutto Toro. Che sofferenza prendere un gol così pazzesco quando manca un sospiro alla fine. Che brutto, pensare che il Toro ha ancora una volta tradito la tua fiducia. In fondo che ne sa questa squadra del mazzo che ti sei fatto, che molta gente si è fatta, pur di essere qui a soffrire? Meno male che poi il nostro bomber raddrizza almeno in parte la situazione. Grazie Rolando! Ancora una volta grazie!

Ore 24.00. Ancora periferia Nord di Torino.

Casa, doccia, letto. I miei genitori mi osservano con un misto di rimprovero e compassione. Forse si aspettavano che il loro unico figlio, a quasi quarant’anni, diventasse un po’ più furbo. Ma qui non è questione di essere furbi o stupidi. Sono semplicemente innamorato. E in fondo sono stati proprio loro a trasmettermi, tanti anni, fa questo grande ed incondizionato amore per il nostro Toro.

Martedì 6 ottobre

Ore 5.30. Sveglia.

Stavolta la spacco davvero! Deve averla inventata un gobbo, questa maledetta sveglia! Ci alziamo come due automi. Anche i miei ed il cane si alzano. Siamo una famiglia di pazzi.

Ore 6.30. Torino. Stazione di Porta Nuova.

Ancora una stazione. Ancora un treno. Leggiamo il giornale. Leggiamo del Toro. Della brutta partita di ieri. Seduto al mio fianco c’è un uomo barbuto, alto e dai lunghi capelli biondicci. Sembra un cacciatore di taglie del Far West. Si vede da lontano un miglio che è del Toro e che ha voglia di parlare di Toro. C’era anche lui allo stadio, ieri sera. Non ho la minima idea di chi sia e di dove vada. Potrebbe essere un povero cristo o un gran signore. Un emerito ignorante o un colto professore. Ma non me ne frega assolutamente niente. Per me è solo uno del Toro. Uno con cui parlare del nostro caro, vecchio, dolorante Toro.

Ore 8.30. Ancora Genova.

Fine della corsa. Ancora una mezzoretta di autobus per arrivare al lavoro. Il barista, che è uno dei nostri, mi accoglie come un eroe preparandomi un provvidenziale caffè. In ufficio il capo gobbo ridacchia. Come pure gli altri colleghi. Cosa avranno mai da ridere? E allora? Siamo in B. Abbiamo raccolto un solo punto nelle ultime due partite interne. Ma noi, malgrado tutto, siamo il Toro. E voi chi siete?

Ore 18.00. Casa dolce casa.

Sonno. Molto sonno. Valeva la pena di farsi un mazzo simile per vedere una partita del livello di quella di ieri? Viaggiare, spendere tempo e soldi quando in cambio non ricevi manco una sciarpa usata, mentre altri, meno silenziosi di te, sono stati riveriti ed omaggiati? Non riesco a darmi una risposta, ora. Ma so che domenica ci sarà un’altra partita. E sarò presente di nuovo. Così come sarei presente ancora se si giocasse lunedì prossimo. Perché spero che il Toro torni finalmente a vincere e convincere. Per non darla vinta ai signori del calcio e alle loro televisioni. Per sentire le voci della mia gente. Per vedere quei colori. Per respirare ancora una volta l’aria di casa mia.