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Il mio gemellaggio

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di Walter Panero
Redazione Toro News

Vivo a Genova dall’agosto del 2005: abitavo qui da pochissimi giorni quando il Toro cimminelliano venne cancellato dalla serie A che si era conquistato sul campo. Ricordo ancora come oggi quei giorni di grande sconforto: avevo lasciato la mia città da pochi giorni e stava morendo anche il Toro che rappresentava il maggiore legame che avevo col luogo in cui ero nato e cresciuto.

A cavallo di ferragosto, lo sconforto venne in parte mitigato: quel mattino aprii come di consueto “la Stampa” alla pagina che parlava del Toro. Gramellini intervistava tale Urbano Cairo che si diceva pubblicamente disposto a rilevare il Toro dai cosiddetti “lodisti” i quali lo avevano mantenuto in vita iscrivendolo alla serie B. Ci fu poi la parentesi di Giovannone l’improponibile che si defilò come un temporale estivo. Venne settembre e, in pochi giorni, Cairo riuscì a costruire un Toro competitivo. Un Toro che partì bene e che, come tutti ricordiamo, si conquisto nuovamente la serie A nella finale col Mantova.

E il Genoa? E i genoani? Venni qui con la mano tesa in segno di fratellanza, ma mi accorsi presto che qualcosa non andava. Una parte di loro la stringeva con sincera amicizia, un’altra parte la rifiutava con sdegno. Anche il Genoa di Cosmi si era conquistato la serie A sul campo e stava facendo progetti ambiziosi con Guidolin come allenatore e acquisti importanti come quello di Lavezzi che sarebbe andato ad aggiungersi a Milito e ad un organico già buono. Ma venne fuori la storia della valigetta di Preziosi. Il Genoa venne condannato alla serie C (pena esagerata se la si paragona a quelle inflitte per calciopoli l’anno successivo). La gente la prese male mettendo a ferro e fuoco la città. E siccome in questo meraviglioso paese bisogna sempre dare la colpa dei propri guai non a se stessi ma a qualcun altro, il popolo genoano se la prese col Toro reo, a loro avviso, di aver pagato “a vincere” il Piacenza e il Venezia (le ultime avversarie del Genoa in quel famigerato campionato).

Io facevo finta di niente. Noi e i genoani siamo due facce della stessa medaglia. Siamo amici da sempre e lo saremo per sempre, pensavo. Quando parlavo con qualcuno di loro riconoscevo molto di me. Con alcuni , gente che si faceva tutte le trasferte sui campacci della C, diventai anche amico. Pur vivendo a Genova, continuai ad abbonarmi al Toro e a venire su ogni volta che si giocava in casa. Ma seguivo anche con grande simpatia l’avventura che in due anni portò i rossoblu dalla C alla A. La sera di Genoa –Juve nella serie cadetta ero sugli spalti a sgolarmi come non mai: sentivo quella partita esattamente come un derby. Dopo il pari col Napoli andai in piazza con loro a festeggiare il ritorno in serie A. Indossavo la maglia del Toro per mostrare a tutti la mia vera fede. Molti mi abbracciavano come un fratello. Alcuni mi guardavano di storto e mi facevano sentire di troppo in quella festa Napoletano – Genoana. Ma facevo finta di non vedere. Ero felice per davvero. Felice che l’antico Grifone fosse nuovamente tornato al ruolo che gli competeva. Felice perché pregustavo il momento in cui, nella stagione successiva, avremmo potuto tornare ad abbracciarci insieme sugli spalti come dei vecchi amici.

E invece….il Toro prese Novellino, l’uomo più odiato dai rossoblu. Ci attendevamo grandi cose da quel Toro che molti definivano da Uefa, mentre loro si aspettavano poco dalla loro squadra affidata ancora a Gasperini che alcuni ritenevano troppo inesperto per allenare nella massima serie. Come sappiamo le cose andarono diversamente: il Genoa sfiorò l’Uefa, il Toro si salvò solo alla penultima. In mezzo ci fu quel famigerato 3 a 0. Ero nei distinti con la mia sciarpa del Toro. Non mi aspettavo quello che stavo per vedere. Ricordavo i genoani sfigatelli e vittimisti: gli amici di sempre. Vedevo gente incazzata. Vedevo gente incazzosa. Sentivo insulti verso il nostro mister ed alcuni dei nostri giocatori. Vedevo atteggiamenti da gobbi. Mi sembrava di stare tra i gobbi: gente che si lamentava per un fallo non dato sul 3 a 0. Gente che, sempre sul 3 a 0, incitava la squadra come se si stesse giocando la finale di Coppa Campioni.

Il povero Toro era stato umiliato, ma a loro che importava? Loro dovevano vincere a tutti i costi e farlo con una cattiveria agonistica senza pari. I loro amici rischiavano la retrocessione, e loro, anziché consolarli, se ne andavano per la strade della città festeggiando come se avessero vinto lo scudetto. Per giustificarsi dicevano che puntavano all’Uefa. Peccato che poi persero quasi tutte le partite successive regalando punti a tutte le nostre avversarie per la corsa alla salvezza che per fortuna arrivò comunque, nonostante loro. Per me il gemellaggio era finito quel giorno dell’aprile dell’anno scorso. Non potevo essere gemellato con una squadra e una tifoseria così piena di sé da ricordarmi i gobbi. Cercai di farlo capire ai miei amici di Torino. Cercai di scriverlo nei forum. Non venni ascoltato. I tempi non erano ancora maturi.

Quest’anno stessa storia: all’andata un film già visto con l’unica differenza che non mi aspettavo nulla e quindi non ci rimasi male come lo scorso anno. E domenica? Tutti gli amici genoani a dirmi che la loro stagione era ormai finita. Che dovevamo stare tranquilli. Che sarebbero arrivati i tre punti. Ma io non mi fidavo per niente. E ora sappiamo che avevo ragione. Quando li ho visti esultare ho pensato alla profezia di mia moglie che da mesi mi diceva che sarebbe stato proprio il Genoa a cacciarci in B. Naturalmente mi sono incavolato e sono stato tra i più scalmanati ad insultarli. Ma non c’era ragione per prendersela: si sapeva benissimo che sarebbe finita così. Dentro di me sapevo benissimo che avrebbero fatto di tutto per batterci. E in quel caso che avrebbero esultato come dei matti. Forse qualcuno si aspettava che i genoani si comportassero come noi lo scorso anno quando esultammo per il gol di Osvaldo che qualificò i Viola per la Champions. Io non mi aspettavo nulla. Da loro, almeno da molti di loro, non mi aspetto più nulla.

Purtroppo domenica sera ho dovuto tornare in questa città. E’ qui che ho trovato moglie. E’ qui che vivo. E’ qui che lavoro. Purtroppo lunedì ho dovuto incontrare decine di loro. Alcuni si sono detti dispiaciuti. Alcuni si sono addirittura scusati. E secondo me le scuse di costoro erano veramente sincere. Alcuni hanno detto che in fondo il Genoa si stava giocando la Champions ed il quinto posto. Alcuni non ci possono vedere e sono evidentemente contenti di averci dato l’ultimo calcio nel sedere. La maggioranza è assolutamente indifferente. Come ha scritto anche un giornale locale, il Genoa, questo grande Genoa è nettamente più forte di questo Toro. E chi è nettamente più forte deve vincere a prescindere da chi sia l’avversario. Era il Toro? Pazienza. Male per lui. Perché questo Genoa è una grande squadra e non può permettersi il lusso di elargire favori a qualcuno. Peccato che la stessa cosa non sia avvenuta a Bologna o col Chievo.

La verità è che questo gemellaggio qui in città è sentito ancora da molti. Ma questi hanno quasi tutti compiuto i quarant’anni. E’ la gente che ne ha viste tante. Troppe. E’ la gente che ci somiglia, che vive di ricordi, ma che ormai frequenta poco lo stadio. Gli altri, i più giovani, se ne fregano di tutto. Vivono alla giornata. Sembrano convinti che il Genoa sia sempre stato in alto e che il posto lassù sia suo per diritto. Si comportano esattamente come i tifosi delle grandi squadre per cui non esistono amici o nemici ma solo avversari. Forse hanno ragione loro. Non conoscono la storia del loro club. Non ne conoscono le sofferenze. Ignorano che la storia, non solo quella del calcio, è fatta di corsi e ricorsi. E che un giorno potrebbero essere loro ad aver bisogno di punti. Spero di esserci ancora quel giorno. E spero che saremo in tanti a ricordare. E a godere esultando per averli fatti soffrire. Onorando lo sport: né più e né meno di quanto è avvenuto domenica.