MARCO PERONI
mondo granata
Il (nuovo) DNA bianconero
Si è parlato molto, nei giorni che hanno preceduto il Derby, di cuore granata e DNA bianconero. Correndo con gli occhi sui giornali, mi è capitato spesso di trovare queste formule nei titoli o nelle interviste a giocatori e allenatori. Formule, appunto: in cui, come nei proverbi, c’è assieme al molto di vero anche un bel po’ di retorico. Personalmente, mi sono avvicinato al derby con un sentimento contraddittorio: da una parte, non essendo innamorato della Nostalgia, speravo in un Toro capace di dominare il gioco anche in virtù di un tasso tecnico superiore (oh, a parte i due-tre lì davanti, non ho mai visto la gobba litigare tanto col pallone); dall’altra, avendo il senso della Tradizione, temevo che potessimo affrontare il match senza la sufficiente grinta (cosa che, storicamente, non ci viene perdonata). Alla fine siamo andati addirittura oltre la Storia: siamo arrivati alla Filastrocca. Da un certo punto di vista è stato il Derby più banale che abbia mai visto. Tutti i luoghi comuni, le certezze, i comportamenti delle squadre e delle tifoserie sono stati una conferma puntuale delle cose che sapevamo e ci ripetevamo già da piccoli. Sono stati la rivincita del destino sugli ultimi due anni di storia calcistica: si è visto che ne possono succedere di cose, ma il karma delle società non cambia così in fretta. Ne parlavo ieri al telefono con un mio amico – a proposito: mettici una pietra sopra, adesso, coraggio! – e la pensavamo allo stesso modo: è stata la partita più prevedibile di sempre.In campo: Toro sincero, degnissimo, grintoso, passionale, ma più a suo agio con l’impresa piuttosto che con la vittoria; Juve terrestre in tutto tranne che per cinismo e fortuna… più a suo agio con la vittoria piuttosto che con l'impresa. Sugli spalti: coreografie straordinarie contro coreografie ordinarie (anche se, a onor del vero, i tifosi bianconeri scontano l’handicap dei loro colori… è una sciagura: qualunque cosa facciano, semplicemente, sta male… il bianco e nero vicino danno sempre un’idea di stinto, di grigio, di lontano, di spento… naturalmente se insistono con quel lenzuolino, è la fine). A termine gara: noi in piedi ad applaudire i giocatori in un’emozione tutta nostra, come una platea che ringrazia gli attori di aver tenuto viva una rappresentazione nel rispetto del sacro copione; loro in tutto un altro film, da botteghino. Ecco, in tutta questa prevedibilità, c’è stata una cosa che è riuscita a stupirmi, ed è successa attorno al settantesimo minuto. Noi avevamo sparato già un bel po’ di cartucce, ma eravamo padroni del centrocampo e davamo l’impressione di poter attaccare ancora un po’. Nedved aveva appena steso Comotto e veniva graziato per la seconda volta (il trucco di menare e fingersi infortunato lo facevo anche io, preciso identico, a Strambino, nel campionato allievi regionali stagione ’87-’88: ma gli arbitri non ci cascavano...). Per il resto, fino lì l’arbitraggio era stato normale, se non addirittura buono. A quel punto dalla Scirea si è alzato il coro “C’avete rotto il cazzooo!!!” e ho capito: loro stavano vivendo quella partita come un Sopruso! Come l’ennesimo dimostrazione che sono “soli contro tutti”! Che il sistema ha provato a schiacciarli ma loro no, non mollano, vincono da soli contro il mondo... La tradizionale boria, unita al recente imbarazzo di chi è sorpreso a rubare, ha dato alla luce un nuovo DNA bianconero: questo strano orgoglio, questo impresentabile risultato.
Una roba da far venire i brividi, se a quel punto non avessi incrociato gli occhi di una manciata di fratelli in Maratona. Quella risata è ciò che voglio ricordare per un po': quella preziosa complicità di chi, anche senza conoscersi, è nella stessa barca da una vita. Un abbraccio a tutti, Marco
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