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O pato vinha cantando alegremente, quém, quémquando um marreco sorridente pediupra entrar também no samba, no samba, no sambao ganso gostou da dupla e fez também quém, quémolhou pro cisne e disse assim "vem, vem"que o quarteto ficará bem, muito bom, muito bemna beira da lagoa foram ensaiarpara começar o tico-tico no fubáa voz do pato era mesmo um desacatojogo de cena com o ganso era matomas eu gostei do final quando caíram n'águae ensaiando o vocalquém, quém, quém, quémquém, quém, quém, quém
Le note della canzone di Joao Gilberto mi risuonavano sovente nelle orecchie ogni qualvolta vedevo Pato Aguilera danzare nelle aree avversarie. La prima volta che l’uruguagio si presentò agli occhi del pubblico vestito di granata fu il 6 settembre del 1992, in occasione della partita iniziale di campionato tra Torino e Ancona. Il Toro, reduce dalla finale Uefa di Amsterdam, e orfano di Lentini, si presentava ai nastri di partenza del nuovo campionato con una coppia d’attacco fortissima. Dal Genoa arrivò, infatti, Carlos Alberto Aguilera, ribattezzato affettuosamente Pato, il piccolo anatroccolo.Abbandonato a Genova il ceco Skuhravy, si trovò a duettare con il brasiliano Walter Casagrande nel teatro del freddo Delle Alpi. L’intesa fu immediata. Doppietta di Casagrande ai dorici (risultato finale: 4-1) ispirato da un velocissimo Aguilera, e doppietta di quest’ultimo nella successiva partita casalinga con il Parma. Alto e possente Casao, basso e veloce Pato: non poteva esistere una coppia assortita in modo migliore. Funambolici in campo, estrosi anche nella vita, i due rimasero coinvolti in vicende extrasportive con ripercussioni giudiziarie. Se Casagrande fu più volte invischiato in questioni legate al traffico di stupefacenti, Pato Aguilera, a ciò, ci aggiunse anche una condanna nel 1996 da parte della giustizia italiana a due anni di reclusione per sfruttamento della prostituzione. Fu questo il motivo di fuga dal Torino e dall’Italia già a cavallo del 1993-94 per non scontare mai la pena, poi condonata con l’indulto del 2007.Di stupefacente per i tifosi granata esistevano solo le loro giocate sul campo, imbeccate dalla regia di Vincenzino Scifo. Era un Toro che si apprestava a vincere la Coppa Italia e che ancora ardeva per non aver vinto una meritata Coppa Uefa. Era una squadra che stava iniziando a perdere alcuni pezzi pregiati come Policano, Cravero, Martin Vazquez, il già citato Lentini, ma poteva ancora contare su veri campioni che facevano del calcio uno spettacolo per palati fini. E la prima squadra a farne le spese fu proprio l’Ancona dell'argentino Zarate e del magiaro Detari, allenati da Vincenzo Guerini.
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