mondo granata

Il provinciale

Redazione Toro News
di Marco Peroni

Un tardo pomeriggio della settimana scorsa camminavo senza fretta (una volta tanto) sotto i portici di via Po, quando ho cominciato a spulciare fra le bancarelle di libri usati. Una cosa che negli anni dell’università facevo quasi quotidianamente e che mi procurava una gran soddisfazione. E' stato un po’ come riappropriarmi di un gesto conosciuto, una minuscola parte di me rannicchiata da tempo in qualche angolo della testa. Facevo scivolare tra le mani un romanzo dopo l’altro, quando sono capitato su una copia benissimo conservata de Il provinciale di Giorgio Bocca. Di Bocca ho quasi tutto, mi sono sempre lasciato prendere volentieri dalla sua scrittura pieno di ritmo, immagini, odori e vele spiegate. Mi ha sempre affascinato quella mescolanza un po’ magica di reportage (parlare di Tangentopoli non come un editorialista qualsiasi, ma facendoti vedere il salotto di qualche socialista milanese degli anni Ottanta, facendoti entrare in un mondo molto preciso, a fuoco, e riuscendo poi, dopo mille particolari, a tirare le fila con una considerazione sola: tanta narrazione e poca, giusta, mirata spiegazione) e di radici (avere una specie di anima contadina che oppone sano disincanto “alle magnifiche sorti”). Insomma, questo libro è il lungo racconto di un cronista di provincia che attraversa decenni di storia italiana, sempre a una spanna dal fatto, dall’accadimento, sempre lì a prendere appunti con cervello fino e mani grosse. Sono sempre rimasto colpito dalla sua scrittura fatta con tutto il corpo, una scrittura che sa di mondo, di treni presi al volo, di agguati subiti una notte chissà dove, di indagini, di soffiate, di tante di quelle cose fino a quest'ultima, affascinante virilità senile.Me lo sono comprato (un vero affare!) e me lo sono sbranato. Dopo anni che scrivo qui sopra, ormai sapete che per me parlare di queste cose è una continuazione del Toro con altri mezzi. Dunque non mi giustifico oltre e vi lascio con il finale di questo libro che mi ha incantato. Suonerà anche un po’, ed è cosa voluta, come un saluto alla neve che si sta avvicinando.

 

“Gli ultimi due anni di poca neve mi hanno fatto paura, a leggere sui giornali dell’effetto serra mi veniva l’angoscia: dio, un mondo di cielo sempre azzurro, di aria calda, di prati nudi. Ma ora l’amica neve è tornata. Mentre son qui a scrivere nella mia stanza di Beillardey la casa è dentro una “niula bassa”, come dicono i valdostani che non conoscono la parola nebbia. La nuvola bassa è scesa dal vallone di Paramont che è di fronte a noi, sull’altro versante, è arrivata a Morgex e a Pré-Saint-Didier, ha nascosto il fondovalle e poi è risalita verso di noi della collina, come i valdostani chiamano una montagna senza rocce. Adesso sotto di me è visibile solo la casa degli Haudemand e la loro lampada gialla attorno a cui vedo mulinare i primi fiocchi di neve. Stanno scomparendo nel grigio bianco anche le luci di Challancin che, sulla collina, è la nostra ultima Tule. Si ode un batter di pala, è Enrico Pareyson il custode che vuol farmi capire che lui è pronto al suo lavoro. Adesso viene giù forte, ce ne saranno già quindici centimetri, esco a pisciare, sommo piacere celtico, guardare il foro giallino nel bianco immacolato di neve, avvolto dal fruscio della neve che cade e sono felice esattamente come lo ero nei lontani anni della neve e del fuoco. Che resta da capire? Un abbraccio a tutti, Marco