Viviamo in una sorta di porno evo che sa di vecchio, una sorta di onda lunga dei peggiori anni Ottanta che fa acqua da tutte le parti. Ci hanno abituati alle novità e adesso le novità sono un’abitudine. A furia di mettere il calcio in vetrina, non lo guardiamo più. Lunedì sera la tribuna sotto cui D’Ambrosio andava in sovrapposizione era piena di spettatori finti. Adesso avremmo voglia di essere lasciati in pace a emozionarci quando è il caso. Una delle cose che meglio racconta il tramonto di un’epoca (almeno, lo spero) è la numerazione delle maglie dei giocatori. Una trovata da mille lire che andava incontro al bisogno di personalizzazione di tutto. Tifare prima il centravanti e poi la squadra, prima il cognome e poi maglia. Ci avete provato, non vi è riuscito, ora basta così. Oggi che dappertutto ci sono timidi segni di una rinnovata sensibilità (ho deciso da tempo di essere ottimista) i giocatori ci sembrano dei pullman di linea. Il giochino non ha più ragione di esistere, è privato anche di quel piccolo senso di novità che portava con sé. Arriva un 99 sulla fascia. Entra un numero 29 ed esce un 77. Perché continuare così? Soldi in giro non ce ne sono più, tanto vale ritornare a guardare in faccia le cose per quelle che sono, ci piaceranno lo stesso, e anzi di più. Compreso il terzino sinistro che gioca col 3, il mediano che gioca con l’8 e l’ala destra che gioca col 7. Ritornare pian piano a una vita normale. Il tramonto di uno stile di vita si manifesta in tutta la sua evidenza in serie B, dove giovanotti sconosciuti segnano il loro secondo gol in carriera, poi corrono verso gli spalti semi vuoti, si voltano e indicano il proprio cognome scritto sulla casacca. Da morire dal ridere, se non fosse così interessante da un punto di vista sociologico. La casacca, il territorio, la comunità, le sane proporzioni dovranno tornare protagoniste a danno degli sponsor, dei cognomi e dei tatuaggi. Più protagonisti, meno protagonismi, ovunque. Non bastava vedersi le partire di football alla tv, bisognava sostituire la numerazione delle magliette del calcio con quella del football. Bisognava che le partire finissero sei pari, e qualcuno molto in alto propose addirittura di allargare le porte. Oggi che la giostra economica si è semplicemente fermata o quasi e non correrà più come prima (magari altrettanto, ma non come), tutti queste abitudini luccicanti si mostrano finalmente per quello che sono. Roba vecchia e ingombrante. Ridateci il 10, ridateci senso del 10. E dell’8, e del 9. E dell’uno. Quei numeri sono gli unici che hanno ancora un senso, si portano dietro un secolo di letteratura sportiva e di fantasie popolari. Oggi capita che qualcuno venga nel Toro e si sogni di scegliere il numero 77 perché è l’anno di nascita della sua fidanzata. Ma tutto questo, prima ancora che di idiota, sa improvvisamente di vecchio. Di fine Novecento, di un’epoca al tramonto. In attesa dell’alba, mi permetto di segnalarvi un libro che ho trovato buono. Si intitola “10” e l’ha scritto con mano sicura di artigiano il torinese Dario Voltolini. Sono tanti piccoli racconti, tutti riusciti, uno dei quali ricostruisce la fine del Grande Torino con una delicatezza che lascia il segno.Se il 10 torna a valere 10 , allora questo libro darei un pesante e meritato 8. Un abbraccio a tutti, Marco Peroni
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