Cari amici, da tempo non vi propongo un racconto per il nostro appuntamento del venerdì mattina.Spero che questo possa incontrare il vostro favore. Alle volte dietro un gol possono nascondersi mille storie.Questa è una di quelle.
mondo granata
Il simbolo dell’infinito
Il cellulare ormai è scarico.Dall’altra parte del cavo nessuno risponde più.Corro lungo le strade di gente affannata e mercatara, portata via dal vento inatteso.Vorrei sapere, devo cercare di sapere.Nelle librerie si intravede la copertina del libro, deve essere arrivato in mattinata…Potrei fermarmi a comprarne una copia, ma non farei in tempo a salire i gradini dello stadio.Io devo essere là.Salgo gli scalini col cuore in gola. So chi cercare, dove guardare.La gente grida, guardando il campo… Questa storia non possiede più logica.So che sta per capitare.E forse so che questa volta non esulterò, ma mi volterò a cercarne lo sguardo.Chiudo gli occhi.
Quando è cominciato tutto quanto?Se fossi una persona razionale, potrei dirvi che tutto ebbe inizio in un pomeriggio di luglio in un’estate che si stava avvicinando al finire degli anni Ottanta, quando misi gli occhi sulla copertina di un libro, su di una bancarella.Ma ho perso la razionalità molto tempo fa e credo che tutto sia cominciato molto tempo prima.Nel 1979, quando Andy LeBay in un giorno di primavera, si sedette di fronte a un foglio di carta (i notebook erano ancora lontani da venire) e decise di scrivere Louise, oltre il ricordo.Un successo planetario per un genere che si inseriva nell’horror, inteso come soprannaturale incombente e mai menzionato, con venature di una romantica storia di amore tra teen-ager.Fu proprio su Louise, che posai la mia attenzione quel giorno, passeggiando mano nella mano con Cristina, la mia ragazza di allora.Col senno di poi, ripeto, tutto era partito molto da lontano e sono convinto che fu quel libro a trovarmi, che io sarei anche potuto ripassare mille volte in quel luogo e invariabilmente la mia attenzione sarebbe stata attirata dalla copertina verdastra, le cui sfumature si perdevano nel nero.Voi credete al caso? Io non più, da tempo.
Avevo poco più di venti anni ed il mio hobby per la scrittura e per tutto quanto fosse parodia, o ironia, si stava rivelando più di una passione. Sapevo bene che prima o poi avrei scritto quel benedetto libro che avevo in mente da tempo, ma allora, ingenuamente come tanti ragazzi, pensavo che il mio tempo fosse infinito e quello che credevo talento, fosse un colpo di gioventù quasi dovuto, ingenuo orgoglio che avrei pagato a caro prezzo.Trascorrevo le giornate di quell’oasi immensa che era stato il finire della scuola e l’approssimarsi del mio tempo universitario, impiegando i pomeriggi alternando la lettura di Louise alla stesura della storia che stava prendendo forma dentro di me, una vicenda di amici, che aveva protagonista un io troppo simile a me. Un giallo forse ingenuo, dove il cambio continuo di tono tra l’ironia e la drammaticità, era sublimata dalla storia d’amore, inevitabile, tra i due protagonisti.Ridevo, scherzavo e giocavo con quella passione. Le ore volavano e al tempo stesso si alternavano con la lettura di Louise, di minuto in minuto più coinvolgente, ogni istante più legato a quello seguente.
Cristina era la mia compagna insostituibile di giochi.Vivevamo in simbiosi, benché non sotto lo stesso tetto anche se eravamo fidanzati da soli tre mesi.Ci eravamo conosciuti tra i padiglioni del Salone dell’Auto, che ancora si teneva a Torino. Io interessato a vetturette sportive che un giorno non lontano, con tanta buona volontà, avrei potuto acquistare con i proventi del mio scrivere, lei sorridente nella compagnia dei compagni di scuola, più interessati a far chiasso che a un acquisto quanto mai lontano.Ci eravamo già conosciuti, facevamo un tratto di strada insieme nel pullman che ci portava a scuole vicine. Fu un istante salutarsi e il giorno seguente, vincendo una timidezza che paralizzava gli arti, parlarsi sul pullman “dalle corse troppo brevi”, come iniziammo a chiamarlo.Non ricordo dove avvenne il primo bacio, se a casa mia o alla fermata del bus. I ricordi, sebbene siano sempre presenti tra le mie emozioni, sono diventati parte di un quadro complicato e disperato, in seguito agli ultimi avvenimenti che si avvolgono su se stessi.
Cristina era una parte di me più femminile, i medesimi interessi, anche quello granata, perché no?, l’intuire i bisogni l’uno dell’altro, la complicità, la voglia di gustare il mondo che si stava dispiegando di fronte a noi, con la stessa sintonia.Baciati da una semplicità che credevamo esclusiva, facemmo le nostre prime esperienze, fino a renderle indispensabili, cercandoci con la mente prima che col fisico.Spesso era lei a consigliarmi come sviluppare un tratto della trama della vicenda che stava nascendo tra le mie mani, forma quasi viva della quale intuivo soltanto la potenzialità, benché io, cocciuto come un serpente, fossi restio come non mai nel cambiare ciò che già avevo scritto, convinto che non avesse bisogno di ritocchi.Eravamo folgorati dall’energia di un tempo molto diverso, dove non eravamo gli unici due innamorati che non sapevano di esserlo, travolti dall’energia della terra che ancora fluiva attraverso di noi, in un balletto che credevamo naturale.Noi, noi, noi. Quante volte ho detto noi.Presto, quello che sembrava un cerchio, il recinto della nostra vita, sarebbe andato restringendosi, senza che io e Cristina potessimo percepirlo.Forse una sottile tela ci aveva già avvolto.Fino a quando il “noi” non diventò “io”.
Avevo un caro amico, Dennis. Questa storia è piena di nomi americani o inglesi. Eravamo coetanei e lo conoscevo da sempre, una di quelle amicizie che non si scelgono, e che ti seguono per tutta la vita.Non voglio dirvi platealmente che Dennis si innamorò di Cristina, ma alla resa dei conti penso fosse proprio quello che successe durante quei giorni ruggenti, ingenui e disperati.Me ne accorsi da come la guardava, dalle domande che mi faceva. Non fu mai tropo esteriore, ma temo perverso e forse insinuante.Diedi quasi per scontata la cosa, e non me la presi più di tanto, sapevo bene che il cuore di Cristina sembrava essere in un nido sicuro, non il mio, ma il nostro.- Io avrei paura di perdere una ragazza del genere – mi disse un giorno – mentre discutevo con lui di alcuni passaggi del racconto che stavo scrivendo.- Perché? - gli chiesi incuriosito.- Non lo so… ti sei mai chiesto cosa farà quando sarà da sola al mare? Credi che ti aspetterà?Colsi rabbia e invidia nelle parole di Dennis, che ovviamente mi infastidirono, ed evitai di rispondere. Vuoi fare un dispetto a un invidioso? Non replicare a ciò che dice.Ma colsi anche un velo di paura nelle sue parole, come se anche lui avesse paura di perderla.So che vi starete chiedendo se esistesse una storia parallela tra loro due. La risposta è sì, per quanto riguarda l’innamoramento. Ma Dennis non la sfiorò mai, se è questo che intendete.Credo che lui non sopportasse una certa mia sensibilità, che mi faceva sembrare nudo agli occhi del mondo, e soprattutto senza difese di fronte a una donna.Non è semplice, come ho scoperto con gli anni, consegnare le chiavi del proprio essere a qualcuno, senza che questa persona poi non ti tradisca banalmente.Lui invece continuava senza posa a mettermi in guardia dal’esporre troppo le mie emozioni, neanche fosse stato me.
La vicenda di Louise, impegnava senza posa i miei pomeriggi.Ne parlai a lungo con Cristina, la misi al corrente di ogni dettaglio del libro di LeBay. Mi trovavo all’interno di un’esperienza che mi aveva assorbito totalmente e risucchiato via dalla realtà, fino a farmela vivere in prima persona. Io ero diventato il protagonista della storia, e la protagonista femminile era la proiezione di Cristina. Quella era la nostra vita, il nostro futuro.Le dissi anche di come la lettura sembrasse fornire energia a quello che scrivevo in un secondo tempo. Le confessai che mi sembrava di “rubare una forza nascosta nel libro” e di sentirmi in colpa per questo. Cosa che fece sottilmente preoccupare Dennis.- Non si ruba senza pagare - disse una sera, di fronte al nostro ennesimo bicchiere di Porto, quando Cristina era partita da pochi giorni per il mare. Il racconto era quasi finito, vivevo un’atmosfera di simbiosi letteraria scambiando sensazioni con parole, e credevo che i nuvoloni attorno a me nascessero soltanto dalla passione per quello che stavo facendo e dal desiderio di rivedere Cristina.Ancora pochi giorni e avrei potuto camminare con lei su una distesa di sabbia, tenendola per mano.Non c’era Dennis a sentirmi, potevo essere me stesso.
Poco prima di agosto, le cose con Dennis precipitarono e litigai con lui, infastidito da quel sottile intrufolarsi nei miei pensieri.Mi domandai a quale gioco stesse giocando. Riuscivo a capire l’innamoramento, ma non l’insinuare sottilmente dubbi su Cristina.Finimmo a male parole e fu l’unica volta, nel corso della nostra amicizia, nella quale litigammo.Restammo a lungo senza sentirci e fu soltanto dopo molti mesi che ritornammo a frequentarci.
Ai primi di agosto terminai Louise.Ricordo ancora la luce della serata che svaniva, avvisaglia di un tempo che cominciava ad accorciarsi. Un brivido freddo sulla schiena che avrei dovuto intuire, quando incredulo lessi l’ultima pagina del libro che mi aveva rapito e portato via.Lessi le ultime parole più volte, le rilessi ancora, con una parte di me che non voleva convincersi che il romanzo fosse terminato. Evan e Kathy, i due protagonisti avevano spinto fino al fondo la loro battaglia, difendendosi da quel mondo oscuro che li avrebbe inghiottiti, come aveva ingoiato il loro amico, Stewart, vinto da un buio che gli aveva oscurato la ragione. Erano rimasti insieme a guardare, vinti da una rassegnata stanchezza, le ceneri di quello che era stato l’ultimo rifugio del loro amico, che li aveva insidiati fino alla fine.L’ultimo capitolo del libro si chiudeva così, in un sipario siglato dal loro abbraccio intenso e sofferto.Restava dunque l’epilogo da leggere, una pagina e mezza, per chiudere la vicenda.Come compresi in seguito, quando feci della letteratura una professione, non c’è finale che colpisca più la bocca dello stomaco, di una vicenda che si chiude in modo dolceamaro.In questo LeBay era un vero e proprio Re.Evan e Kathy, si lasciavano alla fine del romanzo.Vinti dalla terribile avventura che avevano vissuto insieme, dal risvolto sinistro della realtà che avevano intuito.Dal fluire naturale delle cose.Rimasi a guardare le ombre della sera, ancora preda di quel libro nel quale io, persona immedesimata, stavo soffrendo per la fine della storia con la proiezione di Cristina.Mi ritrassi con forza da quella sensazione gelida.Cristina era ancora con me, era ancora accanto a me ed il solo pensarlo mi scaldava il cuore.Chiusi ed aprì il libro mille volte, rileggendo le ultime parole nella speranza che potessero mutare, senza risultato.Trascorsi la serata silenzioso, nella casetta di montagna.Quella notte i temporali di agosto si scatenarono sul luogo e sul vicino bosco, fine precoce di un’estate che stava lanciando i suoi segnali.Quella notte udii il canto di una civetta.Fu agghiacciante nel suo grido notturno. Mi svegliò e mi mise i brividi addosso. Ricordai il detto popolare, ma tentai di archiviarlo sotto le lenzuola, stringendo a me il ricordo di Cristina.
Pochi giorni dopo, Cristina mi lasciò.Fu la sera prima della mia partenza per il mare, per raggiungerla. Una conversazione via telefono tanto attesa quanto raggelante.Non sto a raccontarvi nel dettaglio come avvenne.Non era certo la prima volta che venivo lasciato, ma quella volta fece più male di un cazzotto nello stomaco, tirato con maestria.Di quei momenti ricordo soltanto, memoria del subsconscio, di aver appena ascoltato Infiniti noi, una vecchia canzone che da allora non potei non associare a cose spiacevoli. Un titolo che si sarebbe rivelato uno strano gioco del destino. E poi l’incredulità, la mancanza di fiato, la rabbia, il crollo pressoché totale di sicurezze e pensieri.E soprattutto, ricordo come fosse ora, il senso di inquietudine profonda, quasi atavico, al calare del crepuscolo, sempre più precoce, a mano a mano che le giornate si accorciavano.Tentai, in un impeto di orgoglio di terminare quanto avevo cominciato a scrivere.Ma avevo perso il treno, ormai.Quasi dieci giorni dopo la fatidica telefonata, presi tra le mani il fascicolo e lo scagliai con rabbia nel bosco sul quale si affacciava il mio balcone montano, dove vidi buona parte delle pagine disperdersi grazie a un provvidenziale vento.Sarebbero dovuti passare quindici anni prima che io fossi nuovamente in grado di scrivere qualcosa.
La pubblicazione de Il tornado, diede la svolta alla mia vita professionale.Erano passati molti anni da quando avevo interrotto il mio passionale e sregolato percorso letterario.Provai, dopo un nuovo tentativo semi fallito, di mettere in piedi una vicenda leggermente autobiografica che fosse in qualche modo legata all’ambiente granata, al quale ero sempre rimasto affezionato.Mi resi conto che la particolarità di un racconto sportivo non consistesse tanto nella cronaca di quanto avvenuto sul terreno di gioco di uno stadio, ma piuttosto sulle mille storie delle persone che quel giorno stavano assistendo all’evento, accomunate da mille emozioni, mille rabbie, mille pensieri. Ciò che credevo un libercolo, mi proiettò inaspettatamente al centro di una, seppur limitata, popolarità, che mi regalò anche qualche recensione lusinghiera sul giornale cittadino, un paio di premi letterari che mi parvero prestigiosissimi, benché sconosciuti.Nel frattempo intrapresi quella che poteva essere considerata una vita normale. Cambiai casa un paio di volte, andai a convivere con una donna. Tutto ciò aprì la strada a Un viaggio tra le polaroid, avventura di amicizia e amore, che venne inaspettatamente pubblicata da un noto editore e arrivò alle finali di un premio letterario fin troppo famoso.Il libro, non più legato all’ambiente granata, cominciò a vendere decine di copie e poi, forse anche grazie al passaparola di internet, divenne un caso letterario, un qualcosa di molto simile a un Best Seller. Soldi ne entrarono pochini, ma ebbi la possibilità di stipulare un contratto finalmente serio con un importante editore.Dennis spesso veniva con me alle presentazioni, e si beava della situazione, recitando il suo solito mantra, “speriamo che duri”.Era tornato ad essere mio amico pochi mesi dopo la telefonata finale di Cristina. Non parlammo mai di quel periodo e di lei, per tacito accordo.Fino ad un giorno di aprile di qualche anno fa.
Non ero mai stato in grado di dimenticare Cristina, lungo gli anni.Non so per quale ragione. Avrei potuto cavalcare mille mari, o navigare attraverso i deserti, ma il suo fantasma sarebbe stato pronto a farsi trovare nei luoghi in cui meno sarei stato capace di trovarlo.Costante e silenzioso, come un pizzicotto sul cuore, a farsi ricordare, a farmi svegliare nel cuore della notte o a condurmi attraverso la notte a un ricordo doloroso. Non la vidi né incontrai più, durante i lunghi anni trascorsi da quell’agosto tempestoso. Non seppi più nulla di lei, se abitasse ancora a Torino, se stesse bene, se avesse ancora pensato ai nostri giorni all’apparenza sereni.Quel giorno di Aprile, il discorso con Dennis cadde inavvertitamente sul passato, mentre vedevamo sfilare famiglie di gente all’apparenza senza problemi, oltre i tavoli del freddo dehor dove eravamo seduti.- Non sei mai riuscito a dimenticarla, eh?Lo disse come se l’avesse sempre saputo.Annui silenziosamente. - Cosa vorresti? Cosa ti piacerebbe? – non c’era ombra di sarcasmo nelle sue parole, soltanto un velo di tristezza.- Sapere se sta bene… - mormorai quasi silenziosamente. Sapere che c’è, niente altro. Sapere che anche lei è sotto questa parte di cielo…Dennis voltò lo sguardo. Non gli erano mai piaciuti il mio tono quando diventava passionalmente sincero.- Vorrei… - aggiunsi – vorrei tornare un giorno a casa, e trovare una sua mail. Soltanto per sapere come sta.Il mio amico sogghignò - Ora sei famoso, tutto può essere. Poi si alzò e si avviò verso la cassa, lasciando metà dell’intruglio che aveva ordinato, sul tavolino.
Tre giorni più tardi, stavo spulciando tra le mail, seduto in macchina con il portatile al mio fianco, poco dopo una giornata trascorsa in biblioteca.L’Editore mi inviava una lettera nella quale erano stabiliti i termini del nostro contratto. Il nuovo romanzo avrebbe dovuto essere pronto per la seconda metà dell’anno venturo.Passai in rassegna distrattamente le altre mail, qualche perdita di tempo, una comunicazione della banca e...E poi il suo nome e il suo cognome.Caratteri maiuscoli, per farsi vedere meglio.Cristina, il titolo della mail era semplicemente “Ciao”.Udii un tuono, ma non c’erano nuvole in quel cielo. Fui tentato di frenare, ma la vettura era già ferma e non era neanche stata messa in moto.Mi trovai a cercare aria che non avevo più nei polmoni, lo sguardo fisso e incredulo su ciò che avevo tanto desiderato.Mi ci volle qualche minuto per aprire quella mail, delicatamente come fosse fatta di porcellana.Aveva sentito parlare dei miei libri, che aveva letto entrambi, e dei quali si congratulava.E poi mi chiedeva se mi ricordassi di lei, “ci siamo conosciuti molto tempo fa…”.Sbattei gli occhi incredulo. Io ricordarmi di lei? Pensai a uno scherzo, ma tutto era troppo beffardo per esserlo sul serio.Chiusi gli occhi dopo aver riletto quella mail centinaia di volte.Che cosa avrei fatto ora?
Cristina si era trasferita a vivere in Svizzera, in prossimità del confine. Aveva avuto un bimbo e viveva con suo marito in una tranquilla cittadina.Cominciammo a scriverci, dapprima saltuariamente, poi con più frequenza, con parole che facevano attenzione a trattenerla e non perderla.Come mi resi conto dopo poco tempo, lei non sospettava assolutamente che io avessi covato una passione così forte e insoluta per tutti quegli anni.Mi sentii contento per lei, per la sua nuova vita, per la sua serenità, e non pensai mai a turbare quella cosa consolidata con le mie emozioni del passato.Le raccontai della mia vita, di quello che era venuto dopo di lei, della tante e differenti stazioni, che m avevano visto arrivare o partire.Lei si chiedeva da dove provenisse quella fantasia onirica che si era imbizzarrita nei miei primi due libri.Avesse soltanto saputo che lei era stata la mia musa nascosta, credo che sarebbe scappata impaurita.
Nello stesso periodo cominciai a mettere le mani su quello che sarebbe stato il mio libro seguente, che battezzai, un po’ per scherzo, col titolo provvisorio di Sei minuti e ottanta secondi, che tornava nuovamente a scavare il terreno della vita granata.Gli anni mi avevano reso più esperto e cinico.Parlai spesso della trama con Dennis, anche lui reso più sarcastico dalle giornate trascorse ad attendere la loro fine. Non fu mai geloso del mio successo, se per caso vi state ponendola domanda, anzi, credo che se ne sentisse parte integrante. Non era raro vedere le sue frasi comparire come proprie dei protagonisti delle mie storie, o i suoi suggerimenti messi in pratica.Il tempo, dicevo, mi aveva reso consapevole che mi trovavo tra le mani plastilina incandescente.Il piacere della scrittura non era più dato dall’orgoglio di annusare un lontano talento, ma dalla capacità di poter creare universi che, mi accorsi, stavano diventando il mio rifugio da una realtà che non riconoscevo. Tale era l’adrenalina che scorreva dentro di me, nello sviluppo della vicenda, che quasi potevo percepire i respiri dei singoli protagonisti, confondendoli in sovrimpressione con quelli della mia vita.Entrandone e uscendone con una fatica sempre maggiore.Non solo. Avevo continuato a rubare energia per riversarla nei miei mondi, facendomici scaraventare dentro.Sapevo bene che le note di una canzone portavano con sé emozioni che, se accolte ad occhi chiusi, erano loro stesse a suggerire colori, simboli e atmosfere di un racconto.Non me ne vergognavo. L’arte comunicava energia, e quell’energia poteva essere nuovamente trasformata in quella che speravo fosse a sua volta arte.Avevo concepito il nuovo romanzo come in seguito ad una folgorazione, sviluppatasi da quella che sarebbe stata la rivelazione finale del romanzo.Da lì sviluppai tutto il canovaccio della trama.Non ebbi bisogno del cinismo di Dennis per stabilire i cardini della vicenda.Costruii una ricerca appassionante nel passato, che partisse da un antieroe bogartiano, un uomo reduce da una devastante fine di una storia sentimentale, con i residui del recente passato, sotto forma di scatoloni, sparsi per il nuovo appartamento. Un uomo segnato dalla vita e dalle scelte sbagliate, in piedi trattenuto più dall’inerzia che dalla propria consistenza, e gli affiancai l’immancabile figura femminile.Un personaggio che ne fosse l’antitesi, che feci attenzione a costruire in maniera complessa, profonda, spesso contraddittoria, ma soprattutto che creasse, e questo dietro consiglio di Dennis, una situazione di perenne conflitto col personaggio maschile.Anni di professione mi avevano reso smaliziato e ormai sapevo come disseminare il racconto di indizi che si sarebbero rivelati soltanto nelle ultime pagine.I due si ritrovavano dopo aver lavorato insieme per qualche periodo e, quasi per caso, cominciavano ad indagare su una sparizione avvenuta molti anni prima, una data importante per l’Universo granata.La mia intenzione era quella di discostarmi dal generale per approfondire il particolare.Nel loro viaggio i due, partendo da presupposti differenti, arrivavano a scoprirsi, fino all’incredibile soluzione e…- No – mi disse Dennis un giorno, mentre dibattevamo sugli ulteriori sviluppi.- E’ chiaro che propendi per l’Happy ending, nel capitolo finale, tutti si aspetteranno che i due duellanti abbiano uno scorcio di vita insieme. No… ricordati del dolce amaro… perché non fai in modo che sia lei, dopo l’incredibile esperienza ad avere uno scatto… Inserisci un personaggio quasi casualmente, all’inizio del libro. Dai tempo alla gente di accorgersene, per poi dimenticarlo. Magari goffo o impacciato. Sarà con lui che la protagonista femminile se ne andrà, alla fine del libro. Oh… non fare quella faccia. So che troverai un modo per farlo sembrare credibile. Sei tu lo scrittore, non io.Mi lasciò lavorare in soggiorno, dubbioso ma convinto, mentre lui scompariva dalla scena, per rintanarsi in qualche punto della casa, come sua abitudine.Sì, doveva essere così. Avrei fatto così.
Non ebbi difficoltà ad applicare i consigli di Dennis, al percorso dei due protagonisti, che si perdeva incoscientemente in case abbandonate, o nel sottosuolo di Torino e che faceva crescere e nascere un’intesa tra i due perennemente in grado di spezzarsi da un istante all’altro.E poi scrissi la scena dell’addio finale, che potrete pensare sia stata ambientata ruffianamente allo stadio per motivi di vendite.No, non lo era. E già da allora quella scena non avrebbe potuto essere scritta in nessun altro modo.La vicenda si concludeva su un gol della squadra granata, nella confusione generale. Uno sguardo, o ci sei o muori, la terza persona che entrava in scena, dove era sempre stata, poco più in là negli scalini. Una scena vista più che narrata. Battisti, anzi Mogol, avrebbe detto “un sorriso e ho visto la mia fine sul tuo viso”E il protagonista, che non aveva rivelato la sua passione nascente alla protagonista, avrebbe concluso il suo cammino in una lenta e amara riflessione sull’esperienza vissuta.Anzi, non amara.Dolce e amaro. Insieme fanno più male. Credo che Dennis avrebbe potuto essere fiero di me.
Potete pensare che con delle premesse simili, la mia scrittura sarebbe partita spedita.E invece, per qualche maledizione o contesto strambo, 6 minuti e 80 secondi partì lento e continuò trascinandosi, con una difficoltà incredibile.Pensai, convincendomene, di essere soltanto un po’ arrugginito. Ma non era così.
Nei giorni seguenti, in una mail scritta di getto, rivelai tutta la verità a Cristina. Il fatto di non averla mai dimenticata completamente e il fatto che il mio cuore avrebbe accelerato anche se l’avessi incontrata novantenne.Si arrabbiò moltissimo e chiuse le comunicazioni col sottoscritto.Ci rimasi molto male e credetti di avere giocato molto male le mie, benché oneste carte.Dennis sembrò andare a nozze con quanto era capitato.- Te l’avevo detto. Ma cosa credevi di essere? Speciale soltanto perché sai far piangere la gente scrivendo? Ancora una volta avrei dovuto scacciarlo dal cerchio degli amici, ma non lo feci.Dopo pochi giorni però, Cristina si fece risentire con una mail di scuse.Credo avesse capito che sotto la valanga di parole con la quale l’avevo investita, non si celavano pericoli. Me la cavai dicendole che evidentemente il mio destino era quello di essere ciclicamente lasciato da lei, e tornammo amici. Da quel momento con lei entrai in un vortice di complicità e affetto che percepivo, anche se non me l’avrebbe mai confessato e mai gliel’avrei chiesto.Le raccontai tutto quello che non aveva mai saputo, dei giorni trascorsi a leggere Louise, di un amico che si era innamorato di lei (non feci mai il nome di Dennis), dell’ultima pagina che mi aveva stravolto, in quel crepuscolo che avrebbe di lì a poco portato ai temporali e al grido della Civetta.Fu attratta da quel libro e volle a tutti i costi leggerlo, forse incuriosita da un’intensità della quale non si era mai accorta.Ne discutemmo quando lo ebbe terminato.- E’ strano - m scrisse con un tono che interpretai pensieroso.Louise è una storia d’amore a tre… io credo che tu abbia letto un libro che ti stava preannunciando quello che sarebbe capitato di lì a poco nella tua vita.Furono parole pesanti come macigni.Improvvisamente ricordai la vicenda di Louise, con i due giovani che mettono fine alla follia del terzo uomo, ma che poi si lasciano alla fine della vicenda.Mi ricordai dell’innamoramento e delle cattiverie di Dennis, del nostro litigio e del fatto che non ci sentimmo per dei mesi. Delle frasi di Dennis, così simili alle maledizioni del terzo uomo.- Quel libro ti stava mettendo in guardia, ti stava preparando… la nostra storia era già stata scritta molto prima.Detto da lei, la frase rimbombò per giorni nella mia mente.Era vero. Quella sera, all’imbrunire, ero stato messo in guardia. Ma non ero riuscito a sovrapporre i livelli di realtà quel tanto che bastava per non stare male.
La vita toglie, la vita dà.Pochi mesi dopo affrontai la fine della mia convivenza in modo tanto tagliente quanto inevitabile e doloroso.Mi buttai a capofitto nel lavoro. In questo venivo aiutato da una persona che collaborava con la casa editrice e le nostre chiacchierate avevano generato una confidenza che andava ben oltre le cose semplici.Valeria diventò una burbera e cara amica, inflessibile sul lavoro, ma generosa nell’amicizia, senza averla mai conosciuta, se non al telefono.
Sei minuti e 80 secondi arrancava. Spesso venivo chiamato da Valeria per avere l’aggiornamento della situazione e per avere delle bozze, che centellinavo. In quel periodo il mio umore tendeva verso il basso e non riuscivo a dare la spinta decisiva al romanzo, nonostante i motori di energia avrebbero dovuto essere al massimo.Un pomeriggio di qualche settimana più tardi, mentre mi ero recato nella Redazione del giornale di Torino per una intervista, incontrai lo sguardo di Claire.Tagliamo corto, questa storia pullula di nomi stranieri, ma vi garantisco che era proprio il suo nome.E, ironia della sorte, era lo stesso nome che aveva scelto per la protagonista femminile di sei e ottanta.Mi sorrise leggermente e ricambiai imbarazzato. Da quando ero entrato a far parte delle persone conosciute, temevo sempre che mi si sorridesse per il ruolo, più che per la persona.Come ebbi modo di scoprire in seguito, non aveva idea di chi io fossi. Per fortuna.La ricordo ancora, i capelli mossi sciolti lungo le spalle, china su una scrivania ad osservare quello che doveva essere un abbozzo di pagina con inserzione pubblicitaria. Ricordo come in quel momento fece il suo ingresso nello stanzone, un giornalista molto “raffinato”, che conoscevo di fama, anticipato dal proprio ego prima che dal proprio essere. Una persona con la quale non sarei mai riuscito a fare amicizia.Incespicò dannatamente e fece volare il cellulare a cui stava parlando, proprio sulla scrivania di Claire. Lei alzò gli occhi al cielo e mormorò sorridendo “Ma quanto sei un disastro?”, mentre lui tentava di ricomporsi.Poi si voltò verso di me e sorrise nuovamente, ricambiata di gusto.Claire, la prima volta che la vidi.Spesso è un lumino che vedi dalla cima di una collina a cambiare la tua vita.
Claire era entrata da poco a far parte del mondo giornalistico e, benché molto giovane, si occupava di rubriche a progetto, nonostante la sua firma non comparisse ancora sul giornale.Quello stesso giorno il giornale mi propose di seguire un percorso in tre puntate che avesse a che fare con la storia del quartiere dove ero nato. Accettai, senza sapere che sarebbe stata proprio Claire la mia alter ego per quelle tre settimane.
- Allora, mi consegni queste benedette bozze o no? Ricordi il contratto? Stiamo sforando le tempistiche, dovremmo volare con la stampa e questo sarà sicuramente un rischio. Ma scusa, non è nel tuo interesse fare uscire questo libro?La voce di Valeria non ammetteva repliche ed era inflessibile.Benché fossimo vincolati da impegni di lavoro, entrammo in confidenza e scoprii con stupore che quella donna sgarbata e generosa era in realtà una mia lettrice. Sarebbe stato inutile cercare di penetrare nei suoi pensieri, li avrebbe cambiati a bella posta un secondo dopo che qualcuno li avesse indovinati. Ma lei, sapeva spesso arrivare al nocciolo della questione, senza parlare troppo.Valeria fu un gran sostegno di amicizia lungo quei miei mesi tormentati.
Portai avanti 6 e 80 con ogni mezzo possibile, ma caddi a capofitto nel dubbio quando mi accorsi di essermi immedesimato troppo nel personaggio. In fondo non avrei voluto un addio di quel genere, tra i due protagonisti.- Questo è quello che vuoi tu, amico mio - mi diceva Dennis - ma non è quello che vuole la realtà. La gente si innamorerà di questo pezzo perché lo troverà dannatamente reale, perché sono milioni quelli che hanno avuto il cuore spaccato e pochi i felici. E neppure io sono felice a dirtelo.Mi feci coraggio, in quel periodo non avevo la forza per contrastarlo.Un primo distacco sarebbe avvenuto con poche parole che il protagonista avrebbe scarabocchiato sull’agenda della protagonista, approfittando di un suo momento di assenza.Erano parole di insicurezza sui rapporti tra le persone, sulla facilità dell’allacciarli e spezzarli.Sul fatto che quando quell’avventura sarebbe finita, chissà quali strade diverse i due avrebbero seguito.Riuscii a fare in modo che le parole del protagonista, in lotta con una parte di se stesso, fossero l’esatto contrario di quanto volesse in realtà. E avrebbero portato alla scena finale allo stadio. Di dolce sofferenza.Lei avrebbe scelto un altro, cercandone lo sguardo, poco dopo un gol.Mi compiacqui poco di quella finezza. Ma non era quello che volevo.Scrissi e riscrissi la scena mille volte, ma non ne fui mai convinto, eppure mi fidai ancora una volta di Dennis. Mi chiesi se il mio amico, sempre solitario, sempre contortamente sincero, non avesse fatto un patto col Diavolo. Eppure ricordavo il suo sguardo malinconico verso Cristina in quei giorni lontani.Decisi di tenerlo fuori da ogni eventuale mio coinvolgimento con Claire.
Già, ClaireEsistono molti modi di innamorarsi. C’è il colpo di fulmine che ti travolge, guidato spesso dalla fisicità.Poi c’è quello che capita senza che tu te ne accorga.Ti abitui agli sguardi, ad una certa presenza. E poi un giorno ti accorgi che ti mancano.Senza una vera ragione. Forse hai incontrato un flusso energetico simile al tuo, forse le due cose si sono sovrapposte inavvertitamente. A quel punto una persona razionale può ancora decidere cosa fare del proprio io, se arrestarsi, imponendosi delle regole, o lasciarsi andare, sapendo bene che la barca sulla quale navighi e senza remi, e ben difficilmente vuoi recuperarli.Oppure puoi tacere, fino a quando l’emozione trattenuta, non troverà il varco per farsi strada.Claire era tifosa granata e appassionata di cinema, come il sottoscritto.Trascorremmo piacevoli serate sgranocchiando popcorn di fronte al maxi schermo, oppure gioendo per un gol della nostra squadra comune. Spesso la osservavo mentre si guardava attorno, in mezzo a tutta quella folla, e mi chiedevo che cosa cercasse quello sguardo ogni giorno più indispensabile.
Spinto dalla forza che mi dava lo starle vicino, conclusi finalmente, durante quelle settimane, 6 e 80, scrivendo la scena finale, che, mi fece male doppiamente, perché mi sembrò di viverla in prima persona.Sbaglio o stava accadendo qualcosa di molto simile a quello che era accaduto tanti anni prima con la lettura di Louise?Ci andai molto vicino quel giorno, ma una chiacchierata con Dennis, che volle brindare alla fine del romanzo, mi distolse dalla verità che avevo ormai sotto gli occhi.
- Allora, mando in stampa?Sospirai. In molti avrebbero gridato al miracolo con quel romanzo. Io no, ma mi nascosi dietro al fatto di non essere in grado, di interpretare la realtà, in quel momento di poca lucidità.Dopo la fine della mia storia, vivevo ancora in un appartamento disseminato di scartoffie, scatole con rimasugli della mia vita precedente, confusione e idee sparse.- Sì, vai. - risposi a Valeria, con l’entusiasmo di un condannato a morte.- Sai una cosa? - mi disse - Ho la sensazione che tu non voglia essere felice. Scusa se te lo dico, ma sono sincera. La strada sembra quella, eppure tu vivi nella sofferenza perché è da quella che trai ispirazione per i tuoi romanzi.Fui tentato di mandarla a stendere.Perché aveva ragione. Era quello che metteva in moto il meccanismo di scrittura. Un modo perverso di autoconsumarsi.Aveva ragione, ma io non sapevo come uscirne.Claire sarebbe stata l’unica strada.- Allora, tra una settimana abbiamo le bozze - disse Valeria, ma io neanche le prestai ascolto.
Pensavo a lei sempre più spesso, senza che ne sapesse alcunché, anche se credo che lo avesse ampiamente intuito. Quale strada avrei scelto? La paura di perdere quei pochi momenti che trascorrevamo insieme, mi bloccava dal fare qualsiasi cosa.Forse sarebbe rimasto tutto stabile e stagnante in quell’universo onirico che andava e veniva tra realtà e…E cosa?Dicevo, sarebbe rimasto tutto stagnante, se un giorno non avessi deciso di parlarne a Cristina.
Da tempo non ci sentivamo.Le dissi di 6 e 80, della mia insoddisfazione sul testo.Le dissi delle mie vicende recenti e di me. Le parlai anche di ClaireFu comprensiva in modo insostenibilmente sereno e dolce.- Io faccio il tifo per te.Destino ironico e drammatico. Chi tira le fila del discorso di questo mondo deve avere un gran senso dell’umorismo.Proprio tu, che ho amato come mai nessuno prima, pensai, ora sei diventata la persona che mi dà la forza di continuare?Le dissi di quella strana sensazione di immedesimazione che stavo provando ora con la vicenda di 6 e 80, la stessa che avevo provato molti anni prima.- E’ strano sai… - accennò, sempre per iscritto. Quando iniziava un discorso, quasi mai ne uscivano fuori cose banali.- E’ strano… molti anni fa la tua storia era stata scritta da qualcun altro. Ora temo che sia tu che stai scrivendo… la storia del tuo futuro.Sobbalzai deglutendo di fronte al monitor.- Mi viene in mente il simbolo dell’infinito - aggiunse ancora - un tempo la tua vita era ampia, poi si è ristretta, fino a contorcersi ed ora... Ora sembra di nuovo allargarsi nella complementarietà di quello che fu… Ora sta a te scrivere il finale giusto.Non potevo credere a quello che stavo leggendo. Non potevo credere che tutta la verità, l’illogica verità fosse lì di fronte ai miei occhi.Io avevo già scritto il finale, scrissi smenando mazzate sulla tastiera. L’avevo già scritto.Glielo dissi e lei mi chiese perché.A quel punto le dissi che era stato un consiglio di Dennis, era stato lui il ragazzo che si era innamorato di lei all’epoca e nel corso degli anni… -Dennis? Quale Dennis? - scrisse.- Dennis, non ti ricordi di lui?- No, non uscivamo con tuoi amici all’epoca.- Cristina, non scherzare… non puoi non ricordarti…No, davvero. Chi è Dennis?
Chi è Dennis? Chi è Dennis? Chi è Dennis?
Le parole rimbombavano nella mia mente, mentre guidavo verso casa.Dennis che si era personificato come il terzo uomo, che mi aveva preannunciato che le cose possono anche finire, che mi aveva consigliato il finale amaro di 6 e 80, Dennis che in fondo era stato l’autore della parte amara di tutti i miei libri.Ho la sensazione che tu non voglia essere felice. Scusa se te lo dico, ma sono sincera. La strada sembra quella, eppure tu vivi nella sofferenza perché è da quella che trai ispirazione per i tuoi romanzi.Troppe parole rimbombavano nella mia mente.
Inchiodai la macchina gettandomi inconsciamente sul marciapiede, alla ricerca di una cabina telefonica.Ma le cabine telefoniche esistevano forse nel mondo di 6 e 80.Si stava mettendo a piovere. Afferrai il cellulare con le mani già grondanti di quello che a me parve pioggia, e composi il numero di Valeria.- Rispondi... Rispondi… - mi piantai quel poco di unghie nei palmi delle mani.Quando alzò la cornetta, urlai nel microfono.- Ferma tutto! Devi fermare tutto!- Chi? Che cosa?- Ferma tutto, il libro non deve andare in stampa…- Ma tu sei matto. Siamo già quasi al buono…- Ti ho detto che lo devi fermare!!!! Ascoltami, così non va, pagherò io…- Non se ne parla. Domenica ci sarà la presentazione.-Se ne parla eccome, altrimenti io non vado a nessuna presentazione e non mi vedrete mai più. Entro stasera ti farò avere le parti che cambiano.Misi giù e rimontai in macchina.Se le ruote non avessero sollevato acqua, avrebbero perso quasi tutto il loro battistrada nella partenza.
Corsi verso casa guidando da incosciente.Quando spalancai la porta, tra gli scatoloni vidi lui, che mi aspettava, come se nulla fosse.- Sei stato tu, maledetto…! – ringhiai senza neppure chiudere la porta.Lui fece un passo indietro. Non sembrava avere paura e aveva indosso il solito sorriso scettico.- Mi sembra che scopri l’acqua calda. Non infiammarti, non è neanche nei miei interessi…Mi avvicinai verso di lui a pugni bassi, la bocca piegata in una smorfia d’odio.- Mi hai fatto scrivere tu quel finale dannato! Sin dall’inizio. Sei stato tu a intrometterti già allora.Il sole faceva capolino dalle finestre che il mio un tempo amico aveva spalancato.- Non essere ingenuo – mi guardò senza odio – All’epoca ti misi soltanto sull’avviso per una cosa che invariabilmente sarebbe capitata ed era già stata scritta da altri. Dovresti ringraziarmi. Non ti ho mai chiesto nulla per tutte le volte che ti ho tolto dall’impaccio dando una svolta ai tuoi romanzi altrimenti prevedibili.- Questo libro non è stato scritto da altri1 Ero io che stavo scrivendo la storia di Claire…Mi guardò con le mani in tasca, in posizione ironica.- Ma ti sei specchiato? Ti sei guardato? Ma cosa speravi? Di piacerle sul serio?- Stai zitto! – mi feci sotto con occhi grondanti furore e lacrime pesanti come sangue.- Pensavi davvero che potesse essere interessata? Cosa hai da offrirle? Hai visto questa casa?- Ti ho detto di lasciarmi stare…!- Non hai un quattrino in tasca…- Zitto, stai zitto! – mi presi la testa tra le mani, ma la sua voce sembrava arrivare da dentro.- Hai più anni di lei…- Smettila!- Ci vorrebbe un esercito, per ricostruirti…Lo caricai brutalmente. Era come me, ma io avevo dalla mia l’impeto rabbioso che centuplicava le forze.Lo colpii poco sotto le spalle, cogliendolo di sorpresa.Emise un gemito soffocato, incespicò su uno degli scatoloni, e lo vidi centrare la finestra aperta con una precisione inesorabile.Non lo sentii gridare, ma mi lanciai disperato verso la finestra. In tempo per udire il corpo sordo del suo corpo che si abbatteva al suolo, molti piani più sotto.Ero diventato un assassino, ma non ebbi il tempo di pensarlo troppo a lungo.
- Mio Dio… mormorai incredulo.- Falla corta, non mi dirai che sei triste adesso… - una voce mi sorprese alle mie spalle, nell‘alloggio...Era Dennis, senza un graffio.- Non credevo che avresti tentato addirittura di eliminarmi. Forse ti ho sottovalutato troppo in questi anni… - parlava sorridendo, camminando avanti e indietro tra gli scatoloni con le mani in tasca, prima di fermarsi a fissarmi.- Credevi davvero di farmi fuori? Mi hai mai guardato bene in questi anni?Solo allora mi accorsi, come per una pugnalata di gelo, che Dennis aveva i miei stessi occhi, gli stessi vestiti, si muoveva come me ed aveva la mia stessa voce.Dennis ero io. Era la parte di me cinica. Era la paura che mi aveva bloccato per anni, la voce contraria, il freno a mano spesso tirato.Dennis, che mi aveva messo in testa che le cose con Cristina potessero terminare. Che mi aveva fatto scrivere il finale sbagliato.- Perché te la prendi tanto per quel finale? Avresti comunque sofferto prima o poi, con i tuoi modi romantici… Sarebbe andata male comunque.- Stai zitto! Non è ancora troppo tardi.Mi sentii lucido in quell’istante. Non avevo più nulla da perdere.- Sii serio. Il libro è già andato in stampa.- Lo bloccherò e ne riscriverò una parte.- Non essere ridicolo. Non ce la farai mai… - furono le sue ultime parole.- No, invece. Ce la farò. Perché sono più forte di te.Fu come se l’avessi ucciso. Scomparve in un istante, con un lieve accenno di stupore.Mi guardai le mani, mi specchiai. Ero ancora io, senza più doppio.Sarebbe tornato? Forse, non potevo saperlo.Ma non avevo tempo neanche per pensarci.Mi gettai sul portatile e pregai che si accendesse in fretta.
Claire non rispondeva al telefono, proprio come avevo scritto, a proposito della protagonista femminile, in 6 e 80.Ero folgorato dal dramma che io stesso avevo scatenato.La stavo perdendo, ancora prima di averla conosciuta. La sentivo scivolarmi dalle mani minuto dopo minuto e tentai di rimontare quella china disperata riscrivendo ogni singola parte di 6 e 80 che avesse avuto a che fare con lei.Ripresentai la sua figura alla luce di quello che avrebbe potuto essere un addio disperato, non stabilito a tavolino.Ripercorsi le sue frasi, come se gliele stessi dicendo per la prima volta, scosso dai fremiti del tempo e della passione.Solo allora compresi che da solo non sei nessuno, tutta la tua forza è niente se non hai la mano guidata da un qualcosa che ti attraversi il corpo, come una scarica di adrenalina.In molti la chiamavano energia o amore.In quei momenti però non avevo più tempo per domandarmi o definire più nulla.
Mi ritrovai di fronte alla parte in cui il protagonista scarabocchia delle frasi sull’agenda di lei. Dennis aveva inquinato l’essenza di quello che allora non ero riuscito a scrivere.Ora, con la quasi certezza di perderla, le parole vennero fuori da sole, senza trucchi per far piangere altro pubblico che non me stesso.
Amore mio,quanto sono lunghe le ore di questa storia, mai iniziata e mai finita.Quante sono le parole che sento di averti detto e di non aver mai pronunciato.Forse tutto è nato un lontano giorno, quando il ciclo dell’infinito ha avuto inizio, con una penna e un foglio di carta da riempire.Se mai leggerai queste parole, sappi che ti ho desiderata in mondi lontani quando ancora non ti conoscevo.Se mai ti perderò, sappi che avrei voluto per te il bene delle cose mai dette, sentite prima di essere vissute.Il tempo passa in un istante e mi rendo conto di poter perderti senza averti mai avuta.
Non fui in grado di scrivere altro. Il monitor si stava appannando dietro una patina opaca e umida.Proseguii nella mia stesura.Arrivai alla scena finale, quella dello stadio.La riscrissi sapendo bene che avrei potuto viverla entro breve tempo, senza la sicurezza che fosse quella. Il protagonista sarebbe stato con lei allo stadio.Non pensai di eliminare il terzo uomo neanche per un attimo e mi chiesi chi sarebbe stato nella realtà.Ci sarebbe stato un rigore, al termine della partita.Migliaia di anime tese, poi il gol.E tutto si sarebbe deciso nella scena successiva.Scrissi quello che desideravo.
Mi risveglia il giorno dopo, la guancia appoggiata sul tavolo, il pc ancora funzionante, fermo sulla parola FINE.Dovevo aver scritto tutta la notte e forse non ricordavo neanche che cosa, ma soprattutto ero fuori tempo massimo con Valeria.- Tu sei tutto matto – mi aggredì – Ormai siamo in stampa!- Rinuncio al mio compenso! Ti ho inviatole pagine modificate.- Tu sei pazzo!- Sì, hai ragione, ora ti prego, ferma quella dannata tipografia.Litigammo come due ossessi. Poi le sbattei il telefono in faccia.Sapevo che in fondo mi voleva bene e avrebbe cercato di aiutarmi. Ma temevo che neanche lei avrebbe fatto in tempo.
Trascorsi due giorni, stravolto, a cercare Claire, come il protagonista cercava la sua lei nel libro. La cercai al giornale e lì, come avevo scritto, le scrissi nella realtà le parole disperate sula sua agenda.Poi vagai tutta la notte, in un tormento reso insostenibile dall’averlo già vissuto, sapendo bene che non l’avrei incontrata, se non forse troppo tardi.
Mi risvegliai a casa. Erano le quattro del sabato pomeriggio.Avevo dormito un numero di ore imprecisate. Mi venne in mente la partita. Era tardi, troppo tardi.Corsi fuori, indifferente al mondo.
Il cellulare ormai è scarico.Valeria non risponde più.Chi può sapere quale fascicolo sia stato mandato in stampa…?Corro lungo le strade di gente affannata e mercatara, portata via dal vento inatteso.Vorrei sapere, devo cercare di sapere.Nelle librerie si intravede la copertina del libro, deve essere arrivato in mattinata…Potrei fermarmi a comprarne una copia, ma non farei in tempo a salire i gradini dello stadio.Io devo essere là.Io devo essere là.Da un bar fuoriesce la musica di Infiniti noi. Il cerchio si sta chiudendo.Salgo gli scalini col cuore in gola. So chi cercare, dove guardare.La gente grida, guardando il campo… Questa storia non possiede più logica.
La vedo.Il terzo uomo è il collega giornalista, come avevo immaginato.Mi volto a guardarla, proprio come avevo scritto.I suoi capelli volano nel vento di questa giornata.La gente grida, c’è un rigore proprio alla fine.Ci siamo.Chiudo gli occhi.
Quando li riaprirò, vorrei che fosse dolce.Sia se potrò appoggiare ancora il mio volto tra i suoi capelli, sia se vedrò il seggiolino vuoto, senza più il suo profilo.L’ultimo istante di possibilità o l’attimo prima del nulla.Sento il fischio. Il gol, le urla.Quasi vorrei perdermi in quell’attimo di eterna speranza.Chissà se quando riaprirò gli occhi il ciclo dell’infinito si richiuderà ancora una volta su se stesso.O forse se ci sarà ancora un posto al mondo dove poter amare senza più paura, essendo niente altro che se stessi. Mauro Saglietti
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