mondo granata

Il Toro dipinto da Rembrandt

Redazione Toro News
di Fabiola Luciani

Ci sono cose che si capiscono e cose che si sentono. Capire è un atto razionale che permette la conoscenza di una cosa, ma sentire porta più lontano: porta a identificarsi con la cosa stessa. Credo che Paolo Pulici, detto Puliciclone o più affettuosamente Pupi, quando nell’estate del ’67 passò dall’inferno della serie “C” per venire al Toro, abbia fatto inizialmente un’ovvia scelta razionale, ma col passare del tempo, abbia poi subìto il contagio dell’ambiente granata, al punto da arrivare a identificarsi con esso. Mi sono sorpresa a inseguire questi pensieri la mattina di ferragosto, al Rijksmuseum di Amsterdam, davanti a una tela dal fascino irresistibile. I sindaci dei drappieri” di Rembrandt. Cosa c’entrano “I sindaci dei drappieri” col Toro?

C’entrano, perché anche Rembrandt, come il Toro, fa parte delle cose che si sentono.

I suoi quadri colpiscono emotivamente. Il suo chiaro scuro scava la tela, la sua materia pittorica, ruvida e spessa, spinge la mano a palparla. Rembrandt è un visionario che lotta col pennello per inseguire un sogno, lo si capisce subito. Dipingere, per lui è una battaglia. Suda, combatte, non cede di un millimetro. Ecco quindi, che nelle sue tele vedo il Toro dei tempi d’oro: c’è la grinta di Ferrini, la classe di Meroni, la tenacia di Gabetto. Se fosse invece un giocatore di calcio, credo che lo vedrei più come un Paolino Pulici, che come un Valentino Mazzola.

 

Mazzola era limpido e perfetto come Raffaello.

Quel nome non diceva nulla ai tifosi granata: per loro era solamente Capitan Valentino. Un puro talento naturale: centrocampista, regista, mezz’ala, trascinatore nonché all’occorrenza persino attaccante, facevano di lui il primo calciatore universale della storia del calcio. In più di cento anni di storia della palla rotonda, nessuno ha mai fatto quello che ha fatto lui. E’ stato ed è tuttora la pietra di paragone per chiunque aspiri ad essere campione con un pallone tra i piedi. La squadra di Valentino Mazzola non era mai in difficoltà, perché bastava la sua presenza per incantare gli avversari, come Rafffaello incanta l’occhio allo spettatore degli Uffizi o delle Stanze Vaticane.

 

Pulici come Rembrandt, dunque.

Sì, perché una delle leggende del calcio granata di tutti i tempi, era un uomo Toro, simbolo indiscusso dei tifosi: goleador implacabile e uomo derby, che con ostinata determinazione sgobbava come fosse una mezz’ala di spola degli anni ’70. Per lui il calcio era anche fatica, come fatica era la pittura per Rembrandt. Le tele di Rembrandt sono complesse e intricate come un labirinto che racchiuda un mistero. Toni bassi, mezze tinte, masse materiche aggrovigliate e scure, con lame di luce che filtrano improvvise come dalle fessure dei palazzi barocchi nel centro storico di Torino. Le teorie dell’ottica erano di là da venire, Rembrandt non conosceva le leggi fisiche che governano i raggi luminosi, eppure cercava la luce con strati spessi di materia chiara: non conosceva, ma sentiva. La sua tecnica non piaceva ai contemporanei, che prediligevano la pittura finita, liscia, a volte persino leccata che si usava a quei tempi, ma lui non ha mai ceduto al gusto dell’epoca. E proprio come il mito e l’idolo dei tifosi granata Paolino Pulici, il pittore ha passato momenti difficili, campando soprattutto con le sue splendide incisioni, ma ha continuato a cercare la luce lavorando instancabilmente.

Alla fine, ce la farà. Con “I sindaci dei drappieri”, Rembrandt riuscirà a vedere quella luce che il suo occhio visionario aveva inseguito con tanta determinazione e potrà chiudere così la sua vita con l’armonia interiore e con un capolavoro, così come Pupi è riuscito a vedere la luce con ostinata caparbietà dopo che Giagnoni lo mise a calciare il pallone in solitudine sul muro.

 

Devo anche dire che quella mattina di ferragosto, ad Amsterdam, prima di entrare nel Rijksmuseum, avevo appreso da un quotidiano sportivo, che il Toro si apprestava a sferrare l’assalto definitivo al tanto agoniato Rolandinho Bianchi, il centravanti d’oltralpe del Manchester City; giocatore di assoluto valore, nonché promettente futuro realizzatore di quei goal che da tempo mancano alla squadra granata.

Di conseguenza, era inevitabile che, girando per le sale del Museo, mentre gli occhi godevano emotivamente della pittura, la mente fosse impegnata a immaginare come avrebbe giocato il nuovo Toro, targato Gianni De Biasi. Ma arrivata davanti al capolavoro di Rembrandt, miracolosamente, gli occhi e la mente smisero di andare su strade separate, per fondersi in un’unica emozione. Niente di tutto questo, mi era accaduto con i quadri visti fino ad allora. 

Fu in quel momento che, riflettendo sulla forza delle emozioni, per associazione di idee, pensai al Toro e a De Biasi, e curiosamente notai come un pittore e un allenatore abbiano in comune, l’uno sulla tela e l’altro sul campo da gioco, uno spazio ben definito e un problema fondamentale da affrontare e risolvere: creare, in quello spazio definito, con i colori l’uno e con i giocatori l’altro, un equilibrio capace di ottenere un risultato e soddisfare l’occhio dello spettatore. Con certezza, GDB, si intende di equilibri: gli bastarono, infatti, poche settimane, per ricostruire, sulle macerie di una retrocessione che avrebbe stroncato chiunque, una squadra capace di centrare e guadagnare immediatamente la promozione. Oggi ha per le mani un nuovo parco giocatori ed un tridente formato da Amoruso, Bianchi e Rosina di sicuro affidamento, oltre a DDM, Stellone e il giovane promettente Malonga, tale da far tremare le avversarie di turno. Dunque, se il nuovo ariete granata saprà lucidare per bene l’artiglieria dando nuovo smalto al reparto avanzato, i dubbi rimangono ancora invece in mezzo al campo, ma come non si doveva lasciarsi andare al pessimismo prima, non ci si può nemmeno lasciare andare al facile ottimismo adesso. Rimangono alcuni pensieri su cui credo sia giusto ragionarci sopra con la dovuta calma, ma non troppa, ben sapendo che fra meno di una settimana c'è il Lecce e tutto dovrà essere pronto.

 

E’ risaputo che noi tifosi granata siamo dei visionari per natura e che come Rembrandt cerchiamo la luce da una vita. La luce di un nuovo ciclo che, come per “I sindaci dei drappieri” di Rembrandt, un giorno magico arriverà anche per noi e sarà finalmente il nostro capolavoro.

Chissà che quel giorno non sia proprio domani.

Forza Toro al di là del tempo e dello spazio.