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Nonostante i numeri non siano dei più confortanti e le ambizione del Torino siano state un po' ridimensionate da questo avvio di stagione che stenta a decollare (3 vittorie, 3 pareggi e 5 sconfitte), c'è un rapporto che, invece, continua a consolidarsi e a poggiare delle fondamenta importanti per il futuro: quello tra la squadra e la Nazionale. Il processo di crescita e programmazione che ha travolto la società ormai nel lontano 2011 con l'arrivo di Giampiero Ventura a Torino, aveva già iniziato a dare i suoi frutti nel novembre 2011, quando Angelo Ogbonna debuttò, sotto la guida di Prandelli, in una amichevole in Polonia (a dover di cronaca, l'ex difensore granata era già stata aggregato alla Nazionale maggiore nel giugno precedente, quarto caso nella storia di un calciatori che dalla Serie B passa all'Azzurro). L'esempio di Ogbonna è stato seguito da Alessio Cerci (debutto il 17 marzo 2013), Ciro Immobile (debutto il 2 marzo 2014 contro la Spagna) e da Matteo Darmian che, lasciando di sasso l'opinione pubblica (non chi l'aveva seguito con attenzione durante tutta la stagione), è stato convocato da Cesare Prandelli per il fallimentare Mondiale in Brasile. Il terremoto estivo in casa Torino non ha scalfito queste certezze: nonostante gli addii di Cerci e Immobile per inseguire le ambizioni (e i quattrini), il Torino continua a fornire un contributo importante alla Nazionale e, in ordine di apparizione dalle parti di Coverciano, non possiamo non citare Emiliano Moretti, chiamato da Antonio Conte per l gara di qualificazione ad Euro 2016 contro la temibile Croazia. Si tratta di un grandissimo riconoscimento per il difensore granata che, oltre le ottime doti atletiche e tecniche, si vede premiare una professionalità e uno spessore umano davvero encomiabili e rare nel calcio del XIX secolo.
Come è facilmente intuire, il rapporto tra la Nazionale italiana e il contributo del Torino non è mai stato lineare e costante ma, anzi, ha seguito di pari passo la storia e il rendimento del Torino (altalenante), dagli albori fino ai giorni nostri. Abbiamo deciso di condurre una sorta di cronistoria, raccontando su ToroNews i giocatori granata che più si sono distinti in Nazionale, epoca dopo epoca, gol dopo gol.
LIBONATTI, IL PRIMO SUDAMERICANO IN ITALIA "Era un tipo traccagnotto, l'occhio furbo, un naso rispettabile che fiutava il goal a trenta metri di distanza. Non disponeva di una grande leva di gambe, ma le cosce erano un ammasso poderoso di muscoli. Libonatti era un centravanti di manovra, giuocava arretrato rispetto alle mezze-ali, era un organizzatore, un distributore del giuoco. Non sarebbe mai potuto diventare un centravanti di punta, non era un uomo che andasse allo sbaraglio, era invece un calcolatore, un osservatore attento, frugava con l'occhio acuto nel tessuto della difesa opposta per scoprirne le falle. Il suo tiro era secco, generalmente un tiro corto ma preciso, sul portiere spiazzato. Così lo descriveva su Il Calcio Illustrato Ettore Berrà, una delle firme più brillanti del panorama giornalistico italiana del secolo scorso. Julio Libonatti nacque a Rosario, in Argentina, il 5 luglio del 1901, da genitori italiani. E proprio la sua discendenza italiana gli permise di arrivare nel nostro paese: a quel tempo, infatti, c'era un particolare accordo internazionale che permetteva ai figli di immigrati italiani nati in suolo argentino di ottenere anche la cittadinanza italiana. Le sue doti da giocoliere e da funambolo un po' come tutti i giocatori argentini gli varranno il soprannome di Matador, che i tifosi rossoneri del Newell's Old Boys gli affibbieranno durante gli anni dall'altre parte dell'oceano Atlantico (dal 1917 al 1925). Le voci su questo ragazzino sveglio, veloce lo chiamavano El Potrillo e dotato di un tiro preciso e potente, giunsero a Torino, alle orecchie del Conte Marone, impegnato in un grande processo di rinnovamento della squadra. Arrivò in Italia nel 1925, salendo su un transatlantico che lo portò in Europa. Nel 1926 ottenne la chiamata in Nazionale: realizzò 15 gol in 17 partite, vincendo anche una Coppa Internazionale (Coppa Antonín vehla o Coppa Dr. Gerö), quella che può essere considerato il primo Europeo disputato sul continente, allora rigorosamente destinato alle squadre dell'Europa centrale (Svizzera, Austria, Cecoslovacchia, Ungheria e Italia). Il 28 ottobre 1926 divenne il primo oriundo a vestire la maglia della Nazionale Italiana. Con il Torino vinse due Scudetti (il secondo venne revocato) e con Baloncieri e Rossetti formò il Trio delle Meraviglie. 383 gol in tre: numeri pazzeschi da far invidia persino al Grande Torino. Ad oggi, "Libo" rimane il secondo marcatore della storia dopo Pulici. Elegante in campo, conduceva uno stile di vita bizzarro fuori dal rettangolo verde. Era un "dandy". Come Gabriele D'Annunzio, indossava cravatte sgargianti, si circondava di belle donne, tanto guadagnava e tanto spendava in abiti di pregevole fattura. Il mito di Libonatti si eclissò lì dov'era nato, a Rosario: morì nel 1981. Gli dovettero pagare il biglietto del piroscafo per tornare in Argentina: non aveva più un soldo.
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