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Il Toro visto da Kabul

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Polvere. Tanta polvere. Così è Kabul: tre ore e mezza avanti, ma pare stia indietro di un secolo. Povertà e miseria, barbe e burqa, in attesa di un risultato positivo in quel derby tra pace e guerra che non arriva da...
Redazione Toro News

Polvere. Tanta polvere. Così è Kabul: tre ore e mezza avanti, ma pare stia indietro di un secolo. Povertà e miseria, barbe e burqa, in attesa di un risultato positivo in quel derby tra pace e guerra che non arriva da trent’anni almeno. Capita una sera di uscire alla ricerca di storie da cercare e raccontare, con la pattuglia dei militari italiani, verso le montagne che attraversano e circondano questa città combattuta tra un passato recente (etragico) e un presente che si vorrebbe già fosse futuro (prossimo).

È già notte, ma per l’Italia in serie B è ancora sera. E sta per giocare il Toro. Ne hai parlato e scherzato con un generale degli alpini innamorato di Torino e una crocerossina piemontese dichiaratamente antijuventina, loro che in mezzo a questa polvere afgana ci stanno da mesi. E per altri mesi ancora rimarranno. Gente granata, gente da Toro.

Come vorresti che fossero almeno un po’ i giocatori, quelli che non ci credi più, quelli che i simboli e le bandiere sono roba del passato che non torna. Poi ci caschi sempre, pure in questo campionato iniziato con quella prima partita utile nell’orrendo Delle Alpi colorato di granata quando hai sentito diffusa tra la folla, nei cori e nei sorrisi una nuova, quasi inedita fiducia. Nonostante o forse proprio per le facce nuove schierate in campo con addosso le maglie da “grande torino” e i pantalonicini bianchi extralarge, forse erano anche questi richiami estetici o quei quattro pelati schierati in mezzo agli altri, nel secondo tempo diventati tre più la testa fasciata di Rosina e complice il sudore speso bene per giocare e attaccare, darle e prenderle, che rendeva il granata ancora più scuro. Sarà per tutte quelle cose insieme ma quel primo giorno in campo, il Torino Football Club sembrava davvero una squadra d’altri tempi, quasi da calcio all’inglese invece che moderno e poi, ovvio, il tifo non mancava, come non manca mai. Perché sempre e comunque: Santa Maratona.Ora è notte e aspetti il messaggio buono, l’SMS che sblocchi il risultato anche qui a Kabul, dove il pattugliamento è iniziato e non sempre il telefono prende, GSM o satellitare che sia. Allora parlare di Toro smorza pure la tensione e a chi vuol sapere di questa nuova squadra qualche nome lo vuoi pur dare, meglio se con storia annessa. Dentro e fuori il blindato che si muove circospetto sulle alture che nascondono la vista su Kabul.

Un nome e una faccia, allora. Al diavolo la prudenza. Ecco: diavolo di un Doudou. Perché “Diawz” è stiloso e caracollante, elegante e tenace, come questo blindato. Sì a volte sembra pure distratto ma più spesso concentrato e intanto sul campo si muove felpato e interviene deciso. Un “rasta” al centro della difesa, però non fatelo incazzare e non vi buttate per terra anche se solo sfiorati sennò il diavolo nero diverrà urlante. «Questo è un campo non è una piscina». Suona più o meno così l’ammonimentodel nostro centrale difensivo emigrato dal Senegal e capace in questi anni di imparare l’italiano e il calcio all’italiana che spesso è proprio come la vita di questo Paese e pure un po’ peggio, soprattutto se lo assaggi viaggiando sugli sterrati dei campi della provincia estrema, roba da Campionato Nazionale Dilettanti in Sicilia, mica tappeti verdi della Champions League. E insomma da questo veloce e rapido blindato della difesa granata ti prendi pure un vaffanculo forte e strafottente se cerchi di offenderlo in modo razzista, per referenze chiedere al figlio di un ex centravanti riciclato nel reality pallonaro e a un irascibile e provocatore, oltre che rissoso portiere del sud. Doudou insomma sembra uno tosto davvero e chi avrebbe pensato di vederlo titolare a raffica per difendere l’area e tirare giù la saracinesca insieme a capitan Brevi o a Ungari e poi magari pure Orfei.E poi succede che sotto il giubbotto antiproiettile arrivai il bip di un messaggio che vale un goal, anzi il goal di Muzzi. E che goal, mi diranno, roba firmata da centrattacco che non ti aspettavi così forte, così motivata. Alla faccia della prudenza e dei nomi che non valgono più, dentro senti scoppiarti un piccolo boato che deve per forza di cose restare silenzioso, nel buio interrotto solo dai visori notturni che pattugliano gli sguardi lungo le creste di montagne brulle e disseminate di case che in verità sono baracche della periferia estrema della capitale afgana. La partita del Toro finirà prima del pattugliamento, ma per un momento la distanza tra l’Italia dei campi di serie B che ci toccano pure quest’anno e questa notte di Kabul che pare un unico buio sembra davvero non esistere. «Puoi girare il mondo quanto vuoi, ma i granata veri siamo noi…»

Marco Mathieu

Inviato speciale di GQ