Domenica 3 maggio 2009Caro Diario,con quale spirito andrò incontro a domani? Con quello peggiore: avevo pianificato di avere una giornata tutta granata, avrò invece una giornata normale.Ufficio, ufficio, ufficio... è frustrante, è come... è come se mi avessero annullato un gol per fuorigioco inesistente, ineffabile, millimetrico.Ecco com'è: sempre il solito copione.Va bene tutto, accetto qualunque cosa... ma che la mia vita soffra degli stessi parametri sballati che penalizzano i ragazzi in campo mi sembra troppo.Mannaggia alla proprietà transitiva dell'essere del Toro: ho come l'impressione che l'esser tesserati o tifosi non faccia una grande differenza a livello di equilibrio cosmico.Più semplicemente sono solo un po' stanca.Attendo con impazienza il Quattro Maggio perché non vedo l'ora che finisca così potrò aspettarne un altro. E poi un altro e poi un altro ancora.E man mano che il tempo ci allontana implacabilmente da quel giorno là, cresce tenacemente tutto il patrimonio d'orgoglio che la Morte non è riuscita – né mai riuscirà – a portarci via.Per la serie:- Sono il Cupo Mietitore...- E chi se ne frega!Buonanotte.Lunedì 4 maggio 2009Caro Diario,sono riuscita ad avere una giornata normale. Non essendo più obnubilata dalla rabbia, ho finito per apprezzarla. Tanto.E' quello a cui generalmente aspiro: una normalità fatta di emozioni, di sorrisi sotto quattro fanali azzurri (una “amica” mi ha rimproverata per il fatto di parlare spesso degli occhi azzurri dei miei figli... pensa un po': ne parlerei anche se fossero di un altro colore. Ne parlerei anche se fossero a quadrettini, pallini, rombetti. Striscette? Eventualità che non prendo in considerazione per conclamata assurdità), di arrabbiature in ufficio.Sì, una giornata normale.Con i soliti tumulti dell'anima, i pensieri impetuosi e pressanti sulla nostra sorte.Ed anche con un temporale feroce venuto a bagnare una giornata troppo asciutta ed assolata per essere il Quattro Maggio.Prima un tuono e poi la pioggia scrosciante, solida, veloce.Poi il silenzio.Anche la natura talvolta offre metafore e le parole non sono necessarie.Eppure voglio ricordare. Sì, voglio ricordare.Voglio ricordare che dieci anni fa era il Quattro Maggio Millenovecentonovantanove.Ricordo bene tutto: il cielo plumbeo proprio come in QUEL giorno, che scherzi fa la Natura, pensavo... ed ero inconsolabile.Ero inconsolabile perché era il Quattro Maggio, ma quella inconsolabilità lì la sperimento tutti i giorni a dire il vero, ero inconsolabile perché il cielo era pesante, ero inconsolabile perché mi rendevo conto che il peso del ricordo sarebbe sempre aumentato (alla faccia del tempo che dovrebbe curare le ferite...), ero inconsolabile perché ero inconsolabile.Deve esserci per forza un motivo per un'emozione? Qualunque essa sia? No.So solo che avevo più voglia di piangere del solito.“Sarà il tempo, sarà il Toro, sarà... sì, sicuramente sarà così.”Ma qualcosa mi chiamava, come una sorta di sottile voce interiore a cui non avevo la minima intenzione di dare ascolto.Piangeva il cielo, piangevo io, speravo che la giornata arrivasse alla notte rapidamente per chiudere gli occhi e non sentire più QUEL dolore.Devastata. Scossa da tremiti. Incapace di fermare la lacrime.In auto, andando al lavoro, sentivo alla radio il ricordo di chi c'era, di chi allora era bambino, di chi allora divenne grande all'improvviso, di chi si sarebbe portato per sempre dentro la voragine della Perdita.Me Grand Turin... sempre vivo, sempre vivo!L'orgoglio e l'appartenenza si mescolavano alle lacrime che tentavo di asciugare per prendere posto alla mia scrivania ed iniziare un'ennesima giornata a parlare in inglese, pensare in inglese, ridere in inglese, arrabbiarmi in inglese.E mi sembrava a quel punto che la vocina interiore stesse sghignazzando. Uno scherzo della mente, una follia improvvisa?Alle diciassette spegnevo il computer, dovevo fuggire da quel posto, non avevo più voglia di essere gentile con nessuno, non avevo più voglia di parlare in inglese, volevo essere lasciata sola con il mio dolore: il Grande Torino muore, si faccia silenzio.Le diciassette e cinque.Senza ombrello, nel parcheggio, rivolgevo lo sguardo a Superga e piangevo, piangevo ancora, tremavo scossa dal pianto.Salivo in auto ed un forte senso di nausea mi paralizzava.Ohibò, penso, e se... naaaaaaa, figurati... la vocina interiore non parlava più: sorrideva. Ovviamente tu sai qual è il rumore di un sorriso, vero? Io sì.Incurante della pioggia, delle pozzanghere, degli idioti che non sanno guidare quando piove, correvo verso casa.Presa da una frenesia quasi estatica prendevo dal cassetto un test di gravidanza.In un attimo una riga azzurra esplodeva sullo stick, manco l'avessi tracciata con un pennarello, e CAPIVO.Un'ondata di calore poi brividi di freddo.Guardavo incredula quella riga azzurra.Guardavo il gatto.Parlavo con il gatto.“Tu sai che siamo al punto senza ritorno, vero?”E lui, il gatto, non diceva nulla: socchiudeva gli occhi e strofinava la fronte contro la mia.Una scintilla di vita.Dentro di me.Il Quattro Maggio Millenovecentonovantanove.Inconsolabile. Ma quella scintilla di vita... quella scintilla di vita adesso è in sala, gioca con la Playstation, Toro contro Hearts, ed il Toro vince, vince, vince esageratamente.Quanto dolore ma quanto amore... sono i miei Quattro Maggio: punti di non ritorno nel bene e nel male, punti di non ritorno e nuovi inizi. In un giorno un po’ così, in un giorno che forse fa più male degli altri, in un giorno che vorrebbe essere un giorno qualsiasi e non lo è.Poi ti devo raccontare della gita a Superga della Nonna Olga ma visto che succederà domenica non posso ancora farlo...
mondo granata