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mondo granata
Un incontro per caso, lungo le vie di Borgo Vittoria. Sono rimasto legato alle mie radici, non ho mai voluto cambiare medico e cercarne uno più vicino al luogo dove abito. Questa in fondo è casa mia.Incontrare chi non vedi da tanto, è riconoscere i segni del tempo. Sapevo che era successo, ma vederlo di persona fa troppo male.Sospiro, l’immagine dei vecchi muri che ho di fronte, si sfoca e si sovrappone ad un’altra.Dall’angolo con Via Natale Palli sento dei clacson…E’ un camioncino Westfalia con un gruppo di ragazzi in piedi nel cassone.Hanno capelli e basette lunghe, Qualcuno indossa occhiali dalla grossa montatura.Hanno bandiere e stendardi granata ovunque, stanno puntando verso il centro.Certo che è proprio alla fine ormai...Una voce da uno dei due livelli di coscienza mi chiama, mentre il Westfalia passa di fronte a me, in Via Randaccio.Avrebbero potuto salvarla. Dicevano che questo era un Monumento Nazionale…Sbatto gli occhi. Non vedo più il camioncino.
- Scusi?- Certo che è proprio alla fine oramai… Un vecchietto, che porta a spazzo un cagnolino discolo, mi si è fermato accanto.- Avrebbero potuto salvarla. Dicevano che questo era Monumento Nazionale… - indica i muri grigiastri e diroccati di fronte a noi. Mi racconta di sessanta anni prima, quando la cascina era circondata soltanto da prati. Scuote la testa più volte, tenendo le mani incrociate dietro la schiena.Il filo del guinzaglio spunta come una coda.- Ca staga bin, arvedse… - si congeda e prosegue la sua passeggiata, verso la scuola Franchetti.Mi ha parlato in piemontese. Uno degli ultimi, forse.Questa è casa mia.
- Come stai? – penso o sussurro.Non c’è bisogno di parole per capire che sta morendo.Non la vedevo da così tanto tempo e non immaginavo che anche lei, che mi sembrava eterna, e che era già vecchissima quando ero bambino, potesse andarsene.Questo non è un racconto, penso.Forse potrebbe diventarlo….Facciamo un patto?Qualcuno ha parlato. Non riesco a capire…Facciamo un patto. Se mi aiuti… io ti…La voce arriva da quelle mura.Chiudo gli occhi e sorrido di un sorriso amaro.Come posso aiutarti, io?Vengo distratto da quella conversazione surreale.Di nuovo il clacson.Il Westfalia transita di nuovo con le bandiere.
Abitavamo in Borgo Vittoria.Da piccolo, la domenica pomeriggio, la nonna mi portava a vedere i treni che correvano su Corso Venezia.Con la pazienza dei bambini, aspettavo ansioso di poter vedere transitare le “littorine”, nome memore di un tempo neanche troppo lontano.Li guardavo sfilare con la tenera ingenuità che può avere un bambino, forse il momento più vero della vita.Alle volte penso che si venga al mondo soltanto per vivere gli anni dell’infanzia, e che tutto quello che segue sia solo un riempitivo.Durante quelle che mi parevano lunghissime passeggiate, con gli isolati che non finivano mai, ed i passi corti e faticosi, la meta inevitabile di tanto girovagare era però una casa abbandonata.La casa dell’immondizia.
Cara Casa dell’immondizia, luogo dei misteri.Dovevo avere pochi mesi quando ti vidi per la prima volta.Ricostruire la sua storia è un po’ ricostruire le vicende di tutti noi che siamo stati piccini e più volte l’abbiamo guardata con paura e mistero.
La Cascina “Fossata”, venne costruita nel tardo ‘600 e si trova nell’odierno quadrilatero di Borgo Vittoria che comprende via Randaccio, via Sospello e Via Ala di Stura.Il quarto lato, quello a Sud, non si affaccia su nessuna via, ma sull’ideale proseguimento di via Coppino, a fianco della scuola Franchetti, costruita nel 1980.Nel ’700 la cascina subì una prima ristrutturazione e fu testimone degli scontri tra l’esercito francese e quello piemontese, in occasione dell’assedio di Torino del 1706, battaglia, che diede il nome della Vittoria a questo Borgo a Nord di Torino.
La struttura purtroppo è in stato di completo e totale abbandono da decenni.Definirlo degrado sarebbe un lampo di ottimismo. La casa padronale, il simbolo di questo pezzo di terra che si ostina a non voler morire, ha subito un paio di anni fa un rovinoso crollo nella parte riguardante tetto e loggione. Dapprima uno squarcio nel tetto, poi le infiltrazioni ed il crollo.Le rimanenti costruzioni non godono certo di salute migliore.L’intera area della struttura, compreso il frutteto a Nord, è stata sommersa dalla vegetazione, come una visita attraverso Google Maps può tristemente testimoniare.
Non è facile ricostruire la storia della cascina, le testimonianze certo non abbondano e l’unico testo disponibile è stato redatto dai bambini della scuola Franchetti, che nel 2004 avevano deciso di “adottarla”, al fine di un ipotetico recupero della zona.Il sito del comune di Torino riporta che “La costruzione è precedente al 1683; venne ristrutturata fra il 1776 ed il 1791 su progetto di G.B.Aravelli e sotto la cura del Duca di Chiablese, proprietario fin dal 1774. La cascina, ereditata dalla Regina Cristina, vedova di Carlo Felice, passò come tutti i beni dei Savoia, al ramo cadetto dei Carignano e infine fu venduta a privati”
Casa dell’immondizia…Quasi la immagino sola, tra i prati del Settecento, con una collina in lontananza ancora priva di Superga. Quasi immagino i rumori della battaglia che imperversa…C’è un altro rumore. No, non è quello della battaglia.Il camioncino Westfalia sta di nuovo per svoltare e passare qui di fronte…
Borgo Vittoria a metà degli anni Settanta brulicava della vita di persone che credevano in qualcosa.Era un universo a sé ed ogni tassello si incastrava perfettamente al suo posto.Ogni persona protagonista di quel piccolo mondo aveva un nome, prima che una funzione.Si diceva “Vado da Luciano” e si sottintendeva che si scendesse fino al negozio del lattaio.Così come c’era Luciano il Marghé, c’erano Piero il macellaio e Mirella la cartolaia, la merceria di Rosetta e il signor Conti che, bianco e sempre più curvo, portava sulle spalle le bombole del gas.Anche il fruttivendolo ed il barbiere, che ti tagliava i capelli facendoti sedere sul “cavallino”, avevano il loro nome, ora sfuggito da qualche maglia fallata di un ricordo a volte dettagliato.Ogni mattina era un fluire di bambini con la maglia blu e di bambine col grembiulino bianco, che trotterellavano mano nella mano ai genitori, lungo via Coppino, verso la scuola di via Mosca e la scuoletta di via Sospello, mentre sullo sfondo arrivava l’odore acre della conceria della lontana Piazza Bonghi. La zona era piena di piccole officine, che riuscivano a sopravvivere senza ansie e tra quelle c’era la piccola falegnameria del nonno all’interno di un garage, che riforniva di arredi i negozi della zona.Il tram numero 9 sferragliava con le rumorosissime bisarche verdi “due camere e cucina” da Via Sospello verso Via Chiesa della Salute. La domenica alle 12 c’era quasi sempre un capannello di ragazzi vestiti di granata che lo aspettavano.Spesso ci si svegliava sotto un manto di 30 cm di neve, ma nessuno faceva drammi. Per noi bimbi era una gioia percorrere via Coppino priva di rumori.Eravamo bambini di quella città inquinata, nella quale sui balconi si depositava spesso la polvere nera portata dalle non lontane acciaierie, e la cui aria era talvolta satura dell’odore di pandoro o di caramelle alla fragola, ambiguo omaggio della fabbrica di aromi San Giorgio, posta sul limitare tra Corso Venezia e il Parco Sempione.Il Parco Sempione erano le nostre colonne d’Ercole.Soltanto i ragazzi più grandi potevano andarci a giocare a pallone.Il nostro mondo finiva con Corso Venezia.Anzi, con la Casa dell’immondizia.
- Mi sa che quest’anno ce la fate a vincere lo scudetto…Luciano il marghé era benvoluto da tutti bambini del borgo, assieme alla moglie Nevia, con la quale conduceva la latteria. Sapeva far di tutto, all’occorrenza anche iniezioni, e mi chiedo quanti di quei sederini d’oro del Borgo, oggi diventati sederoni, siano stati bucherellati dalle sue manone.Il giorno prima il Toro aveva battuto per 2-1 la Lazio e la Rai aveva mandato in onda la consueta sintesi di un tempo della partita senza il commento di Nando Martellini, causa sciopero giornalisti. Non ricordo se Luciano il marghé fosse juventino. Se lo era doveva essere un rarissimo caso di juventino illuminato.Molto più probabile che tifasse per l’Inter e che tenesse una bandiera nel retro del negozio.In quell’inizio 1976 il Toro non perdeva colpo e spesso al termine delle partite i balconi fiorivano di bandiere granata.Il barbiere invece era uno juventino un po’ strafottente e pativa per le prese in giro che buona parte del quartiere gli rivolgeva, quando transitava di fronte al suo negozio.Il signor Conti, l’uomo delle bombole, invece era del Toro. Parlava poco, con voce affaticata, ma sapevamo tutti che era dei nostri.Una domenica d’inverno ci portò la bombola del gas, nonostante fosse giorno festivo e si trattenne il tempo di vedere Novantesimo Minuto in tv, condotto da Valenti e Barendson.Il Toro aveva battuto il Verona per 4-2 e per tutto il tempo gli ruppi le scatole ripetendogli – Il Torino ha vinto! Il Torino ha vinto!- Ma sì, Mauro, l’hai già detto, il signor Conti non è mica sordo. Lascialo guardare la televisione…- Il Torino ha vinto! Il Torino ha vinto!
Non c’erano solo i negozianti a popolare l’universo che si stringeva sempre più attorno alla casa dell’immondizia.C’erano gli anziani del circolo bocciofilo “La Fissa” di via Breglio, che sfidavano tempo e soprattutto mogli, per poter stare in pace un paio d’ore.C’era il maniaco dell’auto pulita, che passava il tempo a lucidare in maniera ossessiva la sua 124 rossa, prima di rivestirla con la fodera grigia.C’era Nicola, il ragazzino che oggi si definirebbe problematico. Era attaccabrighe e tendeva a mettersi nei pasticci spesso e volentieri. Ma aveva un cuore d’oro e con gli occhi sembrava spiegarti che, se avesse avuto una seconda vita, si sarebbe tolto dalla strada.C’era una bambina che un giorno fece tardi giocando per strada e, per paura dei rimproveri della mamma, simulò un rapimento.Arrivò fino a Porta Nuova e salì su un treno.La ritrovarono il giorno seguente a Reggio Calabria. Disse che era stata rapita da un uomo con la barba, ma ovviamente la sua storia non resse.C’era l’ironia che si affiancava alle scritte impegnate sui muri, così qualche buontempone un paio d’anni dopo avrebbe operato una piccola modifica alla scritta “Baader è vivo” (che si riferiva al componente della gruppo terroristico tedesco Baader-Meinhof, suicidatosi – o suicidato – in carcere ), aggiungendo una “ra” che mutava la scritta in Baader era vivo.Allo stesso modo qualche spiritosone aveva modificato la lunga scritta “lotta comunista” di Via Chiesa della Salute, creando uno spassoso “Carlotta comunista”.I muri abbondavano di scritte, dalle S.A.G. granata, ai N.A.B, bianconeri. Spesso si accavallavano e non poteva certo mancare l’onnipresente juve TBC, autentico leitmotiv di quegli anni.C’era tutto questoE soprattutto c’era l’uomo solitario. Non aveva un nome, ma abitava da solo nella casa dell’immondizia.Non nella casa padronale, quella era disabitata da tanto tempo, ma nella casetta dello spigolo sud orientale, senza luce né acqua.Era un burbero feramjù, un robivecchi ed il cortile della cascina bei pressi della casetta era pieno di ciarpame o rottami.Si sapeva poco di lui, se non che accudiva le mucche ancora presenti nelle stalle, che un tempo avevano potuto pascolare nei prati vicini, e ora erano costrette a farlo nel cortile della cascina.Spesso riuscivamo ad udire i loro muggiti dalle nostre abitazioni.E altrettanto sovente, prima di addormentarmi, mi chiedevo pieno di timore che cosa nascondessero le stanze buie che si nascondevano all’interno di quella che per me era la casa del mistero.La febbre del Toro esplose di lì a poco anche a scuola, con due fazioni ben divise ed i bambini dell’Inter che spesso preferivano parteggiare per noi, anziché strisciare a livello gobbo.Si attendeva l’uscita da scuola per gridare cori anti-juve, prima che i genitori ci dicessero di farci furbi. Si guardavano tra di loro e scuotevano la testa, ma sapevano benissimo che erano stati loro ad attaccarci quella malattia.Le domeniche, per chi come il sottoscritto, non aveva avuto ancora la fortuna di recarsi allo stadio, erano legate alla radiolina, alle voci di Ameri e Ciotti, alle prime superstizioni (la gamba destra accavallata su quella sinistra, o viceversa, fino a provocarsi un’ischemia), alle corse in tinello per urlare saltando – Ha segnato il Torino! Ha segnato il Torino!
Giocavamo a pallone per strada, nei pomeriggi dopo i compiti.Si scartava l’avversario facendo sponda sui muri, ma si poteva fare gol soltanto tirando direttamente in porta, il cui palo era solitamente un lampione. Se la palla cascava dal marciapiede era rimessa laterale.Il campo, di volta in volta era un marciapiede diverso, il più delle volte ci si doveva spostare dove non ci fossero adulti che rompessero le scatole.Da una parte c’era il signore che non riusciva a fare il sonnellino per i colpi del pallone sul cancello (poveraccio, in fondo non aveva tutti i torti), dall’altra parte c’era il Dottore (gobbo) che “non gradiva” le nostre performance e mandava in avanscoperta la portinaia Nella col battipanni. Dalla parte opposta c’era il carrozziere preoccupato per la sua insegna luminosa, poi quello che ti tirava le secchiate d’acqua gelata. E poi c’era il maniaco dell’auto lucida, che aspettava solo di poterti mettere le mani addosso, qualora gli avessi mai sfiorato la 124.Era difficile in quegli anni, e se eri un ragazzino piccolo dovevi fare attenzione a spostarti con cautela, evitando le vie dove sapevi che avresti trovato problemi.C’era la banda di Via Baracca – Via Bongiovanni. Erano quelli che giravano col coltellino, e non c’era da scherzare. C’erano i ragazzini con famiglie sbandate, c’era Nicola, del quale tutti avevano paura.Ma io avevo la fortuna di giocare in porta, in quei campetti fatti di cemento e, ad essere sinceri paravo veramente bene, mi buttavo con coraggio nonostante il terreno, fino a strapparmi i jeans e a sbucciarmi i gomiti.Quando rincasavo, avevo solo il tempo di udire gli ululati di mia nonna.- Hai di nuovo strappato i gin! - (non riusciva a pronunciare la parola in modo completo). E poi giù brontolate. Oppure si lamentava: - Ecco! Sei di nuovo sudato!Chissà perché nelle persone anziane il sudore dopo un’attività fisica era considerato un pericolo!Un giorno compii una parata prodigiosa, lanciandomi sul cemento.Nicola, che era in squadra con me, mi fece un complimento. Cosa rarissima.Io mi schernii arrossendo.Da quel giorno mi prese in simpatia. Diceva che io ero “modesto” ed ebbi la vita salva con le bande di quartiere (quasi tutte gobbe, ovviamente), che temevano Nicola.
Un giorno, ai margini della Fossata andò a vivere “Giacu”. Oggi lo si definirebbe un disperato, in realtà era un ragazzone diseredato, originario di Lanzo, che l’alcool faceva sembrare molto più vecchio di quanto fosse in realtà.Viveva in una roulotte all’angolo della cascina e sbarcava il lunario facendo il feramjù, gironzolando per il quartiere con la sua bici che trainava un carrettino.All’interno del suo rifugio, aveva solo una piccola stufa che lo riparasse dal gelo invernale.Alla fine, con l’aiuto benevolente e complice degli abitanti di quel piccolo universo, Luciano il marghé in testa, riuscì a collegarsi alla rete elettrica e ad avere una stufa ed un televisore.Un giorno due vigili urbani si recarono da lui non per fargli una multa per divieto di sosta, ma per dirgli che doveva sloggiare. Qualcuno che vedeva un pericolo in quel barbone, doveva essersi lamentato.Lui diede di matto e sfasciò la macchina dei vigili, con una robusta asta di ferro, facendoli scappare a gambe levate senza vettura.La cosa venne ricomposta a fatica, grazie alle volenterose intercessioni di Luciano il marghé, ma fino alla sua fine prematura, in molti cercarono di fare sloggiare Giacu dalla sua roulotte.
Certo, giocavamo per strada.Genitori e nonne gettavano l’occhio dalle finestre ma lasciavano che facessimo, che ci strappassimo i jeans e tornassimo in casa con le mani sporche di tutto.Le raccomandazioni non mancavano, ci dicevano di stare attenti, perché il pericolo poteva essere ovunque.Ci raccontavano la storia di Cesare, un bambino sfortunato.Molti anni prima, dove ora sorgevano i palazzi anni ’50 e ’60, esistevano solo prati.I ragazzini giocavano liberi, ma un malaugurato giorno, un bambino di nome Cesare, la sorellina, e altri tre o quattro compagni di giochi, trovarono una scatola metallica arrugginita in un prato.I ragazzi volevano vedere che cosa ci fosse dentro e, dal momento che non c’era verso di aprirla, Cesare cominciò a percuoterla lentamente con una pietra.Gli altri bambini dietro di lui.Il corpo di Cesare fece da scudo a quello della sorellina, quando la scatola esplose.I bambini rimasero tutti gravemente feriti, tranne Cesare, che quel giorno perse la vita.Su quel punto i genitori non volevano sentire ragioni.Dovevamo stare distanti dalla “Casa dell’immondizia”. Lo stato di abbandono poteva nascondere chissà quali pericoli, pozzi, o peggio ancora davvero vecchie bombe inesplose.Così potevo visitare i dintorni di quella casa del mistero soltanto accompagnato, ragionando sulle vite e i misteri che un giorno dovevano aver popolato quel sinistro porticato.
La mattina del 16 maggio, il quartiere era in fibrillazione.Mia madre mi accompagnò dal giornalaio di Via Sospello per acquistare Alé Toro, la mia prima copia. Risaliva a qualche giornata prima, ma a me non importava.La Stampa aveva distribuito una foto, per l’occasione, della gobba degli anni ’30. Come dire, guardate noi: 5 scudetti di fila. La triste mossa nascondeva la rassegnazione per la sconfitta imminente. Il barbiere cercò di infastidirmi, ma vedersi snobbare da un bambino di quasi 8 anni gli dipinse sul volto una smorfia di sofferenza.Vidi le bisarche verdi che cominciavano a riempirsi di gente granata e mi chiesi il perché non potessi tornare in quello stadio che avevo conosciuto due settimane prima, in occasione di Torino-Cagliari. Invece la paura della ressa fu troppa, così restai a casa, a vivere la partita dalla voce di Ameri e Ciotti. Ricordo la roca voce del radiocronista interrompere chi stava parlando.Temetti fosse la gobba. Invece era il Perugia.Quando il Toro vinse lo scudetto, corsi a chiamare mia mamma in tinello.Si sentivano i primi clacson Ci affacciammo dal balcone e vedemmo alcuni ragazzini abbracciarsi.Avrei dovuto piangere, ma non potevo ancora comprendere il significato di quanto stavo vedendo.Non mi portarono a festeggiare in centro, mia madre era reduce da un tamponamento.La nonna mi portò a fare un giro attorno agli isolati, dove sfrecciavano le vetture dirette in centro.Quasi mi sembra di rivedere una Dyane strabordante di persone, un camion con il suono assordante di una mucca, una Ami 8 rivestita di granata.E poi, proprio di fronte alla casa dell’immondizia, il Westfalia che sbucò da Via Palli verso Via Randaccio.- Ciao bambino! Forza Toro! – mi salutarono i ragazzi dal cassone.
- Ades butuma fora la bandiera! – Mia nonna aveva aspettato anche troppo e si occupò personalmente di ancorare la mia bandierina senz’asta a un manico di scopa.I balconi stavano fiorendo di vessilli. Ricordo di essere stato ore ad ammirare quella piccola bandiera che svolazzava. Il nasino premuto contro i vetri per guardarla attraverso le persiane.Il nonno tornò a casa dalla bocciofila e disse che avevano brindato allo scudetto.- ‘T l’avras pa’ beivù? (Avrai mica bevuto?)- Ma fate furba, tempesta! (Fatti furba, tempesta!).
Il giorno dopo portai a scuola la bandiera con ancora sei scudetti.Non c’era più nessuno della juve. Tutti erano diventati del Toro, come per miracolo.
Gli anni trascorsero, in quel piccolo universo.Un giorno, tornando dalla scuola, vedemmo un andirivieni di polizia dalla casetta d’angolo della Cascina Fossata.L’ultimo abitante, il vecchio senza nome era stato ucciso.Un colpo di pistola alla schiena.Si vociferò che fosse stato fermato un nomade, ma le notizie erano confuse.Fu l’ultimo abitante della Casa dell’immondizia. Da quel momento il cancello sull’unica parte di cortile rimasta praticabile rimase chiusa e dal balcone di casa potemmo vedere le erbacce avere la meglio su rottami e carcasse di automobili, e nessuno seppe che fine avessero fatto le mucche ospitate nelle stalle fatiscenti.Non molto tempo dopo, la piccola casetta d’angolo andò a fuoco.Il tetto crollò e venne perduta un’altra parte di storia.Capitava spesso con chi possedeva appezzamenti di terreno nella zona, che utilizzava per accatastare legname.Spesso e volentieri un incendio riduceva tutto in fumo, e dopo poco un bel palazzo prendeva il posto della catasta di legname.Bella tattica.La Fossata resistette.Avevano bruciato le tettoie, avevano bruciato la casa d’angolo.Ma lì, zona che si diceva Monumento Nazionale, non venne mai costruito nulla.
Gli anni, dicevamo, passarono.Una mattina qualcuno udì dei lamenti provenire dalla roulotte di Giacu.Si stava dibattendo sul pavimento in preda a dolori lancinanti.Lo portarono all’ospedale, ma non ci fu nulla da fare.Giacu lo strano.Giacu il burbero, l’ubriacone, Giacu dal cuore d’oro.Se ne andò così, una mattina, tra palazzi che quel giorno sembravano incombere sempre di più sulla sua roulotte.
Luciano il marghé aveva combattuto nei Partigiani.Quando si seppe che accanto alla Fossata si sarebbe costruita una scuola, si batté con tutte le sue forze perché l’edificio venisse intitolato al suo amico, Edi Franchetti, che aveva visto morire in montagna.Andò a parlarne in Circoscrizione. Disse – Oggi i bambini sanno anche quanti peli aveva sul sedere Toro Seduto , e non sanno nulla della Storia…!Magari, caro Luciano, adesso sapessero davvero qualcosa su Toro Seduto…Magari.
Poco dopo la metà degli anni ’80, si scoprì a tossire sangue.Era uomo troppo scafato per non sapere cosa significava.Volle un funerale civile.La banda passò per le vie del borgo intonando una musica tristissima.Quel giorno piansero tutti, in Borgo Vittoria.
Quel periodo di vita, nel quale sono rinchiusi gli anni della mia infanzia e prima adolescenza, lentamente svanì.Uno alla volta i personaggi che erano stati protagonisti di un sogno, scomparvero dalla scena.
La merceria di Rosetta chiuse i battenti, dopo la sua morte, anche il barbiere chiuse il negozio e persino il ricordo di quel Toro che aveva fatto fiorire i balconi di mille bandiere granata, si allontanò nel tempo.Un giorno di marzo, sul finire degli anni ’80, anche io diedi l’addio a un quartiere, dove tuttavia lasciai il mio cuore.
Il suono di quel furgoncino va e viene.Lo squarcio nel loggione fa male. Avrei voluto vedere davvero dentro quelle stanze.Ma non così, non per i crolli.Solo a Torino ci si ammala di nostalgia?Ignoro quale sia la proprietà della Cascina Fossata, che in tutti questi anni ha sempre dimostrato disinteresse per questo pezzo di storia.Né le istituzioni hanno mai fatto qualcosa per evitare questo terribile destino alla cascina.Le linee di potere e sviluppo di questa città sono, temo volontariamente, finalizzate al ridurre in cenere tutto quello che parla delle nostre vecchie radici per poter creare una città anonima e di un’asetticità senza ricordi. Un “novunque”E’ una volontà che vuole dimenticarsi del suo passato, si richiude su di noi e ci sotterra con la sua crosta aliena.Sono rimasti pochi punti di contatto con la Torino che fu e che ci riempie il cuore di nostalgia, perché parla di noi.Non credo che aggrapparsi a tutto questo sia un modo per non voler vedere il tempo scorrere o adeguarsi al cambiamento dei tempi. Credo sia un modo per rimanere vivi.Mi piace pensare che in fondo in fondo quella vecchia cascina abbia un’anima e che, così come il quadrilatero del Fila, sia ancora in contatto diretto con la terra magica sulla quale è stata costruita.
Il cantiere del Passante Ferroviario, si è mangiato negli ultimi anni parte del Parco Sempione e si è anche portato via il cavalcavia di Via Breglio, che conduceva in Via Lauro Rossi. I prati che hanno visto i giochi di migliaia di bambini non ci sono più, tant’è che si è addirittura formato un comitato per la difesa del parco.E’ il solito discorso del cemento e della speculazione edilizia, che ritroviamo un po’ ovunque. I terreni hanno triplicato il loro valore. Potete immaginare quanto convenga edificare su un’area simile, considerando la futura stazione Rebaudengo/Fossata?Nel 2001 il Piano Regolatore della città prevedeva che l’area, visto il valore storico, venisse riqualificata, e che si potessero realizzare l suo interno strutture civiche quali una biblioteca o aree verdi, insieme al recupero (disperato) delle strutture.Alle volte ci si sente ridicoli a proporre cose simili.Una biblioteca?Libri???Ma che scherziamo?Come farebbero le nuove generazioni gu-gu-minghia-zulù alle prese con questo fantomatico oggetto?
Il progetto di riqualificazione si è sempre scontrato col fatto che l’area andasse espropriata ai proprietari, ma chi si sarebbe dovuto accollare il costo del recupero degli edifici, che nel frattempo si faceva sempre più disperato?Gli anni sono trascorsi e sono stati testimoni dei gravissimi crolli di alcune strutture, che avevano sulle spalle 350 anni di storia. Poi, nel febbraio del 2009, una Delibera Comunale, che fa capo a una variante al Piano regolatore, sblocca la situazione, assegnando un terreno edificabile alla proprietà della Fossata, ma a Nord della stessa. In cambio la cascina passa a titolo gratuito alla città.E fin qui tutto bene, poiché ne viene ribadito il valore storico.Tra le righe della Delibera, però, si legge, oltre alla volontà di destinare la zona ad interessi comuni, anche la possibilità di realizzare strutture quali mercati e centri commerciali…E ti pareva che non c’entrava il centro commerciale.La Circoscrizione 5 approva, a patto che sia l’attuale Proprietà a farsi carico delle opere di bonifica e messa in sicurezza delle strutture.Nello stesso tempo si prevede la ristrutturazione delle strutture esistenti.Inoltre parla apertamente di centro commerciale, e si chiede che i volumi di ciò che verrà costruito, non superino i tre piani di altezza fuori terra.Ohibò!Altro che biblioteca.Tre piani?Ben più della altezza della cascina stessa.Sarà, ma la cosa messa in termini ambigui non mi convince.Gira che ti rigira, alla fine anche qui è sempre questione di supermercati.
La situazione è in fase di stallo.Occorrerà indire un bando di concorso, trovare investitori.Nel frattempo la cascina avrebbe bisogno di interventi non da domani, ma da ieri.Il mio terrore è che si lasci passare altro tempo, si succedano altri crolli, le strutture diventino totalmente irrecuperabili e qualcuno dica sconsolato – Ahimé… è troppo tardi… a questo punto meglio buttare giù tutto.E fare il centro commerciale, ovvio.Supermercati… alla fine i Francesi i hanno invaso lo stesso.
Casa dell’immondizia.Avrei una bella storia da scrivere su di te.E forse tu l’hai capito.O magari sei stata tu a suggerirmela.Da quegli anfratti.Oh, si che l’avrei.E tu lo sai.
Quasi come fosse un urlo disperato stai urlando “Salvami” non per salvare le tue mura pericolanti.Come posso salvarti? Salvare te è come salvare me stesso.I miei ricordi ed il mondo di tanti bambini rima di me, che ti hanno chiamata “La casa dell’immondizia”.E’ lo stesso meccanismo che mi fa tifare Toro.Lo stesso motivo per cui dall’altra parte della città cerchiamo di salvare dei ruderi che sono le nostre radici.
Ci siamo fatti una promessa.- Tu parlerai di me, io di regalerò l’ispirazione per metterti in contatto con qualcosa delle mie memorie, che nascondo dentro di me Sono convinto di avere sentito queste parole, ma forse sono solo un pazzo. Io ci provo. Ciao, amica mia. Mi fai ancora paura ma mi fa più paura il fatto che tu non ci sia più. Vengo distratto da alcuni rumori. Dall'angolo con Via Natale palli sento dei clacson, un camionicino Volkswagen Westfalia con un gruppo di ragazzi in piedi nel cassone. Con bandiere e stendardi ovunque. Stanno puntando verso il centro. Ciao bambino! Forza Toro!
La foto di copertina è stata scattata dal bravo fotografo G. Squarcina a cui va il mio ringraziamento per avermi concesso la possibilità di pubblicarla. Mauro Saglietti
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