Mancavo da quasi un anno e la caccia al tesoro per trovare l’ingresso al Comunale è terminata: ora sono dentro insieme a mio nonno. Dentro lo stadio ma fuori di testa, perché sono arrivata troppo presto e l’ansia della gara mi corrode l’equilibrio. Equilibrio precario causato dalla confusione fra i ricordi e gli auspici, perché ogni immagine che fisso è già un ricordo, e il confine tra il prima e il dopo si assottiglia lasciandomi sospesa nel tempo. E’ come il notiziario del Televideo, dove l’ultima news dura l’attimo necessario a leggerla e capirla, per poi scomparire nell’attesa e nell’arrivo della successiva. E’ un motore infernale, un ritmo inesauribile, è la fatica smisurata di chi pretende di aggiornare la vita in diretta. Il sole allo stadio pompa luce, e quando la sua intensità aumenta, assorbe e ingoia le ombre sul prato, lasciando i 22 attori liberi di muoversi senza l’ingombrante e ossessivo riflesso scuro di se stessi. Migliaia di cellulari comunicano al mondo il punto esatto in cui uno si trova, ed buffo ascoltare le coordinate utili all’individuazione: “sono in Maratona lato distinti, secondo piano, ho una sciarpa granata ( indizio determinante ), sono dietro a uno smilzo con la faccia triste, ecco … adesso alzo un braccio, aspetta che salto”. Una voce gracchiante parla per conto suo nei microfoni dello stadio; non sa quel che dice e nessuno ascolta quel che gracchia, e il pensiero commosso di mio nonno torna ai tempi in cui veniva issata a centrocampo una piramide pubblicitaria, mentre lo speaker annunciava l’ora esatta Bulova … che però era già superata, come tutte le cose che durano un istante. Penso al Toro di quei tempi che non ho vissuto, ma che sento comunque mio più che mai e mi assale la nostalgia. No basta … liberami dal tormento; fammi vivere finalmente una partita che non abbia mai bisogno di voltarsi indietro per placare la depressione. No, non ci riesco; vedo i giocatori uscire dal tunnel, e fatalmente ripenso alla videocassette viste e riviste del Toro che fu e a quando uscivano dalle scale sotto la Maratona, come provenissero dalle viscere della terra, come speleologi catapultati fuori da una foiba, lava e lapilli che il sussulto di un vulcano proiettava in campo.
mondo granata
La differenza la fanno i pelati!
Mi riprendo dai miei convulsi pensieri che mi fanno sentire bene e mi catapulto nella realtà odierna. Siamo arrivati a Carnevale con la difficoltà di chi percorre un sentiero da trekking per soli professionisti. Dicono che le gioie ottenute dopo un percorso di sofferenza e tra mille difficoltà siano quelle più profonde. Sarà, ma conosco legioni di tifosi granata che si accontenterebbero, per una volta, di gioire meno intensamente, ma almeno senza rischiare le coronarie. Il fatto è che il Toro non vince una partita dalla vigilia di Natale e mai in questo nuovo anno: da allora solo sconfitte e pareggi, immancabilmente condite da sofferenze, spesso indicibili.Anche quest’oggi il Toro si è imbattuto in una partita il cui esito sembrava scontato o dettato dal capriccio delle streghe piuttosto che da quello che si è visto in campo. Tanto per non allontanarci troppo nel tempo e come avversario, la stessa Udinese, l'anno scorso, strappò una vittoria al Comunale di Torino più bugiardo di una banconota da undici euro, per come era stato sballottato dai granata per tutta la partita. Anche questa volta sembrava che il destino crudele avesse sistemato sulla sua personale schedina un risultato inutile per il Toro, ovvero il solito segno “X” tanto caro al mister, mettendo la nostra solita incapacità di giocare degnamente quella cosa sferica che rotola sul campo, che di nome fa “pallone”, sulla strada del Vecchio Toro. L’Udinese resisteva caparbiamente e per giunta dava anche l'agghiacciante sensazione di essere pronto all'agguato per sfruttare lo sbilanciamento e la stanchezza della squadra granata e prendersi persino l'intera posta. Magari poi Dellafiore avrebbe reso giustizia ugualmente alla voglia del Toro di conquistare quei desiderati ed indispensabili tre punti che fanno tanto morale e classifica; ma voglio pensare romanticamente che un bel po' di spinta l'abbiano data i tifosi granata sugli spalti, che ci hanno sempre creduto per tutta la partita e che poi sono letteralmente esplosi all'annuncio del pareggio della Fiorentina e anche in occasione della successiva rete della vittoria della squadra viola. Tutto convulso e stipato in un contenitore esausto, colmo fino all’orlo e per questo impossibilitato a concedere altre emozioni, che infatti non ci saranno. Mi accorgo allora, anche dopo il goal vittoria, che sono ormai abituata a soffrire, e lo stadio non mi si addice senza le viscere aggrovigliate e il cuore in ascensore. Devo aver contratto questa malattia da bambina, poco dopo il morbillo e prima della varicella; non ci sono cure e mi tengo il disagio, naturalmente compensato dalla gioia per la vittoria e nell’aver agguantato quel quart’ultimo posto tanto agognato.Gli ultimi minuti della sfida si sono giocati in un clima unico per intensità che ha aiutato i giocatori di Novellino a non mollare mai, fino ai semplici, persino banali, importantissimi controlli di palla dei “pelati nostrani” a scacciare ancora una volta tutti i nostri incubi.Strano il calcio, e per questo stupendo: nel breve spazio di un tempo di una partita fa impennare i destini di due giocatori in maniera del tutto particolare: Rosina entra nel secondo tempo e la sua velocità, condita con la tecnica, mette in crisi la difesa friulana, che accumula cartellini gialli soprattutto per fermare lui. Stellone, invece, regala volontariamente o meno il pallone del vantaggio granata e gioca su tutti i palloni con quello spirito guerriero che vorremmo sempre vedere a tutti coloro che indossano la nostra maglia. Una nota di merito anche al nuovo arrivato Gasbarroni, che nello spazio di un tempo ha mostrato di possedere tecnica, grinta e carisma. Ora speriamo che il mister trovi il modo di farlo giocare senza dover rinunciare per forza di cose a Rosina e Abate. Anche perché nel mercato invernale non aveva espressamente richiesto un esterno sinistro?
A fine gara resto ancora seduta in gradinata e vedo la gente sfollare soddisfatta e appagata: ha rispettato la popolare tradizione di far l’amore alla Domenica, e stavolta l’ha fatto con il Toro. L’unica differenza, è che la sigaretta l’ha fumata durante e non dopo, e il prender sonno sarà lieve senza i tormenti di occasioni perdute e rivissute nella veglia. Mi lascio alle spalle le miserie della paura e segno una tacca in più nell’almanacco della memoria; il miracolo della rappresentazione Granata si è ripetuto ancora, e gli atei come me confidano a se stessi che credere in qualcosa non è poi così male. Comincia la notte, e mi piace immaginare che quella dei tifosi del Toro sia appena finita.Forza Toro al di là del tempo e dello spazio. Fabiola Luciani
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