Torino-Reggina è una festa di metà giugno del 1999. Lo stadio con oltre cinquantamila spettatori è tinto di un solo colore. Non esistono sfumature tra il nostro granata e l’amaranto dei calabresi giunti in massa a Torino per la loro prima storica promozione in serie A. Alla Reggina serve un solo risultato: la vittoria. Il Toro ha già acquisito il diritto matematico di partecipare al successivo massimo campionato, andando a vincere la domenica prima sul neutro di Benevento contro la Fidelis Andria. Marco Ferrante è il nostro capocannoniere. Gli è sufficiente un solo gol per battere il primato personale di reti in granata. L’atmosfera fa presagire che tutto sia stato già scritto. Vittoria della Reggina e gol del nostro bomber di Velletri per il Torino. Accade effettivamente proprio questo, suscitando le ire delle dirette concorrenti alla promozione dei calabresi: Pescara in primis. Non si gioca una partita vera, ma ebbri di gioia, gli spettatori non ci fanno caso, o almeno i nostri. Perché dalla parte dei reggini, lo spavento al gol di Ferrante è forte. Poi, una disattenzione della nostra difesa permette all’amaranto Martino di chiudere il risultato a favore della squadra di Bolchi. A lungo ho pensato in questi anni a quella partita, al gemellaggio, al favore reso che non è piaciuto molto ad altre squadre. Ho pensato a quante volte non ci sia stato reso un trattamento simile e soprattutto a quanto sia sportivo o meno non opporre resistenza sin dall’inizio per aiutare qualcuno che ha un traguardo più importante da raggiungere. Non troverò probabilmente mai una risposta a tutto ciò, anche se ho la sensazione che tale consuetudine non abbia più senso di esistere.
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